Mentre sta per scatenarsi una “battaglia” politica intorno al canone Rai, provocata senza dubbio dalla proposta di legge che la parlamentare del Movimento 5 Stelle Maria Laura Paxia ha finalmente reso di pubblico dominio, dopo quattro mesi di “gestazione”, una decina di giorni fa (“Key4biz” ha segnalato in anteprima la notizia il 15 novembre, vedi “Abolizione canone Rai: pubblicata la proposta di legge di Maria Laura Paxia (M5S)”), emergono nuove tempeste mediatiche nei confronti di Viale Mazzini, questa volta promosse dal principale “competitor”, qual è Mediaset, che mercoledì della scorsa settimana 20 novembre fa ha segnalato sul tg satirico “Striscia la Notizia” un presunto “conflitto di interessi” tra la nomina del Direttore della Comunicazione della Rai, Marcello Giannotti e l’agenzia cross-mediale che segue alcuni programmi di punta di Viale Mazzini, Mn Italia (clicca qui, per vedere il servizio, su MediasetPlay).
Appena appresa la notizia, il sempre iperattivo ed effervescente parlamentare, ex Partito Democratico ed ormai Italia Viva, Michele Anzaldi ha sparato con uno dei suoi bazooka: “La Rai chiarisca se quanto rivelato da ‘Striscia la notizia’ corrisponde al vero: davvero l’azienda ha dato un appalto per chiamata diretta all’agenzia di comunicazione dove ha lavorato per anni l’attuale portavoce di Salini, Marcello Giannotti? Davvero per programmi di punta come ‘Viva RaiPlay’ di Fiorello o il programma di prima serata di Mara Venier ‘La Porta dei Sogni’ è stato affidato senza gare l’incarico per l’ufficio stampa alla società Mn Italia, la stessa dove Giannotti lavorava prima di arrivare in Rai? È stato proprio Giannotti a decidere questi affidamenti, come sostiene ‘Striscia’? Siamo di fronte ad un caso di conflitto di interessi?”. Queste dichiarazioni (pubblicate con un post delle ore 00:42 di giovedì 21 novembre sulla sua pagina Facebook) sono la premessa per una interrogazione parlamentare. Domanda Anzaldi (che – si ricordi – è anche autore di un’iniziativa per la riduzione del canone Rai, vedi supra): “davvero la Rai, che conta centinaia di giornalisti, molti anche senza incarico, ha bisogno di affidare all’esterno l’ufficio stampa dei programmi? Il corposo ufficio stampa interno dell’azienda, a capo del quale è stata di recente nominata una giornalista del Tg1 con triplo scatto di carriera in un colpo solo che non ha paragoni in nessuna altra azienda (si tratta di Claudia Mazzola, n.d.r), non era in grado di gestire i rapporti con la stampa di questi programmi? E allora che ci sta a fare? È questo il modo in cui vengono spesi i soldi del canone? Presento un’interrogazione, la Rai faccia chiarezza”.
Anche il leghista Massimiliano Capitanio ha annunciato una propria interrogazione parlamentare sulla stessa questione, che aggancia subito alla prospettiva della riduzione del canone Rai (vedi “supra”: attacchi concentrici da più fronti rispetto al “canone”): “dopo il servizio di ‘Striscia la Notizia’, il gruppo Lega ha presentato un’interrogazione in Vigilanza Rai per chiarire, e possibilmente smentire, i presunti conflitti di interesse tra il direttore della comunicazione scelto dall’amministratore delegato Salini e l’ufficio stampa della nuova trasmissione di Fiorello. Abbiamo già evidenziato con un’altra interrogazione la nostra seria preoccupazione per scelte aziendali che devono essere trasparenti e cristalline, a partire nelle future nomine delle direzioni di genere su cui eserciteremo un controllo ferreo. Risparmiando su consulenze inutili, ingaggi faraonici e produzioni esterne potremo così arrivare allo storico obiettivo della Lega della progressiva riduzione del canone Rai”.
La Consigliera di Amministrazione Rita Borioni (“in quota Pd”) ha dichiarato: “chiederò un chiarimento all’amministratore delegato Fabrizio Salini”.
