Nonostante la bocciatura della riforma costituzionale nel referendum di dicembre scorso, il Parlamento italiano sta riscrivendo le regole del telemarketing in un regime di apparente superamento del bicameralismo perfetto.
Sembra infatti che ciò che fa la Camera dei Deputati, non sappia il Senato. E viceversa.
E così a Montecitorio è in dirittura d’arrivo il cosiddetto ddl concorrenza, contenente alcune norme dedicate alla riforma del Registro delle Opposizioni e delle telefonate con operatore, mentre al Senato la Commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni sta lavorando ad un testo di riforma della medesima materia di segno ancora più incisivo.
A guardare il dettaglio delle proposte in campo, si comprende meglio il tenore del pasticcio legislativo che si sta rischiando.
Da un lato, la Camera dei Deputati sta per introdurre delle modifiche alla normativa di settore volte a rendere il meccanismo dell’opt-out operativo anche per il marketing postale, e ad obbligare gli operatori che effettuano telefonate su numeri fissi tratti da elenchi pubblici a chiedere un ulteriore consenso all’interessato nel corso della telefonata.
Ad esempio: l’azienda Alfa chiama Tizio, il cui numero ha reperito lecitamente su un elenco telefonico, per promuovere i propri beni e servizi, e durante la telefonata gli chiede un ulteriore consenso -finora non dovuto- al fine di poter proseguire nella conversazione. Una norma che nei mesi scorsi aveva destato la preoccupazione di alcuni interpreti, tra cui il Garante per la protezione dei dati personali, perché lasciava margine a qualche dubbio sul suo ambito di applicazione: si temeva, infatti, che la stessa avesse la capacità di liberalizzare ulteriormente il mercato delle telefonate non sollecitate, consentendo di chiamare qualunque numero fisso, e non solo, come oggi invece previsto, quelli contenuti negli elenchi telefonici.
Un’interpretazione che non pare però suffragata dalla ratio della norma, proposta per introdurre un’ulteriore tutela per gli interessati, non per ridurre quelle vigenti e che si scontra anche con la Direttiva 2002/58/CE, che non ha mai contemplato una simile possibilità.
E’ tuttavia al Senato che si sta consumando il tentativo più incisivo di riforma del settore. In un clima di consenso trasversale alle forze politiche e con l’avallo del governo, la scorsa settimana la Commissione Lavori Pubblici e Comunicazioni ha iniziato l’esame di un disegno di legge di riordino della materia, approvando degli emendamenti al testo base che restringono considerevolmente il mercato delle telefonate di marketing e della cessione di liste. Per i curiosi di minute parlamentari, si tratta dell’atto senato 2603. In sintesi, il testo con gli emendamenti fin qui approvati dalla Commissione di Palazzo Madama prevede che:
- chiunque sia intestatario di una linea fissa o mobile, e a prescindere dalla sua presenza negli elenchi telefonici pubblici, possa esercitare il diritto di opposizione iscrivendosi al Registro delle Opposizioni;
- tale iscrizione azzera tutti gli eventuali consensi specifici precedentemente dati a chiunque. Finora è stato possibile per gli operatori che avevano ricevuto un consenso specifico al telemarketing contattare il soggetto interessato, nonostante l’iscrizione al Registro citato. Ove approvata, la nuova norma lo impedirebbe;
- l’iscrizione al Registro precluderà anche la circolazione della numerazione tra diverse società, a prescindere dall’eventuale consenso specifico prestato in tal senso in precedenza. Ciò porrebbe fine anche al cosiddetto ‘mercato delle liste consensate’, che vengono in genere acquistate da broker specializzati prima di iniziare una campagna promozionale;
- per i call center che violino le nuove disposizioni viene prevista la possibilità per le autorità competenti di disporre la sospensione o, nelle ipotesi più gravi, la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività, oltre alla sanzione amministrativa da dieci a centoventimila euro.
E’ molto probabile che la Camera giunga ad approvare il ddl concorrenza, che è nella sua fase finale, prima di quanto il Senato riesca ad approvare in prima lettura la disciplina di riordino del telemarketing. E questo potrebbe determinare la conseguenza – non proprio commendevole sul piano della tecnica legislativa – di una riforma strutturale nata (e morta) transitoria, perché ove poi il Parlamento approvasse una disciplina di riordino complessivo sulla base di quanto discusso in questi giorni dal Senato, questa si sostituirebbe a quella medio tempore introdotta dal ddl concorrenza.
Inoltre, né l’una né l’altra proposta di riforma tengono minimamente in considerazione il contenuto della nuova e più importante fonte del diritto in materia di protezione dei dati personali, ovvero il Regolamento Europeo 679/2016, che diventerà efficace esattamente tra un anno, a fine maggio 2018, e nel quale si prevede che, in esenzione dal consenso preventivo dell’interessato, può essere considerato legittimo interesse trattare dati personali per finalità di marketing diretto (considerando 47), a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato, tenuto conto delle ragionevoli aspettative nutrite dall’interessato in base alla sua relazione con il titolare del trattamento.
Si tratta di un’apertura significativa e responsabilizzante al mercato da parte di una norma di diritto sovraordinata rispetto alla legge domestica italiana, la cui ratio consiste per l’appunto nella necessità di superare l’inefficace paradigma del consenso preventivo. Il legislatore italiano avrebbe la possibilità di affrontare il tema in una maniera organica e conforme al diritto europeo, dettando ad esempio le condizioni, i criteri e le garanzie che ciascun titolare dovrebbe applicare per ritenere sussistente un legittimo interesse al marketing.
Si sta, invece, seguendo la strada dell’estemporaneità, con sicure ripercussioni in termini di certezza del diritto e qualche potenziale brutta ricaduta sul piano occupazionale, perché ove l’orientamento del Senato dovesse passare nell’attuale formulazione, la vertenza Almaviva starà al mercato delle telefonate come il fallimento di Lehman Brothers alla crisi finanziaria del 2008.