L’ecosistema digitale sta modificando nel profondo la nostra società, il modo di viverla, di rappresentarla, di comprenderla, di raccontarla. Siamo letteralmente immersi in un mondo di immagini e di schermi (dal quello classico televisivo ai multiscreen dei tanti device elettronici che prendiamo in mano ogni giorno).
Nuove esigenze emergono da chi il digitale lo vive, perché vanno sparendo vecchie abitudini e ne nascono di nuove.
Google, Facebook, Apple, sono gli alti fari di Alessandria nei mari agitati della trasformazione digitale. Ad essi si affiancano però anche i nuovi media, come Netflix e Amazon, con cui le vecchie reti televisive devono fare i conti nell’accaparrarsi una delle risorse più scarse del presente: l’attenzione e quindi il favore del pubblico.
Temi che danno un senso al nostro presente sempre più digital, in apparenza sfuggente, a tratti anche minaccioso e frammentato, ma ricco di opportunità per chi le sa cogliere.
Ieri sera a Roma, alla libreria IBS/Il Libraccio, è stato presentato il nuovo libro di Jean K. Chalaby: “L’era dei format. La svolta radicale dell’intrattenimento televisivo”.
Il volume fa parte di un’originale collana, “Supertele”, con focus sulla televisione, ma non solo, perché i libri che ne fanno parte raccontano proprio del cambiamento prodotto dalla digital transformation, e prima ancora se vogliamo indotto dall’Information Technology, attraverso l’esame dei modelli narrativi contemporanei, dell’industria televisiva e mediale, delle tendenze nella produzione di fiction e di intrattenimento e delle modalità innovative di offerta e di consumo dei prodotti, dei contenuti, dei servizi.
Una serie di traduzione di testi internazionali dedicati quindi alla comunicazione di massa e i suoi mezzi (vecchi e nuovi), che si rivolgono ad un ampio pubblico, non necessariamente accademico, fatto di professionisti, studenti, esperti e ricercatori.
Un’iniziativa editoriale che nasce grazie al supporto della casa editrice Minimum Fax e di Tivù, società partecipata Rai, Mediaset, Telecom Italia, Associazione TV Locali e Aeranti Corallo, nell’ambito delle attività di Tivùthink (progetto di analisi e studio del settore audiovisivo), con l’intento di creare, promuovere e supportare cultura televisiva.
Quattro le pubblicazioni del 2017 e altre quattro quelle in uscita per l’anno in corso.
Alla presenza di Chalaby stesso, il volume “L’era dei format” è stato sfogliato davanti al pubblico da Luca Barra, Curatore della collana Supertele e ricercatore presso il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna, Cristiana Mastropietro, Fondatrice di Pesci Combattenti, e Luca Balestrieri, Consigliere tivù.
Un libro che già dal sottotitolo invita a riflettere sulla “svolta radicale dell’intrattenimento televisivo”, mostrando gli scenari principali di questa trasformazione, i suoi attori, gli strumenti a disposizione per comprenderla e affrontarla: “Un volume piacevole da leggere, scritto con un linguaggio adatto a tutti, con il supporto di strumenti creativi, sociologici ed economici”, ha evidenziato in apertura di serata Luca Barra.
La televisione, il media per eccellenza della nostra era, è stata data per morta ogni 20 anni eppure è sempre lì. Anche nel terzo millennio qualcuno l’ha data per spacciata, ma è più viva che mai. Certo è che per quanto immortale la televisione non può evitare il cambiamento e forse neanche vuole.
Con la trasformazione digitale cambia tutto e anche la tv deve affrontare una mutazione.
Cambiano le regole, cambiano gli schemi, si differenziano i format.
Se è vero che il format televisivo ha conquistato il mondo, pensiamo ad esempio a “Masterchef”, è anche vero che il suo successo non avrebbe raggiunto ogni angolo del mondo senza una buona dose di sincretismo.
