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Le intelligenze naturali di fronte a quella artificiale, perché bisogna trovare le giuste forme ibride di interazione

Come ci è stato spiegato a scuola, il termine ‘intelligenza’ trova origine nei due termini latini intus che significa ‘dentro’ e legere cioè ‘leggere’. Leggere dentro in questo caso indica l’azione del saper indagare in profondità, del comprendere quello che avviene intorno a noi, l’abilità di distinguere, l’avere capacità di ragionamento e pensiero per indagare la realtà.

L’intelligenza è anche la capacità di utilizzare la conoscenza per raggiungere i nostri obiettivi, per risolvere i problemi che ogni giorno abbiamo davanti. Nel dire questo dobbiamo anche riconoscere che l’intelligenza degli umani è una questione così complessa che nessuno può dire di sapere come si sviluppa e quali siano esattamente le facoltà naturali che sono a suo fondamento.

Da quando è apparsa la vita sulla Terra si sono generate diverse forme di intelligenza, quella degli animali, quella delle piante e, solo successivamente, l’intelligenza umana. Nessuno può ragionevolmente negare che le varie specie animali abbiano sviluppato forme di intelligenza, siano esse le api, i delfini, le cornacchie, o le volpi. Lo stesso si può dire dell’intelligenza delle piante che certamente è diversa da quella degli animali, ma permette loro di adattarsi all’ambiente, al clima, di riprodursi diffondendo i semi nell’aria o nel terreno e di comunicare tramite le radici e il sottosuolo. Tra le intelligenze naturali quella degli esseri umani si è sviluppata di più e meglio delle altre, diventando predominante sulle altre e per questa ragione è l’intelligenza che da molte migliaia di anni governa la vita sul pianeta Terra.

Da alcuni anni a queste intelligenze naturali si è aggiunta una nuova forma di intelligenza, quella delle macchine: la cosiddetta intelligenza artificiale (IA). Un nuovo tipo di ingegno certamente diverso dagli altri che sta conquistando velocemente un ruolo sempre più importante e che da qualche anno viene usato per generare conoscenza, risolvere molti problemi e prendere decisioni più o meno complesse. Se, come detto, tra le varie caratteristiche dell’intelligenza in senso generale c’è la capacità di risoluzione di problemi e di adattamento, queste capacità sono senza dubbio espresse anche dai sistemi di intelligenza artificiale.

Può essere utile chiarire che i sistemi di IA non hanno lo scopo di agire riproducendo i processi dell’intelligenza umana ma si accontentano di eseguire procedure di elaborazione di dati i cui risultati siano simili o addirittura migliori di quelli prodotti da un essere umano intelligente quando questi deve risolvere lo stesso problema. Quindi l’intelligenza artificiale, per come oggi è disponibile, non è realizzata ad immagine e somiglianza di quella umana. È una modalità diversa di intelligere che si sta dimostrando efficace in molti casi. Ad esempio, sa guidare un’auto nel traffico, sa riconoscere il volto di una persona tra tanti, sa apprendere i comportamenti delle persone, sa scoprire nuove cure mediche, sa tradurre testi in centinaia di lingue.

Da poco più di un anno l’attenzione di molti si è concentrata sui sistemi di IA generativa che, tra i sistemi di intelligenza artificiale, sono quelli che stanno mostrando le capacità più ingegnose. Si tratta di sistemi che sanno dialogare con noi nella nostra lingua, sanno rispondere alle nostre domande, sono capaci di scrivere testi, di produrre immagini e filmati estremamente realistici. I sistemi di IA generativa, come ChatGPT e Bard, hanno una immensa memoria e una grande capacità di ascoltare, di scrivere, di parlare, di spiegare tante cose a noi umani, dialogando in linguaggio naturale. Nonostante queste straordinarie capacità, non bisogna credere che siano sistemi con le facoltà e il talento di Einstein o di Galileo, non hanno la genialità di Picasso o di Mozart, non sono in grado di fare grandi scoperte, anche se in tanti casi sanno raggiungere livelli di intelligenza pari o anche maggiori di quelli delle persone normali.

