In questo grave periodo emergenziale, con l’infezione COVID-19 che si diffonde a ritmi impressionanti in tutto il mondo, si stanno rivalutando le opzioni tecnologiche come compagne di vita quotidiana e come efficace risposta alle esigenze che impongono al cittadino di restare a casa: si lavora dunque a distanza con il “lavoro agile” o smart-working, si studia da casa collegandosi mediante piattaforme telematiche a docenti e compagni di scuola o di università si fa – per quanto possibile, stante i tempi di consegna – la spesa on-line; si prescrivono medicine mediante ricette mediche dematerializzate inviate al paziente dal medico prescrittore via SMS, PEC, PEO o WhatsApp, etc.
Addirittura si parla di utilizzare la tecnologia come arma diretta per combattere la battaglia al coronavirus, visto che stiamo combattendo una guerra con le armi del Novecento… Ci si riferisce alla ipotesi – già impiegata dalla Corea del Sud con grande successo ai fini del contenimento della diffusione dell’epidemia – di utilizzare la geolocalizzazione dei cittadini mediante app specifiche per individuare i casi di nuovi contagiati, rintracciare i contatti dei 15 giorni precedenti e testarli per interrompere la catena di contagio, sapere chi si sposta dal luogo di residenza, e dove va, assicurarsi che i contagiati in quarantena non si muovano, etc: la stessa Autorità Garante per la protezione dei dati personali – rispetto all’utilizzo in via straordinaria di metodologie e tecnologie invasive della privacy – non si è dichiarata contraria, purché tali soluzioni – in quanto appunto straordinarie – siano anche temporanee. E va detto che app del genere sarebbero anche già disponibili in Italia: ad esempio un team di specialisti di SoftMining, uno spin-off dell’Università di Salerno, ha sviluppato una app denominata «SM_Covid19» in grado di valutare il rischio di trasmissione del virus attraverso il monitoraggio di chiunque sia positivo. Inoltre, il Ministero dell’Innovazione Tecnologica la Digitalizzazione ha lanciato lo scorso 20 Marzo la call “Innova per l’Italia”, un invito alle aziende, università, enti e centri di ricerca pubblici e privati, associazioni, cooperative, consorzi, fondazioni e istituti che, attraverso le proprie tecnologie, possono fornire un contributo nell’ambito dei dispositivi tecnologici per la prevenzione, la diagnostica e il monitoraggio per il contenimento e il contrasto del diffondersi del Coronavirus sull’intero territorio nazionale.
Il modello di autocertificazione può essere compilato ed esibito elettronicamente?
A fronte di un quadro come quello solo esemplificativamente sopra descritto, ci si domanda: il modello di autocertificazione per circolare che ogni cittadino deve esibire alle Forze dell’Ordine per giustificare i propri spostamenti da ultimo rilasciato dal Ministero dell’Interno, può essere compilato ed esibito elettronicamente all’agente che ci ferma e ci controlla?
A questa domanda sembrerebbe potersi dare una più che scontata risposta positiva. D’altra parte, la rappresentazione elettronica del modello di autocertificazione altro non sarebbe che un ulteriore esempio di come la tecnologia sia ormai parte sempre più integrante delle nostre attività quotidiane, tanto che probabilmente può affermarsi che uno dei pochi “lasciti” positivi della pandemia di COVID-19 sarà il forzato avanzamento culturale del nostro Paese – da sempre refrattario, anche per ragioni socio-demografiche, all’uso della tecnologia – che l’isolamento domiciliare sta imponendo.
Ma in realtà, la risposta “normativa” è – sorprendentemente – di segno contrario.
Sulla gravi criticità del modello ministeriale si è avuto già modo di esprimersi nella apposita analisi pubblicata da Key4Biz. Tra l’altro, per completezza informativa, va evidenziato che con Circolare del Capo della Polizia Gabrielli del 23 Marzo 2020 è stato diffuso un nuovo modello di autocertificazione (e siamo al terzo) che dovrà essere utilizzato dai cittadini italiani in sostituzione dei precedenti.
