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L’importanza del digitale al tempo del Coronavirus

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Quando sarà passata, la pandemia da Coronavirus lascerà, com’è naturale che sia, i suoi segni su ognuno di noi e sull’intera collettività. Ci sarà un prima e un dopo. Come nel caso dell’11 settembre 2001, molte cose nel mondo cambieranno e questo inizio di 2020 sarà un nodo temporale che non si scioglierà più.

Nuovi modi di relazionarsi con gli altri stanno nascendo in questi giorni difficili e anche tacitamente si stanno consolidando in noi. Nuove consapevolezze verranno, fino a cambiare, seppure in maniera limitata, il nostro modo di guardare alla vita e al futuro.

Nei rapporti personali, nel lavoro, nel funzionamento dell’economia, nella politica, nel giornalismo e nella scuola vi saranno mutamenti che oggi si stanno producendo e i cui effetti vedremo soltanto nel tempo.

Alcuni di questi cambiamenti certamente sono generati dalle trasformazioni comportamentali e dai problemi generati dall’isolamento sociale e dalla sospensione delle attività lavorative. Altri, non meno importanti, sono prodotti dall’uso intensivo degli strumenti e delle reti digitali che l’informatica e la telematica hanno messo a disposizione di tutti.

Sebbene nei primi due decenni del nuovo millennio l’uso delle tecnologie digitali abbia registrato un enorme aumento, sia in termini di tempo e funzioni sia in termini di utenti, l’utilizzo massimo nella breve storia di computer, smartphone, app e internet si sta registrando in queste ultime settimane a causa dell’isolamento di alcuni miliardi di individui che popolano intere nazioni sospese in attesa della fine della pandemia.

La vita di moltissime persone è diventata per necessità molto più digitale che fisica. Stiamo facendo un uso massiccio della rete e degli strumenti informatici per riempire il nostro tempo vuoto vissuto da esseri isolati, per avere notizie sul virus, sui nostri cari lontani, per comunicare con il mondo fuori della nostra porta, per lavorare, per giocare o per guardare film online (Netflix e Youtube stanno occupando una buona parte della banda di rete in Europa).

Tutte attività che servono per dare senso ai giorni trascorsi da reclusi, per poter rimanere in contatto con gli altri, per conservarci come comunità in un mondo costretto a distanziarsi per ragioni di sopravvivenza.

Nel fornirci strumenti utili e contenuti per il lavoro e per il tempo libero, il digitale ha dematerializzato il mondo tangibile (i corpi, i luoghi, le voci, le esperienze, i rumori, i giornali) e sta trasportando le forme consuete del nostro reale quotidiano in ogni luogo e a ogni persona in un formato immateriale che ha spesso un’efficacia simile alla materialità della natura alla quale siamo avvezzi.

Ovviamente esiste ancora nella percezione di ognuno una differenza tra materiale e immateriale, tra fisico e digitale, ma questa differenza si sta assottigliando sempre di più fino al punto che per le prossime generazioni diventerà addirittura irrilevante e la compenetrazione sarà completata.

Il Coronavirus ci ha violentemente separati e l’informatica ci sta unendo in un universo artificiale (che condensa il reale e il virtuale in un unico spazio coeso). Le tecnologie digitali stanno mostrando la loro “potenza tecnica” in un mondo ferito da un piccolo essere di non più di qualche milionesimo di centimetro. Un esserino che in poche settimane ha messo in crisi il nostro mondo, ha spazzato via muri e reticolati, le chiacchiere dei ciarlatani del web e dei social e ha ha ridato autorevolezza ai competenti, agli esperti che negli uffici e negli ospedali ogni giorno lavorano per salvare la vita dei contagiati nei cui corpi quel virus malefico si è istallato e sui quali può avere effetti letali.