“Che cosa è un format e perché ottiene successo in tutto il mondo?”, si è chiesto Chalaby, autore del volume, ma anche Professore di Comunicazione presso la City University di Londra.
Il format di un programma televisivo, in poche parole, è un insieme di regole che determinano lo svolgersi del programma stesso.
“In Masterchef Italia, ad esempio, anche se le regole sono le stesse in ogni parte del mondo, c’è tanta “italianità” e gli spettatori italiani lo guardano e si riconoscono nei concorrenti, nelle tradizioni a cui si rifanno, nei giudici e nelle regole adattate ai diversi territori della nostra tradizione culinaria. I format hanno regole internazionali, ma poi ogni pubblico ha a che fare con squadre ‘locali’”, ha spiegato lo scrittore.
La vecchia storia del globale che si fa locale, o si presenta nelle vesti del “glocal”.
“Un buon format cela lo scenario internazionale ed esalta quello locale. La tv ha sviluppato una narrazione specifica con questi format e la svolta radicale è stata nell’imparare ad essere indipendente dagli altri mezzi di comunicazione. Per questo tutti i programmi nati negli anni 90 sono stati dei pionieri della nuova era televisiva e della multimedialità digitale”.
“La tv ha imparato ad usare la propria voce, ha preso coscienza della propria forza, creando nuovi eroi, come i concorrenti dei format, che vivono il proprio ruolo e raccontano le proprie esperienze.
Non sono supereroi come quelli dei libri, dei fumetti e dei film, ma gente comune, con visi comuni e vite simili a tante altre”, ha precisato il professore britannico.
Il punto chiave è che i format televisivi prendono elementi dalla quotidianità e con questi lasciano ai protagonisti la possibilità di compiere gesti straordinari, rielaborandoli, riutilizzandoli e ricodificandoli.
“La tv italiana è in grado di fare qualcosa di simile come negli USA e in GB?”.
La risposta, secondo Chalaby, non è solo nella capacità di importare, copiare e adattare il modello estero al contesto nazionale, ma nel saper riproporre uno modo di fare impresa che noi conosciamo bene, quello dei grandi marchi di moda: “Bisogna essere creativi e saper investire nel rischio. In ogni nuova produzione c’è un rischio. Si deve considerare la possibilità di perdere, ma anche di guadagnare da un’impresa; bisogna creare una rete che premi ed incoraggi i produttori italiani; bisogna sviluppare concetti efficaci e vincenti, le reti tv devono imparare ad essere più innovative, non lasciando questo campo ad Amazon, Netflix e gli altri over the top”.
Fondamentale, secondo l’autore, è sapersi orientare nel mercato globale, “saper creare ed esportare nel mondo dei format innovativi, come fanno i grandi marchi di moda. Come fa Hollywood. Analizzare la propria catena di fornitori e persone coinvolte. Le case di moda italiane investono molto lungo la catena di vendita, a differenza della tv italiana che non conosce il pubblico destinatario dei format. La tv si deve concentrare di più sul marketing, dove si decide come lanciare un prodotto”.
Si deve investire nel rapporto col pubblico, insiste Chalaby: “La creatività ha bisogno di menti attive e l’Italia ne è piena. La creatività è un sistema e quello del broadcasting italiano è debole e non la supporta come dovrebbe. Messa al centro del sistema televisivo italiano, la creatività potrebbe dare il via alla nascita di nuovi format ‘made in Italy’ da offrire la mondo.
Nel vostro passato c’è tanto a cui ispirarsi, vedi il Rinascimento, tanto materiale su cui lavorare”.
Un libro che mancava sul mercato italiano, secondo Cristiana Mastropietro, “perché spiega come si fanno le cose e come si fanno bene”. “In riferimento al Rinascimento, il genio italiano era sostenuto dal sistema in cui gli artisti vivevano. Noi oggi tralasciamo il sistema di supporto e idealizziamo il genio. Ecco perché servono regole precise per far emergere la genialità, la creatività”.