Il D.P.C.M. del 22 marzo 2020 ha difatti rimodulato le indicazioni relative al sistema di misure per il contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Sono state riviste in modo restrittivo le circostanze che legittimano gli spostamenti al di fuori della propria abitazione. Ciò ha comportato un aggiornamento del modello di autodichiarazione da compilare per motivare lo spostamento stesso. Ci si può quindi muovere soltanto per i seguenti motivi: comprovate esigenze lavorative, esigenze di assoluta urgenza e motivi di salute. Il nuovo D.P.C.M. del 22 Marzo 2020 abolisce la previsione, contenuta, nell’art. 1, comma 1, lett. a) del D.P.C.M. 8 marzo 2020, che assicurava il rientro tout court nel luogo di domicilio, abitazione o residenza. Tale rientro è consentito solo nel caso in cui lo spostamento all’esterno è connesso ai motivi sopra elencati. Ad esempio, rientra negli spostamenti per comprovate esigenze lavorative, il tragitto (anche pendolare) effettuato dal lavoratore dal proprio luogo di residenza, dimora e abitazione al luogo di lavoro. Rientrano nelle esigenze di assoluta urgenza, anche i casi in cui l’interessato si rechi presso grandi infrastrutture del sistema dei trasporti (aeroporti, porti e stazione ferroviari) per trasferire propri congiunti alla propria abitazione. Nel modello si devono ora autocertificare altresì le motivazioni di “assoluta urgenza per trasferirsi in un comune diverso” e indicare sia la residenza che il domicilio.
Polizia di Stato: “L’autocertificazione coronavirus: la compilazione è cartacea”
Si diceva della risposta sorprendentemente negativa alla possibilità di utilizzare un modello di autocertificazione in formato elettronico: sul punto è intervenuto il Comunicato ufficiale della Polizia di Stato del 18 Marzo 2020 “Autocertificazione coronavirus: la compilazione è cartacea” che così recita:
“In relazione alla notizia riportata da alcuni organi di informazione riguardante applicazioni per smartphone che sostituirebbero la autocertificazione coronavirus cartacea per coloro che escono da casa, la Polizia postale precisa che il ricorso a tali servizi, seppur motivato da esigenze di apparente semplificazione e velocizzazione delle procedure, si pone in contrasto con le prescrizioni attualmente vigenti”.
“L’autocertificazione coronavirus deve infatti essere firmata sia dal cittadino sottoposto al controllo che dall’operatore di polizia, previa identificazione del dichiarante. L’autocertificazione va inoltre acquisita in originale dall’operatore che effettua il controllo, per le successive verifiche”.
“Sotto altro profilo, si evidenzia come il ricorso a servizi non ufficiali né autorizzati da Autorità pubbliche per la compilazione del modello di autodichiarazione, esponga i cittadini ad una ulteriore e non secondaria insidia, legata al rispetto della dimensione della loro privacy”.
“Si ricordi, infatti, come i dati contenuti nel modello di autodichiarazione consentano di rivelare non soltanto la frequenza e la tipologia dello spostamento dell’individuo ma altresì le ragioni – personali e riservate – che giustificano tale spostamento e che possono ricollegarsi ad informazioni sensibili quali lo stato di salute, le esigenze personali le circostanze lavorative.
“L’acquisizione e la gestione di tali dati sensibili da parte di soggetti terzi, secondo quanto dispone il Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati (GDPR) e le prescrizioni nazionali in tema di diritto della privacy, sono sottoposte a precisi obblighi in tema, fra l’altro, di correttezza e trasparenza, consenso informato, limitazione del trattamento a specifiche finalità, aggiornamento e soprattutto integrità e riservatezza.
Tali obblighi sono posti a garanzia di tutti i cittadini contro potenziali e pericolosi abusi”.
Dunque, mentre tutto il mondo va verso la Tecnologia, per la Polizia di Stato questa “si pone in contrasto con le prescrizioni attualmente vigenti” per lo meno nella vicenda dalla compilazione, sottoscrizione ed esibizione del modello di autocertificazione, tanto che la validità legale del modello è riconosciuta esclusivamente alla versione cartacea, a leggere il Comunicato.
Perché per la Polizia di Stato la compilazione dell’autocertificazione deve essere solo cartacea?
E quali sono i motivi per cui per la Polizia di Stato una rappresentazione informatica del modello di autocertificazione (anche mediante app) non sarebbe valida? Sostanzialmente:
- perché si pone in contrasto con le prescrizioni attualmente vigenti;
- perché l’autocertificazione coronavirus deve essere firmata sia dal cittadino sottoposto al controllo che dall’operatore di polizia, previa identificazione del dichiarante;
- perché l’autocertificazione va acquisita in originale dall’operatore che effettua il controllo, per le successive verifiche.
