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Labriola Unchained? L’AD di TIM a caccia di consensi in vista del CdA, ma sbaglia completamente la mira

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L’articolo a firma di Pietro Labriola, AD di TIM, pubblicata sul Sole24Ore di sabato lascia sconcertati: affermazioni superficiali, inesattezze o bugie? Lo lasciamo decidere a voi.

Quando ho letto l’intervento di Pietro Labriola di sabato sul Sole24Ore, devo ammetterlo, sono saltato sulla sedia. Mi sono chiesto: ma come si possono scrivere cose simili? Come fa l’amministratore delegato di una grande azienda come TIM ad inanellare una serie di corbellerie una dietro l’altra? Infine, come si fa a dichiarare così inconsapevolmente un così grave deficit di visione strategica sul futuro di TIM e su quello che l’impresa da egli stesso guidata intende fare per superare la crisi aziendale che si sta sempre più aggravando?

Ho riflettuto sulla opportunità di esprimere una valutazione su quanto letto o meno. Alla fine ha prevalso l’esigenza di fare luce, perché la chiarezza è l’unica cosa di cui non si può mai fare a meno.

Tre i punti principali che Labriola solleva:

  1. Servono decisioni coraggiose e dirompenti,
  2. Tim è in sofferenza per i problemi comuni a tutto il settore europeo delle telecomunicazioni,
  3. Pesano alcune specifiche criticità del contesto italiano.

E allora entriamo nel merito delle considerazioni fatte da Pietro Labriola e vediamo perché la sua analisi è completamente, ripeto completamente, sbagliata.

Labriola: “Servono decisioni coraggiose e dirompenti”. Ma allora decida!

Ma chi dovrebbe prendere queste decisioni?

“…Da oltre un anno parliamo della separazione della rete” afferma Pietro Labriola. Se egli ritiene che si debba procedere con la separazione della rete, perché non l’ha fatto? Da chi dipende, secondo lui, una scelta del genere? Chi glielo ha impedito? Pietro Labriola si lamenta sempre (ma evidentemente manca di ricordarlo a sé stesso) del fatto che TIM è una azienda privata e, come tale, non vuole interferenze del Governo. Ma allora la decisione è solo sua, interna, aziendale. E se è solo sua, perché la sta ritardando? Che aspetta? Perché questi continui, estenuanti rinvii? Inoltre poteva procedere, nel frattempo, con la societarizzazione della NetCo e della ServCo, perché non lo ha fatto?

Come è noto a chi ci segue, siamo del tutto contrari alla vendita della rete da parte di TIM, perché è una decisione sbagliata che porterà alla morte dell’azienda. Ecco perché, dal momento che a Pietro Labriola piacciono tanto i confronti internazionali, gli chiediamo di indicarci il nome di un solo operatore incumbent nel mondo che non abbia la rete ovvero che se ne sia disfatto.

La realtà vera è che Pietro Labriola non ha le caratteristiche di chi dovrebbe guidare un’azienda come TIM. Non ne ha l’autorevolezza. Non è stato in grado di presentare un piano convincente per il futuro dell’azienda, nonostante lo stuolo di consulenti, tutti molto ben pagati, di cui si è servito.

I problemi di TIM, un’azienda mal guidata e con un pesante scontro tra azionisti

Quanto sin qui descritto, avviene in un quadro di difficoltà oggettiva di TIM, con una guida incerta e in cui gli stessi soci sono tra loro pesantemente divisi, in modo anche più marcato (cosa che sarebbe sembrata impossibile all’epoca) rispetto alle contrapposizioni azionarie del passato. Nessuno sa cosa ciascuno di essi voglia. O meglio. Si sa solo che non vogliono mettere mano al portafoglio, per fare la cosa che serve da anni: ricapitalizzare TIM, mettendo sul tavolo soldi di cui l’azienda avrebbe tanto bisogno. Si sa invece che sono a caccia di dividendi straordinari, per finire di spolpare quello che rimane di un’azienda che fino a una quindicina di anni fa ha rappresentato l’Italia nel mondo con competenza ed autorevolezza.

Perché Labriola chiede nuove regole, ma a chi?

