Riflessioni

L’impatto sociale della tecnologia digitale, quali conseguenze?

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Cerchiamo di essere molto, ma davvero molto, prudenti ogni volta che prendiamo in mano la "bacchetta" del digitale. Rischiamo di trovarci nella stessa situazione dell'apprendista stregone, ma senza un maestro in grado di rimettere le cose a posto.

Qualche tempo fa ho partecipato al dibattito sulle applicazioni di tracciamento digitale dei contatti per la gestione della pandemia del Covid-19: centralizzato o decentralizzato, anonimo o pseudonimo, volontario od obbligatorio, dalla libertà individuale più sfrenata al controllo sociale più orwelliano.

Ho fornito sia contributi di natura tecnica che formulato osservazioni sulle disposizioni legislative in merito, ed in questo processo ho maturato la convinzione che la maggior parte delle persone – anche se preparate in materia – non si rende conto fino in fondo di quanto sia delicata l’intersezione tra la tecnologia digitale e la società umana (e, quindi, di quanta prudenza andrebbe adoperata).

Sono arrivato quindi a formulare la seguente Legge sull’impatto sociale della tecnologia digitale: «L’impatto sociale della tecnologia digitale è imprevedibile, anche tenendo conto della Legge sull’impatto sociale della tecnologia digitale». Chi ha familiarità con l’indimenticabile autore di “Gödel, Escher, Bach” riconosce che si tratta di una variazione della Legge di Hofstadter sulla pianificazione delle attività («Per fare una cosa ci vuole sempre più tempo di quanto si pensi, anche tenendo conto della Legge di Hofstadter»). Si tratta secondo me di una legge perfettamente giustificabile, considerato che la gran parte dell’umanità convive con strumenti digitali da neanche un ventennio, nel quale molto poco è stato fatto dai governi per insegnare qualche concetto fondamentale. D’altro canto, si tratta di tecnologie più dirompenti di quella della stampa a caratteri mobili, più sconvolgenti della rivoluzione industriale.

Se guardiamo con un po’ di distacco l’evoluzione dell’umanità negli ultimi cinquemila anni (grosso modo il periodo in cui sono nate civiltà un po’ più socialmente evolute di una tribù) ci rendiamo conto che i progressi tecnologici hanno avuto modo di essere assorbiti e digeriti per generazioni e generazioni, nel corso delle quali le società avevano il tempo di adattare le loro strutture sociali a quanto stava accadendo.

Con la diffusione della tecnologia digitale è invece accaduto che in brevissimo tempo sono state sovvertite un paio di leggi della natura che, nel bene e nel male, hanno sempre regolato la nostra esistenza.

La più importante è quella che ci ricorda che ogni cosa, prima o poi, finisce. Ogni essere vivente prima o poi muore e con la sua morte spesso cadono nell’oblio le sue azioni e le sue relazioni. Nella nostra vita digitale ciò non succede, e man mano che le rappresentazioni digitali diventano sempre più sofisticate questo sovvertimento urta sempre più in conflitto con il senso comune. Certo, anche secoli fa avevamo statue che ricordavano ai posteri fattezze e gesta dei personaggi famosi, ma adesso l’eternità (digitale) è alla portata di tutti.

In secondo luogo – e connesso con il primo elemento “sovversivo” – vi è il superamento delle barriere spazio-temporali che rendono la replicazione di qualunque artefatto digitale pressoché istantanea e ubiqua. Il nostro “doppio digitale” può essere replicato quante volte si vuole, dove si vuole, senza fatica, obiettivo possibile solo agli dèi, prima d’ora.

A causa del superamento di queste due “colonne d’Ercole” un segreto digitale – una volta svelato – vivrà in eterno ed in tutto il mondo. Non è un caso che il fondamentale diritto naturale all’oblio ha avuto bisogno di un’esplicita normativa per poter essere riconosciuto dalla società digitale. E non è accaduto subito, e non è accaduto in modo incruento: esistenze sono state spezzate prima di arrivare a porvi rimedio.

L’aver scardinato questi limiti invalicabili nel rapido spazio di una sola generazione ci ha portati in un territorio del tutto inesplorato, in cui rischiamo di fare la fine di Ulisse nell’inferno dantesco: «Tre volte il fé girar con tutte l’acque // a la quarta levar la poppa in suso // e la prora ire in giù, com’altrui piacque, // infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».

Il problema è espresso dalla Legge che ho sopra enunciato, cioè che non riusciamo a capire l’impatto di questa tecnologia perché troppo “aliena” rispetto a noi (riascoltate queste riflessioni su Internet di David Bowie di 10 anni fa) e perché la combinazione a crescita esponenziale delle interazioni tra tecnologie e situazioni va al di là della nostra capacità di comprensione.

Eppure dovremmo sapere, visto che da scimmie nude ci siamo trasformati nei (quasi) signori e padroni di questo pianeta, che tutto quello che è disponibile verrà sfruttato in tutti i modi possibili. E non siamo in grado di prevederne le conseguenze. Le possibili combinazioni ed interazioni richiederebbero quindi di procedere con piedi di piombo, mentre invece sembra che stiamo correndo bendati verso il precipizio.

Dunque, cerchiamo di essere molto, ma davvero molto, prudenti ogni volta che prendiamo in mano la “bacchetta” del digitale. Rischiamo di trovarci nella stessa situazione dell’apprendista stregone, ma senza un maestro in grado di rimettere le cose a posto.

(I lettori interessati potranno dialogare con l’autore, a partire dal terzo giorno successivo alla pubblicazione, su questo blog interdisciplinare.)

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