Una nota Rai recita: “L’amministratore delegato ha chiesto chiarimenti sull’utilizzo dei fornitori contrattualizzati nel campo della comunicazione”. La Rai precisa anche: “il coinvolgimento di uffici stampa esterni non si attiva su indicazione della Direzione Comunicazione, bensì degli editori di riferimento che detengono anche il relativo budget. La Direzione Comunicazione si limita a esprimere un nulla osta sulla scelta di ricorrere o meno a una consulenza esterna per determinati tipi di progetti senza intervenire in alcun modo sull’indicazione del fornitore”. Spiegazione convincente, nella sostanza?!
A seguito di questa comunicazione Michele Anzaldi ha scritto sulle proprie pagine “social”: “la nota della Rai invece di smentire conferma: il direttore della comunicazione Giannotti ha dato il via libera all’appalto esterno alla sua ex società. L’ufficio stampa aziendale e quasi 2mila giornalisti a tempo indeterminato non bastano. Ora intervenga la Corte dei Conti”.
L’esponente di Forza Italia Maurizio Gasparri alza il tiro: “Marcello Giannotti, direttore della comunicazione Rai, deve dimettersi. Non farò interrogazioni, perché chiedo direttamente le dimissioni di Giannotti, prima ancora che l’Amministratore Delegato Salini venga in audizione martedì presso la Commissione di Vigilanza”.
Dal sito “Trasparenza” della Rai (che è encomiabile iniziativa, ma che pecca di completezza), si legge che Marcello Giannotti è stato “dal 2006 al 2017 è autore testi per diverse manifestazioni (Concerto del Primo Maggio, Sky Promo Awards e programmi radiofonici). Dal 2005 al 2018 è responsabile Entertainment Projects presso l’agenzia di comunicazione Mn Italia, specializzata in comunicazione, pubbliche relazioni, ufficio stampa e entertainment management. Viene assunto nel dicembre 2018, in qualità di dirigente, nell’ambito dello “Staff Assistenti AD” con l’incarico di Assistente dell’A.D. per la Comunicazione. A maggio 2019 è nominato Direttore della Direzione Comunicazione”. Il compenso – per incomprensibili ragioni – non viene rivelato, ma si ha ragione di ritenere che sia ai livelli massimi del management aziendale, ovvero 240.000 euro l’anno.
Mn Italia, potente agenzia di comunicazione
Si ricordi che Mn Italia (come si legge sul suo stesso sito web), “si è attestata come l’agenzia leader nel settore dello spettacolo, curando la comunicazione per alcuni tra i principali artisti italiani della scena televisiva e musicale e per eventi di rilevanza nazionale ed internazionale. Mn Italia ha, infatti, legato il suo nome ad artisti di grande successo: da Adriano Celentano a Fiorello, da Gianna Nannini a Andrea Bocelli, fino a eventi come il Festival di Sanremo, il Concerto del Primo Maggio, l’Earth Day; dagli show della Ballandi Entertainment a Sky Italia dagli innovativi programmi dei canali Fox al lancio di Current Tv, Cielo e Tv8, dai più importanti programmi del prime-time delle reti Rai, ad Amici di Maria De Filippi”. E qui stendiamo un velo di penoso silenzio, per ora, anche sullo strapotere degli agenti di personaggi come Fiorello: l’enorme influenza degli “agenti” nei palinsesti Rai è questione annosa, e richiede un dossier ad hoc.
Mn Italia è parte del gruppo Mn Holding, che controlla 5 società: Mn Italia, per l’attività di pr, media relation, ufficio stampa; Level 33, produzione televisiva e “product placement”, ideazione e realizzazione per i brand di contenuti video per tv e web; Obo Digital, attività digital, web marketing, comunicazione visiva e animation graphics per contenuti video; The Union si occupa di management di artisti e “talent”; Hub4Brand si interessa di “branded content”… A fine 2017, celebrava i suoi 20 anni di attività, 60 professionisti, e vantava un fatturato di 10 milioni di euro, ovvero il doppio rispetto ai 5 milioni del 2013…
Si comprenderà però quanto siano intricate ed intime queste dinamiche, al di là degli aspetti formali. Intrecci complessi, sempre “borderline” con l’incompatibilità o comunque l’inopportunità.