Le tecnologie digitali stanno dimostrando la loro enorme forza quando ci aiutano nel telelavoro (la moda del momento prevede il termine smart working), nella didattica online che scuole e università stanno usando in maniera massiccia, nelle videoconferenze con i colleghi, nelle chat con gli amici e con i familiari, nei messaggi di solidarietà via whatsapp, nell’autosostegno psicologico via social anche tramite i tanti, troppi, video ironici che servono a condividere una forma di satira sociale prima impossibile ma oggi efficace anche in funzione scaramantica contro l’ansia e l’isolamento. In sintesi, stanno trasformando le nostre modalità relazionali anche forzando i nostri cinque sensi. L’uomo sta scoprendo di potersi conservare come animale sociale grazie alle macchine digitali, questo dato è ormai acquisito e nessun ritorno alla “normalità” lo annullerà totalmente.

Stiamo vivendo qualcosa di inedito che certamente lascerà segni duraturi. Tuttavia, ogni strumento, ancora di più se è molto sofisticato, non genera soltanto benefici ma richiede maggiori consapevolezze e regole idonee per evitare che i suoi usi favoriscano alcuni a danno di altri. In particolare, le tecnologie digitali hanno permesso la creazione di grandi imperi digitali che ormai hanno ruoli e impatti più importanti di molti governi e le decisioni sul loro uso che riguardano miliardi di persone non possono essere lasciate soltanto ai loro proprietari.

Per essere all’altezza della capacità creativa e di ricerca che l’uomo ha sviluppato, dovremmo anche ampliare le capacità di uso etico e sociale delle scoperte scientifiche. Serve pensiero critico, controllo sociale e pragmatismo. La grande capacità di innovare che gli esseri umani hanno maturato ha profondamente cambiato il mondo e l’essere umano stesso e richiede altrettante capacità di riflessione e pragmatismo per governare i possibili impatti negativi delle innovazioni sull’umanità.

Le tecnologie digitali non si stanno rivelando utili soltanto nell’aiutare la vita quotidiana di tutti noi in questo periodo di isolamento, ma in questi stessi giorni sono usate molto efficacemente per studiare il Coronavirus tramite complessi modelli software che sono sviluppati su diversi supercalcolatori disponibili nelle università e nei centri di ricerca. Le simulazioni software funzionano come laboratori virtuali che permettono di analizzare il genoma del virus e le sue interazioni con le cellule umane e con i nostri anticorpi. Questi modelli si stanno dimostrando efficaci per definire cure e vaccini e per combattere la diffusione e gli effetti letali del virus.

Allo stesso tempo, l’elevata capacità di analisi che i calcolatori consentono di compiere sui Big Data che provengono dagli spostamenti, dalle abitudini e dallo stato di salute della popolazione, rappresenta una risorsa strategica per gestire i comportamenti e le azioni dei singoli e di intere comunità nelle condizioni di emergenza come quelle che stiamo vivendo. Proprio in questi giorni in Italia sono state proposte 270 app per smarphone per affrontare l’emergenza coronavirus.

Al netto delle possibili app non realizzabili e di quelle di scarsa efficacia, ci troviamo di fronte a una dimostrazione di quanto il mondo del digitale possa fare per la società. Il governo si è dato soltanto pochi giorni per scegliere alcune app da realizzare.

Il tempo è troppo breve e i rischi di scelte sbagliate sono elevati anche per i problemi di privacy che questo tipo di algoritmi pongono. L’introduzione di sistemi di monitoraggio personale tramite geolocalizzazione degli smartphone va studiata con la massima attenzione per evitare pericoli di sorveglianza e discriminazione su particolari gruppi di cittadini. Anche l’impatto nel medio e lungo periodo per i diritti, la privacy e le libertà degli individui non devono essere sottovalutati.

Il quadro complessivo è di grande rilevanza e le trasformazioni tecnologiche che stanno subendo una forte accelerazione in questi tempi di epidemia avranno ricadute rilevanti nel nostro futuro prossimo. La causa principale di ciò è nella potenza del digitale e nel suo impatto pervasivo nella vita di ognuno di noi che sta trasformando tutto molto velocemente, smontando e ricostruendo la realtà, la nostra esperienza, il rapporto con i nostri simili.

Saper governare questa rivoluzione è il compito non eludibile che attende soprattutto le nuove generazioni. Garantire un utilizzo etico che aumenti le libertà dei cittadini invece di limitarle, è responsabilità degli specialisti, dei competenti ma anche degli utilizzatori, dei legislatori e dei governi.

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