Anche sul tema “…dell’urgenza di nuove regole…” che Labriola invoca, egli dovrebbe ben sapere che le regole del settore Tlc sono stabilite a livello europeo. Per cui se ritiene necessario cambiare le regole, anche se non si capisce poi quali e dopo che per anni il mantra è stato che “servivano meno regole”, allora si dia da fare a Bruxelles, dove peraltro TIM è praticamente assente ed esclusa da tutti i tavoli che contano a cominciare dal Club ristretto creato dai principali operatori europei Deutsche Telecom, Orange, Telefonica e Vodafone.

Le richieste di Labriola sembrano quelle di un diciottenne che chiede la paghetta

 “…Occorre creare un nuovo assetto su, prezzi, regolamentazione, numero di players…” è quanto sostiene Pietro Labriola. Ma cosa intende dire? I prezzi retail sono liberi. Ci sono solo dei vincoli regolamentari ed antitrust nel caso di prezzi retail troppo bassi, che non permettono di avere margini sufficienti ad altri operatori che devono duplicare il servizio. Ma non sembra essere questo il caso, visto che lui dichiara di volere prezzi retail più alti.

Pietro Labriola continua poi il suo intervento sostenendo che “…TIM ha avviato una trasformazione profonda, che sta portando i primi risultati e ci ha fatto guadagnare credibilità sui mercati”.

Intanto, sarebbe quantomeno utile sapere in che cosa consisterebbe questa “trasformazione profonda”. Quali sono questi “primi risultati” di cui parla? Nel 2021, TIM ha avuto una perdita di 8,7 miliardi, nel 2022 di oltre 3 miliardi. Il debito è cresciuto. Cash flow e margini si stanno riducendo. Di cosa parla esattamente Labriola?

Per quanto riguarda la credibilità sui mercati, basta alzare il telefono e chiamare Londra per parlare con i pochi analisti di banche d’affari che ancora seguono TIM (ormai anche loro esausti), per capire che la credibilità attuale di TIM è pari a zero. Non a caso il target price del titolo in Borsa è stato fissato da alcune banche a 0,16 Euro. Il titolo si regge solo sulla speculazione che possa vendere asset e si possa forse creare, un giorno, la fantomatica rete unica grazie ai soldi pubblici. Cosa che ci auguriamo non avvenga mai come vorrebbero fare Labriola e i soggetti al centro delle vicende di questi giorni sulle offerte di acquisto della rete.

Secondo Pietro Labriola Tim soffre dei problemi comuni a tutto il settore europeo delle Tlc. Ma non è vero

Sì, purtroppo per lui non è così. È vero che gli operatori di telecomunicazioni europei stanno soffrendo alla ricerca di nuovi business model, ma TIM è l’operatore che ha tra i peggiori risultati in tutta Europa. Vogliamo entrare in dettaglio, invece di far chiacchiere?

Deutsche Telekom (Germania) vale in borsa 110 miliardi di euro, Orange (Francia) vale 30 miliardi di euro, Vodafone (UK) vale 28 miliardi di euro, Telefonica (Spagna) vale 24 miliardi di euro, mentre TIM vale oggi 6 miliardi di euro, un valore che comprende le azioni risparmio ed ingloba anche il valore della partecipazione in TIM Brasil. Il che vuol dire che TIM vale un quarto o poco meno di Vodafone e Telefonica, vale un quinto di Orange, infine un diciottesimo di Deutsche Telekom.

E, francamente, ci risparmi Pietro Labriola la considerazione secondo cui questi operatori capitalizzano di più perché sono pubblici. Da che mondo e mondo, un’azienda privata dovrebbe avere performance migliori di quelle pubbliche e TIM è tutta privata.

Forse la ragione per cui Deutsche Telekom, Orange, Telefonica o Vodafone vanno meglio di TIM è perché hanno alla guida manager migliori.

Nessuno in Europa ha stipendi e bonus come quelli del top management di TIM

Faccio notare che nessun CEO tra gli operatori europei ha stipendi, bonus, MBO, LTI come quello che ha Pietro Labriola in TIM.

