La trasformazione digitale del mondo del lavoro passa anche per le piattaforme online, che indubbiamente stanno generando nuova occupazione e nuove professionalità, grazie anche alla formazione e le nuove competenze, ma servono regole e un più ampio confronto internazionale sul tema.
Lavoro e piattaforme online: lo studio dell’ILO
Secondo il rapporto “Prospettive occupazionali e sociali nel mondo 2021. Il ruolo delle piattaforme digitale nella trasformazione del mondo del lavoro” (“World Employment and Social Outlook 2021: The role of digital labour platforms in transforming the world of work” ) dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), le piattaforme online per l’economia digitale sono quintuplicate in tutto il mondo negli ultimi dieci anni.
I costi e i benefici delle piattaforme digitali, però, non sono distribuiti equamente nel mondo. Il 96 per cento degli investimenti sono concentrati in Asia, Nord America ed Europa.
Il 70 per cento delle entrate convergono verso due soli paesi, Stati Uniti e Cina.
Sono due le tipologie principali di piattaforme di lavoro digitali:
- le piattaforme online basate sul web, dove le mansioni dei lavoratori vengono svolte online e a distanza;
- le piattaforme basate sulla localizzazione, dove le mansioni vengono eseguite in un luogo specificato da lavoratori come, ad esempio, i tassisti e i fattorini.
Benefici e costi
In particolare, tali piattaforme hanno rappresentato uno strumento unico di accesso al mondo del lavoro, negli ultimi anni, in particolare, secondo lo studio, per donne giovani e adulte, persone con disabilità e in generale per tutti coloro che vivono troppo ai margini del mercato del lavoro tradizionale (o perché troppo in là con gli anni, ma ancora in grado di lavorare).
Una forza lavoro eterogenea, che le imprese hanno ordinato in un mercato della flessibilità lavorativa in alcuni casi troppo spinto.
Per questo l’Ilo, attraverso il suo report, ha suggerito ad Istituzioni, organizzazioni di categoria e sindacali di confrontarsi su questo tema così importante per l’economia globale, a partire dalla necessità di regolamentare il settore, sia in termini di condizioni di lavoro, sia di retribuzione, fino alla libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva.
D’altronde, oggi, a livello globale, la metà dei lavoratori delle piattaforme online guadagna meno di 2 dollari all’ora. Inoltre, in alcune piattaforme si è riscontrato un divario salariale di genere significativo, con una meno chiara distinzione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi.
Dove intervenire
Gli algoritmi (che devono essere più trasparenti) stanno sostituendo gli esseri umani nell’assegnazione e nella valutazione del lavoro, e nell’amministrazione e nel monitoraggio dei lavoratori, con l’emergere di nuove criticità legate alla disoccupazione tecnologica.
Con le piattaforme che operano in più giurisdizioni, sono inoltre necessarie politiche coerenti e coordinate per garantire opportunità di lavoro dignitoso e favorire la crescita di imprese sostenibili, si legge nel rapporto.
Infine, il documento ha posto in evidenza anche il problema dell’esternalizzazione del lavoro sulle piattaforme online, basate sul web, da parte delle imprese del Nord del mondo, che poi è svolto dai lavoratori del Sud del mondo, che guadagnano meno delle loro controparti nei paesi sviluppati.
Un modello di crescita diseguale dell’economia digitale che non fa altro che estremizzare il divario digitale esistente e le disuguaglianze all’interno dei singoli Stati e tra continenti.