Prima di affrontare nello specifico ciascuno dei tre punti sopra elencati, non ci si può esimere da una considerazione che è quella della estrema confusione che sta caratterizzando l’azione del Legislatore nella redazione di norme emergenziali in questo contesto. Tali norme (basta leggere la cronaca, anche odierna, per rendersene conto) sono ambigue, soggette a molteplici interpretazioni (quando in un contesto di emergenza dovrebbero essere chiare e non interpretabili). Si sta assistendo alla emanazione a ripetizione di dpcm, annunciati in TV o via Facebook e poi pubblicati in Gazzetta Ufficiale a distanza di giorni, con bozze più o meno ufficiali che intanto circolano creando confusione; vengono adottate ordinanze ministeriali di dubbia costituzionalità per limitare diritti e libertà fondamentali dei cittadini; alle norme già di per sé ambigue e poco chiare per la cittadinanza si aggiungono F.A.Q. governative (sulla portata dei vari dpcm), Circolari interpretative del Ministero dell’Interno (es: su uscite consentite o meno) fino ad arrivare al vero e proprio scontro di competenze istituzionali e costituzionali, con ordinanze regionali in contrasto con i dpcm del Governo centrale (è di oggi la notizia del Governatore della Lombardia che ha formalmente chiesto al Ministero dell’Interno se prevalga la sua ordinanza regionale – ben più restrittiva – sul dpcm 22 Marzo da ultimo emanato da Governo per limitare ulteriormente le attività produttive). E, volendo, anche emanare un modello di autocertificazione di terza generazione in pochissimi giorni appare evidenza di una dannosa stratificazione di una “legiferazione” quotidiana che a questo punto appare però sempre temporanea e soggetta a modifiche di giorno in giorno. Con incertezza che si aggiunge ad incertezza.
È ovvio che in questo contesto – se non si vuole passare dalla confusione al vero e proprio caos – anche altri organi istituzionali dovrebbero astenersi dall’alimentare, con i loro interventi per lo meno imprecisi – la confusione che già appare regnare sovrana.
Tornando alla Polizia di Stato, va preliminarmente – e da cittadini – fatto un plauso generale a tutte le Forze dell’Ordine per il fondamentale lavoro che queste stanno svolgendo nel garantire un ordinato vivere sociale in un momento di forte rischio non solo sanitario, ma anche di tenuta sociale che gravi emergenze del genere portano con sé.
Non si può tuttavia concordare da un punto di vista giuridico e normativo con il Comunicato della Polizia di Stato che di fatto evidenzia come sia unicamente valido il modello cartaceo dell’autocertificazione.
Il CAD riconosce in via generale a tutti i cittadini il Diritto all’utilizzo delle tecnologie
In primo luogo, e con riferimento al fatto che il modello di autocertificazione formato, compilato, e messo a disposizione dell’agente accertatore in via elettronica si porrebbe “in contrasto con le prescrizioni attualmente vigenti”, non si riesce a comprendere in cosa consisterebbe tale violazione se è vero – come è vero – che è al contrario vigente un principio fondamentale contenuto all’articolo 3 del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. 82/2005 – CAD) che riconosce in via generale a tutti i cittadini il Diritto all’utilizzo delle tecnologie: “Chiunque ha il diritto di usare, in modo accessibile ed efficace, le soluzioni e gli strumenti di cui al presente Codice nei rapporti con i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2 (cioè con tutte le amministrazioni dello Stato, n.d.r.)”.
Né appare che tale principio sia stato abrogato dal susseguirsi delle norme emergenziali (ovviamente di rango legislativo, perché certo non potrebbe una ordinanza o una circolare ministeriale avere effetto abrogativo di una norma di legge) di talchè si sia determinato un principio inverso nel nostro ordinamento in base al quale è divenuto illegale utilizzare nei rapporti con le Forze dell’Ordine “strumenti” di cui al CAD, come ad esempio il documento informatico.
D’altra parte, sono proprio le amministrazioni dello Stato – al contrario – obbligate a favorire “ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili e migliorare la qualità dei propri atti”: altro principio fondamentale e di carattere generale di cui all’articolo 9 del CAD.
E inoltre, sono le stesse pubbliche amministrazioni a dover utilizzare “le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, nonche’ per ‘effettivo riconoscimento dei diritti dei cittadini” (art. 12 CAD).
E si potrebbe continuare a lungo…
Tra gli “strumenti” che ai sensi del CAD i cittadini possono utilizzare c’è appunto il “documento informatico” e cioè, ai sensi dell’articolo 1, coma 1, lettera (p) del CAD, “il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. Dunque, non può essere revocato in dubbio che il modello di autocertificazione – se formato elettronicamente – sia un documento informatico valido e rilevante ad ogni effetto di legge.
Ma addirittura, sarebbe valido e rilevante non solo il modello di autocertificazione nativamente digitale, ma anche quello che sia il risultato di una scansione di un documento cartaceo originale: avremmo cioè una “copia informatica di documento analogico” e cioè “il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento analogico da cui è tratto” oppure una “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico: il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto”.
