riflessioni

L’IA non ha bisogno di essere intelligente per fare cose intelligenti

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I computer tramite l’intelligenza artificiale sanno fare molte cose che noi consideriamo intelligenti ma lo fanno senza essere realmente intelligenti. Ecco perché.

Alan Turing è stato uno dei primi scienziati a chiedersi come costruire macchine capaci di pensare. In precedenza lo avevano fatto diversi filosofi e naturalmente alcuni autori di libri di fantascienza. Intorno alla fine degli anni ‘40 del secolo scorso Turing scrisse alcuni brevi saggi sulla possibilità che un computer possa essere programmato per rispondere in maniera appropriata alle domande di un essere umano (il cosiddetto test di Turing). In quei saggi il matematico inglese usò il termine “machine intelligence”, che possiamo tradurre come “intelligenza delle macchine” o “intelligenza automatica”, chiedendosi se si potessero realizzare computer capaci di pensare, o almeno capaci di darci la sensazione che siano in grado di pensare.

Nonostante l’autorevolezza del personaggio, il termine da lui coniato per indicare la capacità di una macchina elettronica di poter, in certi frangenti, risolvere problemi come fa un essere umano, non ha avuto molto successo. Il termine che invece fu vincente, e che adesso gli specialisti e gli uomini della strada usano anche troppo frequentemente, nacque qualche anno più tardi. Esattamente nel 1955, quando un gruppo di docenti universitari e ricercatori americani guidati da John McCarthy, Marvin Minsky, Nathaniel Rochester e Claude Shannon proposero di organizzare un convegno per studiare come realizzare computer capaci di intelligenza, da svolgere nell’estate dell’anno successivo al Dartmouth College, nel New Hampshire. Il convegno si tenne effettivamente in quella università dalla metà di giugno alla metà di agosto del 1956 e fu il primo convegno sulla cosiddetta “intelligenza artificiale” (IA).

Quello fu il luogo di nascita di una disciplina scientifica che tra alti e bassi è cresciuta straordinariamente e si è sviluppata fino a diventare argomento dibattuto non soltanto in ambito scientifico, ma in tutti i contesti della società. Una materia che, grazie agli sviluppi della ricerca e soprattutto grazie ai sistemi realizzati negli ultimi anni, si avvia ad avere un impatto enorme sulla vita delle persone. Infatti, i sistemi di intelligenza artificiale stanno cambiando il mondo del lavoro, quello della comunicazione, la sanità, l’istruzione, i trasporti e anche il turismo e l’agricoltura. Ci sarebbe poi molto da dire sull’impatto dei sistemi di IA sull’organizzazione sociale e politica delle nazioni e sul futuro sia delle democrazie sia dei regimi autoritari che stanno competendo con grande impegno e notevoli investimenti finanziari per acquisire la leadership nello sviluppo delle tecnologie di IA.

La scelta degli organizzatori del convegno del 1956 di usare il termine “intelligenza artificiale” per indicare quei sistemi informatici capaci di azioni e scelte che possono essere giudicate ‘intelligenti’ ha fatto sorgere molte discussioni e altrettante polemiche su cosa sia veramente questa intelligenza artificiale e quale sia il rapporto tra essa e l’intelligenza umana. Chiariamo subito che i sistemi informatici che ricadono nel settore dell’intelligenza artificiale sono sistemi hardware/software che sulla base dei loro algoritmi (cioè di sequenze di istruzioni) e dei dati di input, sono in grado di calcolare risultati ostici (come la probabilità di successo di una cura o le risposte da dare per vincere un quiz televisivo) o di prendere decisioni non semplici per una macchina (ad esempio sul riconoscimento di un volto o sui prodotti più desiderati dai teenager nei prossimi 12 mesi). Tutti problemi che quando sono gli esseri umani a doverli affrontare diciamo che è necessario usare intelligenza per risolverli.

Sono in tanti ad appassionarsi alla polemica intorno alla questione se l’intelligenza artificiale sia qualcosa di uguale all’intelligenza umana o sia cosa diversa e quale delle due è superiore all’altra. Questa polemica ci porterebbe lontano e deve fare i conti con i tanti elementi di incertezza e di complessità che essa include. Quello che invece ci interessa brevemente discutere qui è un aspetto apparentemente secondario ma, per alcuni aspetti, molto interessante della questione.

