Il rischio più imminente dell’uso dell’intelligenza artificiale generativa in azienda è molto simile a quello che un tempo veniva definito “bring you own device“. Il lavoratore si portava dietro il proprio smartphone (in rari casi tablet o notebook) da usare anche per questioni professionali. I motivi? Almeno due: da un lato l’assenza della dotazione mobile da parte del datore, dall’altro la comodità nell’avere in un solo oggetto sia la gestione della vita privata che di quella lavorativa. Il tutto, direttamente proporzionale alla crescita del “rischio”, ossia delle criticità dovute ad un utilizzo spesso spassionato di un terminale divenuto nel tempo forziere di dati di valore, senza un’adeguata serratura a proteggerlo.
Con l’AI generativa siamo giunti ad un punto di non ritorno: ChatGpt e soci sono liberamente disponibili e, come è evidente anche dai numeri che citeremo qui sotto, diventano compagni fedeli anche dell’italiano che accende il computer e si mette a lavorare. Qual è il problema? Non uno ma tanti. Il primo e più ovvio: le allucinazioni. Se sfruttiamo i chatbot per conoscere quando è scoppiata la Seconda Guerra Mondiale possiamo ottenere risposte incoerenti, che se non legate direttamente al proprio ambito lavorativo, fanno male solo al nostro percorso di studi, che evidentemente è andato altrove rispetto agli obiettivi che ci eravamo posti.
Strumenti utili ma da coordinare
Se invece ci affidiamo all’intelligenza artificiale per sintetizzare documenti, scrivere email basate su dati contestuali, creare slide che mettano al centro informazioni particolari, allora farlo con strumenti “non aziendali” può creare problematiche serie, che poi si riflettono su un workflow più esteso, se non su tutta l’organizzazione. Ed eccoci al punto: secondo il più recente Work Trend Index di Microsoft e LinkedIn, che è possibile scaricare qui, il 75% dei 31.000 dipendenti intervistati in 31 paesi al mondo, usa al lavoro l’intelligenza artificiale generativa. Di questi, il 78% lo fa per proprio conto, ossia con le piattaforme a disposizione che trova sul telefonino e su altri mezzi di comunicazione, anche tablet e computer. In Italia siamo messi più o meno uguale, con la fetta che scende di poco, al 73%. Nelle piccole e medie imprese si sale all’80%.
Nasce il BYOAI
Microsoft parla di un fenomeno in ascesa, quello del “bring your own AI“. Un termine su cui bisogna prestare parecchia attenzione, soprattutto quando si comincerà a monitorare l’uso dell’AI generativa e il suo impatto sulla sicurezza delle reti aziendali. Dal report emerge inoltre il sempre attuale e urgente tema delle competenze: se il 76% degli intervistati a livello globale afferma di sentire il bisogno di dotarsi di abilità specifiche per l’utilizzo dell’AI per rimanere competitivi nel mercato del lavoro, il 79% afferma che le competenze di AI amplieranno le loro opportunità di lavoro. Queste affermazioni trovano riscontro anche dal punto di vista delle aziende, con il 62% dei manager italiani che sostiene di non voler assumere risorse senza competenze di AI.
Detto ciò, l’AI Generativa si conferma valida alleata per le persone all’interno delle organizzazioni. Sempre secondo lo studio, tra gli utenti che oggi stanno facendo un utilizzo importante di strumenti AI per svolgere le loro attività, il 92% ha riscontrato una maggiore facilità nel lavoro, stessa percentuale di chi riscontra un aumento della creatività. Il 93% sostiene che l’AI aiuta la concentrazione sulle attività più importanti e che grazie alla tecnologia si sente più motivato per i propri compiti.
Strumento intergenerazionale
Fa specie evidenziare come l’impatto dell’AI generativa, nonostante chi cerchi di sminuirne l’importanza, coinvolga tutti. Il Work Index ha analizzato le fasce d’età degli utenti che portano a lavoro ChatGpt, Copilot e simili, arrivando a dimostrare come non siano solo le generazioni più giovani a essere affascinati dai chatbot. L’85% dei lavoratori parte dell’onda BYOAI è della Generazione Z, il 78% riguarda i Millennials, il 76% la Generazione X e il 73% i Boomers o più. Per Microsoft i dati sono chiari: “le persone sono sopraffatte dal digitale e quando sotto pressione a lavoro si rivolgono all’intelligenza artificiale per snellire i compiti e sollevarsi dalle attività”.
Corsa alla carriera
Ciò solleva la questione dei talenti. Una delle professioni del futuro sarà senza dubbio l’esperto di prompt, una persona con le dovute competenze per dialogare con l’AI e trarre da questa il vantaggio maggiore. Mentre i dipendenti temono la perdita del posto di lavoro a causa dell’intelligenza artificiale, la maggior parte dei leader teme di non poter ricoprire ruoli chiave. Secondo LinkedIn, negli ultimi otto anni, le assunzioni di esperti nel campo dell’AI sono aumentate del 323%. L’asticella si è abbassata e ora mira a coinvolgere persone che ne sappiano di AI ma dal punto di vista della comunicazione, ovvero del sapere utilizzare strumenti di intelligenza artificiale generativa come ChatGPT e Copilot: il 71% dei leader intervistati dal report sottolinea che preferirebbe assumere un candidato meno esperto con competenze di intelligenza artificiale rispetto ad un senior che non ne sa nulla. E i profili junior potrebbero avere un ulteriore vantaggio: per il 77% del campione, chi a inizio carriera avrà già dimostrato di avere comprensione e padronanza nella gestione dell’AI potrà avere compiti di maggiore responsabilità, bruciando le tappe.