Anche su questo sarebbe interessante fare un benchmark europeo. Ne scopriremmo delle belle. Su questo allora sì, TIM è prima in Europa ed è proprio questa, forse, la ragione per cui Vivendi ed altri soci sono intenzionati a bocciare il nuovo piano di incentivi per l’Amministratore Delegato e per il management di TIM.

Ecco alcune perle sulle presunte criticità del contesto italiano

Secondo Labriola il problema del mercato italiano è che “…la presenza di troppi operatori si riflette in una contrazione dei prezzi senza eguali. In Italia i prezzi risultano nettamente inferiori rispetto a quelli degli altri Paesi”.

Quello che dice Pietro Labriola non corrisponde al vero. Neanche un po’. Anzi, lascia molto perplessi che l’amministratore delegato di una società come TIM non segua con maggiore attenzione quello che succede a Bruxelles, non legga le classifiche DESI e non consideri i documenti pubblicati dalla Commissione europea.

Caro Labriola, diciamocelo con franchezza, la storia che i prezzi italiani sono più bassi è una bufala grande come una casa.

E infatti non è vero che l’Italia è il paese con i prezzi della banda larga più bassi d’Europa. Secondo la Commissione Europea, l’Italia è soltanto al 12° posto fra i Paesi Ue con le connessioni più economiche. Ci sono ben 11 Paesi, in cui i prezzi della larga banda sono più bassi dei prezzi italiani. Tra questi figurano, udite udite, la Spagna (dove opera Telefonica), la Francia (dove opera Orange) e la Germania (dove opera Deutsche Telekom). Basta guardare la tabella del DESI 2022, che è l’Indice europeo sul grado di digitalizzazione della Ue, per verificare come stanno davvero le cose.

Fonte: DESI 2022, tabella a pagina 20

L’indice dei prezzi della banda larga misura i prezzi di panieri rappresentativi di telefonia fissa, mobile e offerte convergenti a banda larga.

Il Broadband Price Index è un punteggio che misura i prezzi di oltre 30 panieri di consumo di diverse velocità e diversi prodotti (internet standalone, double play, triple e quadruple play).

Leggi anche: Non è vero che l’Italia è il paese con i prezzi della banda larga più bassi d’Europa

I servizi a banda larga di rete fissa (FTTH e FTTC) sono venduti allo stesso prezzo

Sempre secondo Labriola altra ragione della difficoltà ad operare sul mercato italiano è che “…i servizi a banda larga di rete fissa sono venduti allo stesso prezzo…”.

Ma, ancora una volta, a chi dare la colpa? I prezzi retail sono liberi. Non sono regolamentati.

I prezzi uguali di FTTC (Fiber to the Cabinet) e FTTH (Fiber to the Home) non dipendono dal fatto che lo Stato non è azionista. Sono frutto di decisioni manageriali sbagliate soprattutto da parte di TIM.

È stata proprio TIM a creare confusione sul mercato vendendo FTTC come se fosse fibra, affermando che in fondo sono la stessa cosa. Basta guardare le pubblicità. Oltre che le osservazioni dell’antitrust (perché risultava una alterazione delle regole di cncorrenza di mercato). Molti operatori si sono dovuti inventare il concetto di vera fibra perché TIM ha creato questa confusione.

Poi c’è la seconda bufala sulla presunta mancanza di domanda

Altra affermazione infondata di Pietro Labriola è che non c’è domanda. Facile affermazione dietro cui il nostro nobile condottiero si nasconde per giustificare gli scarsi risultati di cui è responsabile.

Non è vero che non c’è domanda. Basti guardare i dati delle Aree nere. Più del 50% di take up con TIM che volutamente migra i clienti dal rame alla fibra con il contagocce.

FTTC contro FTTH?

Così come non è vero che in Germania e in UK non c’è fibra perché con FTTC si va veloci. La verità è che in quei Paesi esiste da sempre il DOCSIS (internet su cavo usato per TV) e quindi i player storici del cavo sono diventati fornitori di banda ultra larga. In Italia, come è noto, la televisione via cavo non c’è mai stata.