Il modello di autocertificazione elettronico
Ovviamente, un modello di autocertificazione elettronico (sia come documento informatico nativamente digitale, sia come copia di un documento cartaceo originale) potrà avere la piena validità e fare piena prova se sottoscritto con firma digitale oppure altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, ove sia formato, previa identificazione informatica del suo autore, con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore. Va evidenziato che comunque, in tutti gli altri casi, l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio non sono esclusi: saranno liberamente valutabili in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità.
E veniamo così al secondo motivo del Comunicato della Polizia di Stato per cui il modello di autocertificazione unicamente valido sarebbe quello cartaceo: è l’unico che può recare la sottoscrizione del cittadino che lo esibisce e la controfirma dell’agente accertatore.
Ma anche questa motivazione non regge a fronte dello specifico quadro normativo in materia di “Dichiarazioni sostitutive di certificazione” (cfr. art. 46 D.p.r. 445/2000) e di quello più specifico in materia di sottoscrizioni elettroniche. Tale contributo non vuole essere un approfondimento tecnico-giuridico, ma semplicemente mira ad evidenziare come il Comunicato della Polizia di Stato sulla validità del modello di autocertificazione rechi affermazioni di dubbia validità se raffrontate – come stiamo facendo – alle norme dell’ordinamento applicabili.
Cosa sta confondendo la Polizia di Stato
Partiamo dalle norme del d.p.r. 445/2000 che non richiedono affatto la controfirma del pubblico ufficiale per dare validità al modello di autodichiarazione (cfr. artt. 46-49 del d.p.r. 445/2000). A proposito di confusione: si sta confondendo la “dichiarazione sostitutiva di certificazione” con le dichiarazioni rese avanti a una Forza di polizia di controllo, che andrebbero semplicemente verbalizzate (e sottoscritte) a loro cura, considerate le funzioni di pubblico ufficiale. In alcun modo la dichiarazione sostitutiva – che ha natura personale ed è imputabile al solo dichiarante – può mai ricevere una efficacia in conseguenza della sottoscrizione dell’esponente delle Forze dell’Ordine che effettua il controllo. Né tale sottoscrizione è precondizione della validità della autodichiarazione.
Come sottoscrivere l’autocertificazione con firme digitali
Chiarito che servirebbe solo la sottoscrizione del dichiarante, vediamo come sia possibile “apporla” elettronicamente su un modulo digitale. Nel nostro ordinamento esistono una pletora di “firme elettroniche”, disciplinate dal Codice dell’Amministrazione Digitale e dal Regolamento UE 90/2014: ancora, senza scendere nel tecnicismo, sarebbe possibile “firmare” il modello digitale di autocertificazione (con diversi effetti giuridici sul piano probatorio, ma con la stessa validità giuridica generale): con un pin, una One Time Password generata univocamente da una app, con un QR code che rinvii alla sottoscrizione del dichiarante (è stato fatto così in Cina), etc. Ovviamente, fino ad arrivare alla firme più evolute e incontestabili sul piano di imputabilità e autenticità: la firma digitale, la firma elettronica avanzata qualificata, la firma grafometrica (che si basa su dati biometrici del titolare: la pressione della mano che sottoscrive come apponendo una firma autografa, solo che viene apposta sul uno screen digitale).
Quindi, affermare che un modello di autocertificazione digitale sarebbe invalido per l’impossibilità di approvi la sottoscrizione come su quello cartacea e per lo meno inesatto a fronte del quadro giuridico in materia di sottoscrizioni elettroniche in cui proprio l’Italia è stata pioniera, avendo avuto una legge in materia fin dal 1997 (513/97).
Firmare l’autocertificazione con SPID
C’è poi il tanto decantato SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale), la “identità digitale” univoca che ciascun cittadino italiano può gratuitamente ottenere, che ben può essere associato ad un modulo di autocertificazione elettronico ai fini della imputabilità e validità: tanto è vero che proprio in data odierna la Ministra dell’Innovazione Paola Pisano ha affermato che “sarebbe interessante riuscire a fare un’autocertificazione per giustificare i movimenti dei cittadini, in funzione anti-Coronavirus che si lega a SPID, all’identificativo digitale unico, in modo da sapere a chi appartiene. Oggi questo processo fa ancora fatica ad entrare nella mentalità della PA, che preferisce gestire le cose, soprattutto in questo periodo di emergenza, in modo più standard. Il Ministro dell’Interno, che ha la responsabilità sulla gestione dei permessi e dell’autocertificazioni, è quello competente”.