Nel pomeriggio di venerdì 21, Mn Italia dichiarava “è falso che Giannotti abbia chiesto noi per Sanremo e Viva RaiPlay… è vero che Marcello Giannotti ha lavorato per oltre 10 anni in Mn prima di passare in Rai, come peraltro accaduto a molti altri dipendenti e collaboratori di Mn che oggi lavorano per i più grandi broadcaster come Sky, Mediaset o Discovery. È decisamente falso che Giannotti abbia richiesto per conto della Rai le nostre prestazioni su Festival di Sanremo e Viva RaiPlay”…
Non vogliamo entrare nel merito della specifica questione (va precisato peraltro che Pinuccio – uno degli “inviati” di Antonio Ricci a “Striscia” – ha rilanciato una segnalazione dell’eterodosso Michele Monina, critico musicale senza dubbio eccentrico), che è però sintomatica di alcuni processi che non sono certamente nuovi, nel “sistema culturale ed economico” che gravita intorno alla Radio Televisione Italia spa: nel corso del tempo, ci sono state decine e decine di casi di professionisti che sono entrati in Rai, in posizioni dirigenziali apicali, provenendo – come suol dirsi – dal “privato” (soprattutto dal settore della produzione), hanno lavorato per qualche anno a Viale Mazzini, e ne sono fuoriusciti, ritornando nel privato… Ed in alcuni casi rientrando poi nuovamente in Rai, con nuovo ruolo o come partner privilegiati dell’azienda…
“Sliding doors” Rai, questo è il problema
Esempio sintomatico quello di Riccardo Tozzi: nel 1975, inizia la sua carriera “cinematografica” in Rai (nella disciolta Sacis), curando per un decennio la produzione di molti film; nel 1986, passa a Mediaset, ove crea la prima struttura di produzione; dopo un decennio, fuoriesce da Cologno Monzese, e fonda la sua società di produzione, la Cattleya (di cui nel 2017 cede il 51 % delle quote alla britannica Itv Studios), che con Rai ha sviluppato rapporti assai intensi; nel 2011, viene eletto Presidente dell’Anica, l’associazione dei produttori cinematografici (incarico nel quale subentra Francesco Rutelli nel 2016). Un altro caso interessante: Giannandrea Pecorelli, a capo delle produzioni di Rcs Film & Tv, poi Capo Struttura in Rai, poi alla Sony,e quindi in Endemol, poi produttore in proprio con Aurora Film (entrata a far parte della multinazionale Banijay Group), che per Rai ha prodotto tra il 2015 ed il 2018 “Il Paradiso delle Signore”… E, ancora, Agostino Saccà, in Rai per oltre trent’anni, dal 1976 al 2009, arrivato ad esserne Direttore Generale, ha poi fondato nel 2010 la Pepito Produzioni, parte significativa del cui fatturato viene giustappunto da Rai stessa… Etc.
Si dirà: “eccellenti percorsi professionali ed imprenditoriali”. Indubbiamente. Nema problema (almeno in termini formali).
Il “caso Giannotti” con Mn si associa al “caso Salini” con Stand by Me
Il “caso Giannotti” si associa, in questi giorni, alle critiche che sono state manifestate nei confronti nientepopodimeno che dello stesso Amministratore Delegato della Rai, Fabrizio Salini, che è stato dirigente di una delle “format factory” più potenti d’Italia, qual è la Stand by me di Simona Ercolani, società che continua – ovviamente – a produrre intensamente per Viale Mazzini.
L’8 novembre il leghista Massimo Capitanio ha dichiarato: “in questa fase delicata e cruciale per il futuro del sistema radiotelevisivo italiano, vogliamo la certezza della totale estraneità dell’Amministratore Delegato della Rai, Fabrizio Salini, a situazioni di conflitto di interesse. Il dottor Salini nel 2018, e fino alla sua nomina ad amministratore delegato della Rai, era infatti Chief Operation Officer della Stand by Me, società di produzione televisiva e multimediale indipendente che intratterrebbe tuttora rapporti attivi e passivi con la Rai. Se questi rapporti venissero confermati, saranno necessarie le più severe valutazioni”.