“A volte la tv italiana non si prende rischi che dovrebbe e va sul sicuro, mortificando in parte la creatività.
Anche la tv pubblica e Mediaset non sfuggono a queste regole, ma dopo la crisi degli ultimi anni le risorse sono diminuite, con la ricerca di creatività a basso costo.
Se non prendi un rischio, non guadagnerai mai e soprattutto rimarrai fermo”, ha affermato la produttrice.
“I libri sulla televisione spesso perdono la dimensione produttiva ed economica. Questo volume, invece, declina il format nel mercato globale, nella dimensione economica ed industriale che sta dietro alla produttività”, ha dichiarato Balestrieri.
Un libro da consigliare agli studenti e che dovrebbe essere letto da chi costruisce le connessioni a livello di sistema: le imprese e la politica.
“Quando si parla di sviluppo industriale dell’audiovisivo si parla di politiche di sostegno al settore. Il fenomeno dei format, che è connesso ai programmi di intrattenimento e alla serialità televisiva, ci permette di comprendere il mercato odierno e le sue tendenze”.
In che modo l’Italia è rappresentata in questo quadro? Come si posiziona il nostro Paese?
“Da diversi anni stanno emergendo poli produttivi orientati all’esportazione, in paesi che non ti aspetti: vedi il fenomeno culturale del “Nordic Noir” in Danimarca e Svezia, che crea innovazione di prodotto conquistando nuove quote di mercato”, ha spiegato Balestrieri.
E noi?
“Ce la fanno anche Turchia, Israele e Corea del Sud, l’Italia arranca”.
Questo libro ci pone un problema di tipo strutturale. La creatività va costruita attraverso strategie industriali.
“Le strategie di impresa in Italia vanno verso i palinsesti generalisti, dove sono i soldi. Prima cosa: i broadcaster devono scindere gli interessi dalla creatività e l’innovazione. Seconda cosa: dobbiamo concentrarci sulle politiche che mancano”.
“Un anno fa, tra broadcaster e produttori indipendenti c’è stato un confronto serio sui decreti attuativi della legge Cinema. È stato così possibile evidenziare gli aspetti critici del provvedimento, che non dava prospettive di crescita a nessuno dei due soggetti”, ha precisato il consigliere di Tivù.
“Il libro ci fa vedere l’evoluzione internazionale dei format. A partire dal grande successo ottenuto in Gran Bretagna e Stati Uniti, dove la crescita del settore è da imputare soprattutto alle giuste condizioni regolatorie”.
“Riproporre tale modello qui da noi a diversi anni di distanza potrebbe non funzionare”, ha sottolineato Balestrieri.
“Bisogna capire in che fase siamo nello sviluppo dei format nel nostro Paese se vogliamo avere una politica industriale efficace. Siamo in una nuova situazione che richiede nuove soluzioni, nuove strategie.
In questo mercato le dimensioni contano. Se riuscissimo a creare un rapporto virtuoso tra cinema e broadcaster avremmo un nuovo modello produttivo che sarebbe in grado di integrare serialità ed intrattenimento in maniera originale. Il rischio è rimanere ai margini di questo nuovo mondo”.
Cosa fare dunque?
Chalaby lo ha spiegato bene, sia nelle pagine del libro, sia in sala: “In Italia sono tante le tv che hanno bisogno di supporto, non solo economico, ma in termini di gestione dei diritti. Sarebbe un sistema vincente per tutti, di tipo win-win. Non vincerebbero solo le parti coinvolte, ma anche il pubblico.
Se guardiamo alla storia dell’industria e del mercato della moda in Italia, abbiamo tante piccole case di moda concentrate in piccole aree del Paese. Se copiassimo il modello tv britannico, raggruppando le varie piccole reti tv, ne avremmo un’unica più grande. Lo abbiamo già fatto in passato, la creatività non manca, non manca neanche la capacità di fare impresa, quindi perché non riprovarci?”.