A differenze delle altre, questa nuova forma di intelligenza che chiamiamo ‘artificiale’ è stata creata dall’intelligenza umana; quindi, ha una origine naturale e sta generando nuovi sensi, differenti sentimenti, in aggiunta a quelli finora noti. Si stratta di sensibilità e percezioni che le macchine stanno creando e con le quali noi dobbiamo necessariamente confrontarci. Infatti, oltre a estendere le modalità di relazione di/tra noi umani, le macchine digitali colme di software intelligenti, hanno alterato i nostri sentimenti, le forme della loro espressione, la nostra percezione della realtà quotidiana spesso mediata dai computer. Così facendo, le macchine stanno creando nuovi sensi.

Siamo di fronte a una inedita forma di intelligenza, che tanti non riconoscono come tale, che si fonda su enormi quantità di dati e su operazioni matematiche molto veloci e complesse. È questa una intelligenza che nasce da artifici umani ma, come accennato, è più capace di molti di noi nel risolvere molti problemi e lo fa anche meglio di tanti tra coloro che non la riconoscono come tale forse per timore di sentirsi peggiori di una macchina, oppure perché non riescono a comprendere questa nuova forma di intelligenza a causa di limiti culturali o soltanto perché non arrivano a cogliere la sofisticata tecnica che c’è dietro e dentro di essa.

Se si può comprendere che alcuni non accettino che l’intelligenza delle macchine sia una vera intelligenza e che in tanti casi sia anche più brava di noi, almeno dovremmo convenire sul fatto che questa nuova forma di intelligenza stia contribuendo all’avanzamento dell’intelligenza collettiva del mondo. Il filosofo spagnolo Averroè mille anni fa aveva ipotizzato l’esistenza di un intelletto unico per tutti gli uomini al quale gli individui attingerebbero per pensare e deliberare. A quel tempo questa tesi non fu presa bene dalla Chiesa cattolica e suscitò molte discussioni. Senza voler suscitare le reazioni di filosofi e teologi, oggi potremmo pensare a un nuovo intelletto collettivo del quale potrebbero far parte anche i sistemi di IA, che uniti alle intelligenze umane e naturali, contribuiscono ad una più potente e arguta intelligenza complessiva del mondo in cui viviamo. Per raggiungere questo obiettivo sarà necessario trovare le giuste forme ibride di interazione e di collaborazione tra esseri viventi e macchine dalle quali l’umanità possa avere benefici e non danni, qualità migliori di vita e non nuove disuguaglianze e discriminazioni.

A dispetto di questi elementi positivi, occorre considerare che nei sistemi di intelligenza artificiale attuali mancano alcuni elementi che sono parte importante dell’intelligenza umana. Ad esempio, nei sistemi di IA non è presente il dubbio e questo rende questi sistemi eccessivamente assertivi e talvolta fallaci perché cercano sempre di dare una risposta anche quando non sarebbero in grado di farlo. L’intelligenza artificiale non esprime opinioni problematiche, non sa esporre problemi perché è costruita per fornire soluzioni anche quando queste sono imprecise o errate e quindi vengono presentate come corrette inducendo in errore l’interlocutore umano che non ha le competenze necessarie per poterle interpretare.

Siamo cresciuti confrontandoci con l’intelligenza degli altri esseri umani e anche con l’intelligenza delle altre forme di vita. Adesso, in pochissimo tempo, siamo chiamati a confrontarci con una nuova forma di intelligenza che non conoscevamo prima e che in parte ci appare più magia che scienza. Dobbiamo pensarla come una forma avanzata della capacità umana di creare macchine, in questo caso fatte di miliardi di chip e di bit, e di istruirle a fare cose e a risolvere problemi che a noi umani serve risolvere e che in alcuni casi richiedono troppo tempo o non sappiamo risolvere.

Il confronto tra l’intelligenza umana e quella delle macchine sarà uno degli elementi principali che caratterizzerà il nuovo anno e quelli a venire. L’esito di questo confronto determinerà più di altri fattori il futuro del genere umano. Da parte nostra bisogna evitare quello che Gunter Anders preconizzava mezzo secolo fa, cioè che l’essere umano diventi antiquato, che non sappia gestire il suo rapporto con i sistemi di IA e diventi subalterno alle tecnologie che egli stesso ha creato.

Bisogna agire per evitare che gli individui non sappiano avere uno sguardo critico e consapevole verso di esse, o peggio ancora che si facciano mettere in un angolo dalle nuove abilità delle macchine digitali. Preparare futuri cittadini e allevare talenti nel nuovo secolo digitale è fondamentale per un corretto uso delle innovazioni e per vivere da umani consapevoli l’impatto dell’IA e delle sue applicazioni.

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