Il “caso Giannotti” non sembra aver appassionato la stampa quotidiana, dato che soltanto “la Repubblica” ed “il Giornale” venerdì mattina 22 novembre, gli dedicano ampio spazio.
Riteniamo che la questione debba stimolare una riflessione profonda ed attenta su queste dinamiche: se è vero che un “psb” non può e non deve essere considerato una “isola” (un’isola dorata?!) rispetto al mercato dei media, è altrettanto vero che i processi di nomina di dirigenti acquisiti dall’esterno – a fronte di una quantità di dipendenti discretamente notevole (circa 13.000) – dovrebbero essere sottoposti a meccanismi selettivi accurati, e magari anche trasparenti.
A quanto è dato sapere e si osserva, molta discrezionalità viene invece assegnata al “vertice” di turno (Amministratore Delegato e/o Presidente), e non sempre queste assunzioni avvengono previa adeguata verifica delle disponibilità interne e delle competenze professionali esistenti “in house”.
Come nei Ministeri, “alle dirette dipendenze”. In Rai, “affidamenti fiduciari”…
Di fatto – e qui si ripropone la questione della eccessiva politicizzazione della Rai – si tratta di un meccanismo speculare a quel che avviene con i ministeri: cambia il Governo ed il Ministro pro-tempore ha diritto a portare con sé un proprio personale di staff, il cosiddetto personale “alle dirette dipendenze” del Ministro di turno. Questo personale (decine e decine di persone) decade, contrattualmente, allorquando il titolare del dicastero lascia l’incarico, trattandosi di rapporti di lavoro a tempo determinato (talvolta qualcuno però viene ri-accolto dal Ministro entrante).
In Rai, ciò avviene abitualmente, ma spesso coloro che vengono “innestati” dall’esterno nel corpo aziendale, restano, e quindi si assiste ad una inflazione e superfetazione di ruoli ed incarichi, spesso creati “ad hoc”, con grande fantasia “lavoristica”, per dare “qualcosa” da fare a chi non è più nelle grazie del novello “dominus”…
Dinamica patologica? Dinamica fisiologica?
La questione è delicata ed importante, perché tende comunque a demotivare le professionalità interne, che vengono spesso dequalificate e demansionate. Ci sono decine e decine, anzi centinaia di casi, di “zombie” che vivono (alcuni vivacchiano sommessamente, altri beneficiano di ricchi stipendi) a Viale Mazzini e dintorni (si pensi anche alle controllate, da Rai Cinema a RaiWay, passando per Rai Pubblicità).
È uno scandalo?
Che sia uno scandalo o meno, è certamente un problema.
Quanta parte del palinsesto Rai è esternalizzata, e perché?
Problema correlato, ed altrettanto grave, è quello dei crescenti flussi di palinsesto Rai che sempre più vengono appaltati a società esterne, con un intreccio di interessi che meriterebbe veramente un dossier di… “Report”. Ci domandiamo se la coraggiosa trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci avrà finanche il coraggio di mettere mano ai “grovigli bituminosi” che talvolta caratterizzano il rapporto di Viale Mazzini con il “mondo esterno” delle società di produzione, dalla fiction all’entertainment, nazionali e multinazionali…
Quanta parte del palinsesto Rai è affidata a società esterne – in buona parte multinazionali che guardano al nostro Paese come uno dei tanti mercati “locali” – strapagando improbabili format, allorquando ci sono certamente risorse interne per realizzare produzioni originali e qualificate?!
Un esempio recente e valido assai di quel che Rai può fare “in house”: la trasmissione “#Ragazzicontro” su Rai2 (in onda dal 6 novembre), condotta dall’eccellente giornalista Daniele Piervincenzi (divenuto famoso anche per aver subito la “testata” da un esponente del “clan Spada” in quel del Lido di Ostia), un inedito ed originale viaggio immersivo (tra “docureality” e “talk”) nel mondo dell’adolescenza, sviluppato con un sano approccio critico ed encomiabile spirito civico. Produzione interna. Low-bugdet. Non c’è stato un ufficio stampa esterno. E la trasmissione non ha certo beneficiato di quella promozione mediatica che invece merita: è forse mancato un “ufficio stampa” esterno come Mn Italia?!