C’è infine il terzo motivo che il Comunicato della Polizia di Stato evidenzia come fondante la validità del solo modello di autocertificazione cartaceo: perché l’autocertificazione va acquisita in originale dall’operatore che effettua il controllo, per le successive verifiche. A questo “motivo” risulta facile controbattere come segue: sarebbe sufficiente che il modello di autocertificazione digitale (va ricordato che sono tutti “originali” i documenti informatici nativamente digitali) sottoscritto validamente in via elettronica come sopra spiegato sia poi trasmesso (anche dallo smartphone) ad un indirizzo PEC o PEO ufficiale fornito al dichiarante dall’ufficiale delle Forze dell’Ordine che procede al controllo.
Conclusioni
Tra l’altro, traendo anche alcune conclusioni pratiche, un modello di autocertificazione elettronica risolverebbe anche una serie di problematiche pratiche che espongono al rischio di denuncia, soprattutto a fronte di interpretazioni personalistiche delle norme. Ad esempio, se è vero che il modello deve essere messo a disposizione da parte dell’ufficiale che procede al controllo al cittadino che ne sia trovato privo (per esempio perché non ha la possibilità di stamparlo a casa o perché ne è trovato comunque sprovvisto), cosa accadrebbe se quella pattuglia che ci ferma al controllo ha finito in quel giorno modelli cartacei per la mole dei precedenti controlli? E se il cittadino utilizza vecchi modelli di autocertificazione (precedenti a quello ultimo del 23 Marzo 2020)?
Sappiamo – perché lo stiamo leggendo sui giornali e viene riportato dai media – di applicazioni e interpretazioni anche personalistiche delle norme in sede di controllo (ad esempio, ad una signora nel padovano è stato contestato in sede di controllo che uscire a fare la spesa non sarebbe “una necessità indifferibile”). Se – poniamo – usciamo da casa con il nostro modello cartaceo stampato, ci ferma una pattuglia e consegniamo la nostra stampa cartacea all’agente che ci controlla, cosa accadrebbe se veniamo fermati successivamente da un’altra pattuglia e magari – senza fornirci il modello – ci viene contestato che siamo usciti senza?
Tutte ipotesi non irragionevoli che comportano rischi di denuncia che invece la conservazione del modello in formato digitale sul nostro smartphone eviterebbe….
Nel modulo dove è l’informativa privacy?
Infine, il Comunicato della Polizia di Stato contiene alcune imprecisioni lato normativa sulla protezione dei dati personali: ci si riferisce alla parte in cui si dichiara che “l’acquisizione e la gestione di dati sensibili (nel modello si deve infatti dichiarare la non positività al COVID-19 indicando propri dati sanitari, n.d.r.) …. sono sottoposte a precisi obblighi in tema, fra l’altro, consenso informato…”. Ora, a parte che se fosse necessario (e non lo è) il “consenso informato” come base di legittimità del trattamento (rappresentato dalla raccolta e conservazione del modello da parte delle Forze dell’Ordine) si dovrebbe spiegare alla cittadinanza: come e dove è resa l’informativa e come e dove è possibile esprimere il consenso (di informativa e formule per esprimere il consenso, difatti, non vi sarebbe traccia nel modello di autocertificazione, anche se l’informativa può essere resa in via semplificata oralmente), in realtà va ricordato che le Forze dell’Ordine possono basare il trattamento di “l’acquisizione e la gestione di dati sensibili” di cui al modello sulla base dell’articolo 14 del decreto legge 9 marzo 2020, n. 14 recante Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza COVID-19. Prevede difatti l’art. 14, comma 1, che le Forze di Polizia e le Forze armate (cfr. art. 3, comma 5, del decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6) – in qualità di “soggetti deputati a monitorare e a garantire l’esecuzione delle misure disposte”- anche allo scopo di assicurare la più efficace gestione dei flussi e dell’interscambio di dati personali, possono effettuare trattamenti, ivi inclusa la comunicazione tra loro, dei dati personali, anche sensibili (di particolare natura) e relativi alla commissione dei reati ai sensi degli articoli 9 e 10 del regolamento (UE) 2016/679, che risultino necessari all’espletamento delle funzioni attribuitegli nell’ambito dell’emergenza determinata dal diffondersi del COVID-19.
La base di legittimità del trattamento, dunque, è la legge e non c’è bisogno di alcun “consenso informato” del cittadino fermato per i controlli, con la conseguenza che il riferimento al consenso contenuto nel Comunicato Stampa della Polizia di Stato appare impreciso e fuorviante.