Per avere un’idea delle c.d. “Influence World Politics” basti pensare alle origini della US National Security Strategy (NSS). Nell’era Trump è possibile osservare come la US National Cyber Security Strategy (NCSS) per proteggere le infrastrutture critiche statunitensi segua, per certi versi, un percorso già iniziato nel 2009 e poi proseguito con l’amministrazione Obama mediante l’adozione di diverse policy in materia di cyber security, culminate poi con la costituzione di un Cyber Command, diretto dall’NSA.
Un modello per la sicurezza cui si sono ispirati molti Paesi, anche in termini di politiche di influenza, ma con differenti approcci organizzativi. Concetti quali “soft power” e “smart power” del cyber warefare, mutuati dal settore della sicurezza delle informazioni sono strumenti di influenza spendibili con la nuova denominazione di cyber space non lawenforcement sempre di derivazione americana anche nelle strategie e politiche di difesa e sicurezza cibernetica di molti Stati, in atto sia a livello nazionale che internazionale, anche in termini di uso graduale della forza cibernetica in risposta alla cyber war.
Come può allora non venirci in mente che lo stesso stato delle contromisure cibernetiche non possa essere condizionato dall’andamento delle politiche di influenza? Ciò è possibile se immaginiamo che le attività di influenza sembrano ormai costituire sempre più una graduale e per certi versi moderata “manifestazione della forza” finalizzata al raggiungimento di obiettivi strategici anche in ambito cyber ed in grado di condizionarne le dinamiche a tutto campo. Obiettivi che non per niente ci richiamano alla mente quelli perseguiti dagli apparati dello Stato e non solo mediante attività messe in atto dai c.d. agenti di influenza.
Già da tempo il Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS) ha divulgato che con il termine politiche di influenza s’intende quella particolare tipologia di attività “condotta da soggetti, statuali o non, al fine di orientare a proprio vantaggio le opinioni di un individuo o di un gruppo” correlato all’“infowarfare”, in cui la raccolta informativa potrebbe anche costituire un’arma nelle mani di coloro che si prefiggano di raggiungere determinati obiettivi anche a costo di colpire la controparte con la scusante o, se vogliamo, scriminante di dover difendere contestualmente “i propri sistemi e le proprie reti” per il “perseguimento degli interessi nazionali”.
Tra tecniche di alterazione della percezione e strategie reputazionali che possono ledere anche la credibilità di uno Stato ci si chiede ingenuamente se le politiche di influenza possano dunque rappresentare una legittima attività sia a livello nazionale che internazionale, pur essendovi la possibilità che vengano adoperati strumenti “manipolativi e ingannevoli” in uno spazio cibernetico senza regole legali e disciplinato attualmente dalla diplomazia per fissare le regole. Resta il fatto che le politiche di influenza, parallelamente alle “attività di diplomazia per fissare le regole”, sono destinate sempre più ad attestarsi quale strumento di compensazione delle politiche e strategie di sicurezza di uno Stato, quale “soft o smart power” o “cyber space non law enforcement” per stabilizzare gli interessi nazionali anche attraverso l’uso mediato della quinta dimensione dei conflitti.
E, a quanto pare, anche della sesta dimensione che recentemente è stata neo-battezzata dal Presidente Trump come una dimensione in cui è possibile agire “Stand-Alone Space Force/Corps” ed in cui potrebbe presentarsi la necessità di individuare delle regole legali sulla scorta di ragioni emergenziali di necessità e urgenza.
Che si tratti delle stesse ragioni che hanno portato il Presidente Obama ad esprimersi su alcune politiche governative adottate per prevalenti ragioni di sicurezza e difesa del Paese mediante l’uso di tecnologie per l’informazione e la comunicazione includendo la società civile, passando per lo strumento militare? Sta di fatto che tali politiche americane stanno influenzando anche l’Europa, che cerca faticosamente di radunare le proprie forze consistenti in diversissime individualità nazionali per ergersi come un gigante che deve fare i conti con le politiche di influenza di altre potenze mondiali come la Russia di Putin, sempre più ammaliate dalle molteplici “campagne di influenza” lanciate dalla Presidenza Trump anche al fine di preservare la sicurezza economica. Situazione che a livello internazionale sta determinando una vera e propria “guerra di influenza”, senza esclusione di colpi, in cui immaginare che l’atto ostile tradizionalmente inteso secondo i paradigmi del diritto internazionale si configuri anche in campo economico.
Si parte quindi dalle recenti politiche economiche internazionali, passando per le tecniche di “information war” per contrastare le cyber minacce, già incipit presidenziale sin dalla campagna elettorale, per arrivare alle più recenti politiche di influenza in perfetto Trump style ad ampio spettro come ad esempio l’dea di trasferire a Gerusalemme l’Ambasciata USA, di scendere a patti con la Corea del Nord o di annunciare il ritiro dei propri contingenti militari da scenari tradizionalmente a guida USA.
Anche il recente richiamo al National Emergency Act 1976 invocato dalla Presidenza Trump divulgato in rete per dichiarare lo stato di national emergency for border security ai confini con il Messico o dove all’occorrenza si presenti la minaccia al fine di costruire il c.d. Trump Wall di 1609km e l’annunciata approvazione del National Border Security Act and Military Operations sono per ora un chiaro esempio di manifestazione di uso graduale della forza nel cyber space.
Non sappiamo se si tratti di cyber space non law enforcement o dell’inizio di un cyber space law enforcement program messo in atto dalla Presidenza Trump emendando il National Emergency Act approvato e a sua volta emendato durante le Presidenze Bush, Clinton e Obama.
Davanti a una tale espressione di forza unitaria viene da porsi un solo interrogativo. Ma quanto dovremo attendere prima che l’Europa riesca ad ergersi come un gigante al pari dell’America con un slogan del tipo “Europa First” analogo a quello del Presidente Trump “America First”, consistendo in diversissime individualità nazionali e dovendo fare i conti con la Russia di Putin, nonché con le altre potenze mondiali, e non potendo ancora contare su un comune bagaglio e sull’uniforme applicazione di strategie e policy in materia di sicurezza cibernetica?
Difficile immaginarlo, soprattutto sotto il profilo identitario, nell’era in cui la Presidenza Trump si spinge già oltre la cyber war istituendo con una Direttiva dedicata la “Stand-Alone Space Force/Corps”, annunciata come una nuova branca “indipendente” delle Forze Armate americane, che ha ricevuto l’endorsement del Dipartimento della Difesa Americana, con il compito di proteggere gli “interessi americani nello spazio”.
Articolo a cura di Rosanna Derasmo