Ieri è stato il giorno della maxi-multa irrogata dal Garante Privacy a Telecom: 840 mila euro per aver effettuato chiamate promozionali in modo illecito, senza cioè il consenso dei contattati. La sanzione è arrivata all’esito di un procedimento iniziato nel 2016, e a tre giorni dall’entrata in vigore della Legge 11 gennaio 2018, n. 5[1], che ha innovato il quadro regolamentare del telemarketing.
Per meglio comprendere come cambia la disciplina, è opportuno un breve cenno al punto di partenza: la regola per le telefonate di marketing presupponeva, prima della novella citata, che le aziende chiamanti ottenessero il consenso preventivo degli interessati (cioè le persone fisiche titolari delle numerazioni chiamate); tale regime veniva derogato soltanto per le telefonate effettuate tramite operatore su numerazioni (fisse), pubblicate in elenchi telefonici: per queste infatti l’ordinamento ammetteva il contatto senza consenso, a condizione però che tale numerazione non fosse iscritta nel registro delle opposizioni istituito dal D.p.r. 178/2010. In buona sostanza, prima di telefonare, gli operatori erano tenuti a verificare la presenza delle numerazioni – solo quelle fisse – nel Registro, e a depennare dalla propria lista quelle lì iscritte.
La riforma appena entrata in vigore estende l’ambito di operatività del Registro. Intanto perché l’iscrizione al Registro può essere richiesta adesso dall’interessato anche per le utenze mobili di cui è intestatario, e indipendentemente dal fatto che tali numerazioni siano o meno riportate negli elenchi di abbonati.
Inoltre, con l’iscrizione si intendono adesso revocati tutti i consensi precedentemente espressi, con qualsiasi forma o mezzo e a qualsiasi soggetto, per il trattamento delle proprie numerazioni telefoniche fisse o mobili effettuato mediante operatore con l’impiego del telefono per finalità di marketing, comunicazione commerciale o profilazione. Dunque, le società che avevano ricevuto il consenso al trattamento del dato telefonico, con l’iscrizione dell’interessato al Registro non potranno in alcun modo effettuare comunicazioni per le finalità di cui sopra, mentre restano valide le operazioni di marketing effettuate via e-mail, sempre previo consenso dell’interessato.
E inoltre, innovazione di grande rilievo per il mercato delle liste di utenti, l’iscrizione preclude anche la circolazione successiva delle numerazioni contenute in tali liste; si tratta di quelle compilate da “brokers” sulla base di consensi specifici degli interessati alla comunicazione dei propri dati a terzi per finalità di marketing: adesso l’opt-out cancella anche quelle manifestazioni di volontà, e ciò ridurrà molto il valore del mercato degli intermediari in questo settore.
La legge fa salvi comunque quei trattamenti fondati su consensi prestati nell’ambito di specifici rapporti contrattuali in essere con oggetto la fornitura di beni o servizi, ovvero cessati da non più di trenta giorni. Si tratta di una disposizione mal concepita, perché sia il Codice Privacy che il nuovo Regolamento generale europeo sulla protezione dei dati personali distinguono il consenso dal contratto come base giuridica di un trattamento. Non è chiaro in questo caso cosa significhi “consenso prestato nell’ambito di un rapporto contrattuale in essere”: forse che il marketing è consentito solo se, oltre a un consenso specifico, vi è anche un contratto con il titolare (ad esempio per la fornitura di servizi telefonici)?
Viene poi sottratto al regime di opt-out quel trattamento per il quale sarà concesso dall’interessato un consenso successivamente all’iscrizione nel Registro. Il che pone un problema pratico e giuridico che gli operatori farebbero bene a non sottovalutare: poiché vi può essere disallineamento tra la numerazione prima iscritta nel Registro e successivamente “consensata”, è cruciale poter provare la posteriorità del consenso rispetto all’iscrizione nel Registro.
La Legge introduce anche il divieto per il titolare del trattamento di comunicazione, trasferimento e diffusione a terzi -con qualsiasi forma o mezzo- dei dati personali degli interessati iscritti al Registro, per fini pubblicitari o di vendita ovvero per ricerche di mercato o di comunicazione commerciale non riferibili alle attività, prodotti o ai servizi offerti dallo stesso, e l’obbligo per il titolare di informare gli interessati ogni volta che i loro numeri sono ceduti a terzi.
Infine, i call center dovranno garantire l’identificazione della linea chiamante tramite due “codici o prefissi specifici, atti a identificare e distinguere in modo univoco le chiamate telefoniche finalizzate ad attività statistiche da quelle finalizzate al compimento di ricerche di mercato e ad attività di pubblicità, vendita e comunicazione commerciale”. L’AGCOM ha il compito, entro il 5.5.2018, di identificare i codici o prefissi specifici suindicati, mentre i call center dovranno adeguare tutte le numerazioni telefoniche utilizzate per i servizi di call center, anche delocalizzati, facendo richiesta di assegnazione delle relative numerazioni entro il 5.4.2018 sempre all’AGCOM.
L’intervento legislativo ha previsto poi un rinvio alle sanzioni attualmente contenute nel Codice Privacy, senza preoccuparsi del fatto che tali sanzioni sono state riformate per tutta l’Unione Europea dal Regolamento generale sulla protezione dei dati personali.
In conclusione la legge, senz’altro ispirata dalla buona intenzione di proteggere gli utenti dall’invasività di pratiche commerciali scorrette, appare tecnicamente farraginosa, aumenta enormemente i costi operativi del registro delle opposizioni, che tra l’altro dovrà adesso anche prevedere la possibilità di annotare le revoche delle opposizioni (perché la riforma prevede anche questo, che cioè gli interessati oppostisi possano revocare il rifiuto delle telefonate per un certo periodo e per certi titolari) e non è armonica col quadro europeo, che prevarrà dal 25 maggio in poi.
Dopo i pasticci contenuti nella legge europea e in quella di bilancio sul legittimo interesse, c’è da aspettarsi che il telemarketing sarà tra i temi di cui dovrà occuparsi il Governo in sede di esercizio della delega conferita dal Parlamento nella Legge di Delegazione Europea, onde evitare contrasti tra diritto nazionale e Regolamento europeo.
[1] Consultabile anche al seguente URL.