Ancora in materia di “sliding doors”: un altro caso interessante è rappresentato da Giancarlo Leone, per decenni uno dei manager più potenti della Rai, e da qualche anno Presidente dell’associazione dei produttori televisivi Apa (già Apt), una lobby imprenditoriale che compete con Anica (produttori cinematografici) nei processi di “decision making” delle politiche culturali e mediali (pubbliche) italiane. Sia ben chiaro: tutto legittimo, certamente nel rispetto delle norme. Qui si sta però trattando di valutazioni di “opportunità”, non di “liceità”.
Si ricordi che, per esempio, i Commissari dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (il cui mandato dura 7 anni), nei 4 anni successivi al proprio incarico non possono lavorare nei settori nei quali ha competenza Agcom…
I contratti per programmi radio-tv e di opere audiovisive della Rai sono esclusi dal “codice degli appalti”
Pochi peraltro ricordano un altro punto nodale ed essenziale: seppur la Rai è a tutti gli effetti una impresa pubblica, esiste nel cosiddetto “Testo Unico sugli Appalti” (si tratta del codice dei contratti pubblici, fonte normativa novellata emanata col Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, che regola la materia degli appalti pubblici di lavori, forniture, servizi e concessioni), uno specifico articolo di legge che esenta Viale Mazzini dal seguire procedure a pubblica evidenza per quanto riguarda servizi di radiodiffusione e televisione ovvero la produzione o coproduzione di programmi destinati alla trasmissione…
Per la precisione, si riporta l’articolo 49-ter del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (“Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”), altrimenti noto come “legge Gasparri”: “Art. 49-ter (Contratti conclusi dalla Rai-Radiotelevisione italiana Spa e dalle società partecipate) 1. I contratti conclusi dalla Rai-Radiotelevisione italiana Spa e dalle società interamente partecipate dalla medesima aventi per oggetto l’acquisto, lo sviluppo, la produzione o la coproduzione e la commercializzazione di programmi radiotelevisivi e di opere audiovisive e le relative acquisizioni di tempo di trasmissione sono esclusi dall’applicazione della disciplina del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, ai sensi dell’articolo 19 dello stesso codice”.
Il “codice degli appalti”, insomma, non si applica in materia di acquisto, sviluppo, produzione o coproduzione di programmi destinati alla trasmissione da parte di emittenti radiotelevisive e appalti concernenti il tempo di trasmissione… Anche se la norma prevede che “l’affidamento dei contratti di cui al presente comma avviene comunque nel rispetto dei princìpi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità”…
La “ratio” che ha ispirato il legislatore a “derogare” è basata sulle caratteristiche peculiari di questi processi produttivi, che richiederebbero procedure snelle e tempi rapidi, ma il problema è che queste procedure dovrebbero godere almeno di trasparenza estrema, come avviene nei “public broadcasting service” di Francia, Regno Unito, Germania…
Forse i tempi sono maturi per ragionare sul senso di questa simpatica deroga. In argomento, si ricordi un intervento dell’allora soltanto parlamentare del M5S ed oggi Sottosegretaria al Mise Mirella Liuzzi: “E, infine, veniamo alla norma sugli appalti: la Rai non può godere di una normativa sugli appalti più morbida rispetto a qualunque altro soggetto pubblico o privato. Con l’attuale testo votato nelle Commissioni, la Rai è dispensata da ogni regola che, invece, devono seguire tutte le altre amministrazioni pubbliche. Per gli appalti Rai, niente obbligo di concorrenza, niente trasparenza, parità di trattamento, economicità: insomma, tana libera tutti! Il fiume di denaro potrà finire in mille rivoli, nelle mani di fornitori esterni, senza controllo e amici di chissà chi” (intervento in Aula, il 19 ottobre 2015, durante la discussione del disegno di riforma della Rai, divenuto la legge n. 220/2015, nota come “riforma Renzi”, approvata definitivamente il 22 dicembre 2015).
Alea di conflitti di interessi, eccessive esternalizzazioni, molto liberi appalti… Si tratta di tematiche piuttosto intrecciate tra loro, sulle quali non è mai stata fatta adeguata luce.
Tematiche delicate e strategiche, che sarà opportuno approfondire, per il futuro della Rai.