E in Italia si stanno facendo investimenti in fibra solo grazie ai soldi pubblici nazionali ed europei (adesso anche quelli del PNRR) messi a disposizione dal Governo per evitare che il Paese rimanesse indietro. Se fosse stato per TIM saremmo ancora all’età della pietra, anzi all’età del rame.

La presenza di TIM Brasil è fondamentale? Una corbelleria

Altra affermazione inutile di Pietro Labriola di cui prendiamo nota accuratamente perché siamo convinti che tra alcuni mesi dirà il contrario è che “…è evidente che la nostra presenza in Brasile è fondamentale…”.

Pietro Labriola ci può spiegare la motivazione o, meglio, può spiegarla ai suoi azionisti? Quali sarebbero le sinergie tra TIM e TIM Brasil? Per carità, è chiaro che il Brasile è un Paese che tutti amiamo. Ma quale possibilità ha TIM di mantenere TIM Brasil? Se TIM non ha neanche la capacità di fare investimenti nel proprio Paese, come può farli in Brasile, un Paese straordinariamente grande, che ha una estensione territoriale pari a tutta l’Europa? TIM Brasil ha venduto la maggioranza della sua Fibercop brasiliana, la sua società della fibra, perché non era in grado da sola di fare gli investimenti necessari. Come potrà fare ad investire nel 5G?

Labriola: “I limiti di emissioni sono i più stringenti d’Europa”

Labriola sostiene che “…i limiti di emissione elettromagnetica vigenti in Italia sono 10 volte più stringenti di quelli europei”.

Anche questa è una affermazione falsa e vi spieghiamo il perché. Anzi lo facciamo ponendo una domanda a Pietro Labriola: “si è mai chiesto perché l’Italia non segue le regole europee e non fa la stessa misurazione come gli altri paesi europei?”.

Allora sì, avrebbe senso avere gli stessi limiti.

L’Italia infatti, al contrario di quanto fanno tutti gli altri Paesi europei misura le emissioni sulle 24 ore, mentre in Europa le misurazioni avvengono in un lasso di 15 minuti. È chiaro che se si cambia il modo di fare le misurazioni cambieranno anche i risultati.

Commisurare i limiti elettromagnetici italiani con quelli europei è come confrontare le pere con la cicoria, dicendo che sono due frutti straordinari.

La misurazione su 24 ore permette di abbassare i valori di picco rispetto ai valori medi. Questo perché i valori di picco possono magari anche superare i 6 v/m, ma se si fa una media spalmata su 24 ore non si superano mai.

5G e limiti elettromagnetici. La ‘furbata’ degli operatori: valori nominali e non effettivi

Però, al di là di questa questione tecnica, c’è una questione legata al fatto che c’è una ‘furbata’ da parte degli operatori di tlc, nel senso che quando gli operatori vanno nelle regioni italiane devono dialogare, in ciascuna regione, con l’Arpa (Agenzia Regionale Protezione dell’Ambiente), che deve dare l’autorizzazione alle emissioni, un’autorizzazione basata normalmente sui valori di emissione nominali, dichiarati dagli operatori stessi. E gli operatori fanno una furbata: non dichiarano mai il valore effettivo, che adoperano realmente. Ma per accaparrarsi dello spazio elettromagnetico (della potenza di emissione, ndr) si prendono tutte le potenze che possono arrivare fino a non sforare il limite massimo di 6 v/m. Ad esempio, anche se stanno trasmettendo alla potenza di 10 watt, dichiarano magari 30 watt perché così nessun altro competitor può salire su quel tetto, dove si trova l’impianto di trasmissione. E così si prendono tutto, accaparrandosi tutta la capacità trasmissiva.

Leggi anche: 5G e limiti elettromagnetici. Tutto quello che non si dice sulla misurazione dell’elettrosmog

Ci fermiamo qui

Sì ci fermiamo qui. Naturalmente saremmo ben lieti di ospitare i commenti che Pietro Labriola volesse fare su quanto qui da noi dichiarato, dando risposte alle nostre osservazioni. Ci auguriamo che lo faccia, per amor di trasparenza, qualità di cui questa industry non può fare più a meno.

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