Sebbene i proponenti del convegno del 1956 erano partiti dall’idea che fosse possibile simulare con un computer qualsiasi caratteristica dell’intelligenza umana, oggi molti programmi e sistemi di IA non hanno l’ambizione di agire simulando i processi di intelligenza umana ma si accontentano di eseguire procedure di elaborazione di dati i cui risultati sono simili o addirittura migliori di quelli prodotti da un essere umano intelligente quando deve risolvere lo stesso problema. Succede la stessa cosa con gli aerei che volano benissimo ma non lo fanno sbattendo le ali come gli uccelli e accade anche con gli elicotteri che non volano imitando i volatili e tantomeno le api o i calabroni. Quindi l’obiettivo dei sistemi di intelligenza artificiale è quello di trovare procedure che producono risultati simili a quelli che le persone ottengono usando l’intelligenza umana ma senza necessariamente operare allo stesso modo del cervello umano. Anche quei sistemi informatici che usano una struttura di calcolo e di comunicazione che si ispira a quella del nostro cervello (i cosiddetti sistemi di “deep learning”) usano dei modelli estremamente semplificati del cervello degli esseri umani e soltanto sulla base di questo non possono essere considerati dei sistemi intelligenti capaci di replicare l’intelligenza umana.

Provando a sintetizzare quanto detto, l’IA, al di là dell’aggettivo molto evocativo, non ha come obiettivo principale di ragionare come l’intelligenza umana (la quale peraltro non sappiamo del tutto come funziona perché molte caratteristiche del cervello e della mente umana ci sono ancora sconosciute), ma intende svolgere compiti, risolvere problemi e fornire risultati che alle persone richiedono di usare intelligenza. Compiti, risoluzioni e risultati che senza intelligenza noi umani non riusciamo a ottenere.

Dunque, potremmo concludere questa breve analisi dicendo che i computer tramite l’intelligenza artificiale sanno fare molte cose che noi consideriamo intelligenti (vincere una partita di scacchi, tradurre un testo da una lingua straniera, seguire un percorso stradale e riconoscere i segnali incontrati, leggere un libro e farne un riassunto, diagnosticare una malattia da una serie di analisi mediche, scrivere un articolo per un giornale, progettare nuove proteine e tante altre cose ancora) ma lo fanno senza essere realmente intelligenti. Questa conclusione dovrebbe tranquillizzare i tanti che sono scettici sulle potenzialità dei sistemi di IA e sono convinti che le macchine non potranno mai superare gli essere umani nelle capacità di decisione e di azione.

Eppure, queste persone farebbero male a convincersi di questo perché quello che si sta sempre più dimostrando tramite le attività di ricerca e di sviluppo tecnologico nel settore dei sistemi di IA è che questi riescono a compiere azioni complesse, a raggiungere obiettivi difficili, a prendere decisioni intelligenti, senza essere veramente intelligenti, per come noi umani crediamo sia l’intelligenza. Senza avere colpi di genio, ma semplicemente analizzando grandi quantità di dati e cercando in essi gli elementi più significativi, più interessanti. Lo fanno senza considerare i qualia, gli elementi qualitativi (le sensazioni) che diversi filosofi e molti studiosi della mente, da Democrito a John Searl, fino a David Chalmers, hanno richiamato per descrivere gli aspetti legati alla coscienza di un individuo che hanno caratteri emozionali e sensibili. Al momento i computer e i sistemi di IA non sanno cosa sono i qualia e non hanno coscienza, eppure sono capaci di fare cose complesse che soltanto gli umani coscienti sanno fare. Questo potrebbe voler dire che non serva avere una coscienza per agire in maniera intelligente e d’altronde molti esseri umani dotati di coscienza hanno difficoltà a comportarsi in modo intelligente.

Questi aspetti aprono scenari molto interessanti sulla natura dell’intelligenza (sia quella umana sia quella artificiale) che da un lato potrebbero portare a riconsiderare le diverse teorie su come si forma e si realizza l’intelligenza e dall’altro potrebbero spiegare i meccanismi che sono alla base delle decisioni degli umani che noi giudichiamo intelligenti. Decisioni che spesso sono basate su semplici calcoli eseguiti ripetutamente e velocemente, su valutazioni probabilistiche compiute su fatti, eventi e sulle tante possibili scelte che si possono fare in ogni momento, su fattori casuali che le macchine simulano benissimo tramite funzioni ‘random’ che si stanno dimostrando molto efficaci nell’intelligenza artificiale anche per emulare la creatività umana. Creatività che, ad esempio, si realizza anche tramite l’uso di queste funzioni aleatorie, le quali, quando sono eseguite da un computer, sono capaci di contribuire a comporre brani musicali inediti, a scrivere testi accurati e anche molto lunghi o a dipingere quadri originali e sorprendenti.

In questo momento storico la preoccupazione maggiore di tanti sembra essere quella di evitare che i sistemi di intelligenza artificiale diventino più ‘intelligenti’ di noi umani (cosa che al momento avviene in casi limitati ma che in futuro non si può escludere diventi la regola). Tuttavia, i recenti rapidi avanzamenti dei sistemi di intelligenza artificiale potrebbero contribuire a demistificare l’intelligenza umana dimostrando che essa si può ottenere anche senza le straordinarie facoltà di cui crediamo di essere gli unici a disporne, ma tramite una serie di metodi semplici (innati e/o acquisiti nel tempo) che ci permettono di affrontare i tanti problemi quotidiani e di trovare delle soluzioni per essi più o meno come adesso hanno imparato a fare anche le macchine digitali.

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