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La Videosorveglianza dopo il Jobs Act: una rivoluzione ‘a metà’?

jobs act

Anticipati dalla pubblicazione sul portale istituzionale del Governo, in data 23 settembre 2015 sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale gli ultimi decreti attuativi del c.d. “Jobs Act”[1], approvati in via definitiva durante il Consiglio dei Ministri del 4 settembre 2015[2].

Tra le modifiche più interessanti e discusse figura anche la annunciata revisione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori[3], in materia di controllo a distanza dei lavoratori, che impatta sulla normativa del Garante Privacy per la videosorveglianza sui luoghi di lavoro[4].

La modifica in questione è stata commentata, prima ancora della pubblicazione del testo, dai membri del Governo coinvolti nella sua approvazione e dalla stampa generalista come una sostanziale “modernizzazione” delle disposizioni precedentemente vigenti in materia di controllo a distanza dei lavoratori e di videosorveglianza, concepita in accordo con il Garante Privacy e volta a consentire l’utilizzo di specifiche tecnologie di controllo dei lavoratori, seguendo quanto già posto in essere in America e negli altri Stati Membri UE e superando una impostazione oramai desueta, nelle interazioni tra Privacy e Diritto del Lavoro.

Di fatto, il provvedimento, se da un lato introduce alcune nozioni certamente innovative sulle motivazioni e le metodologie di controllo a distanza dei lavoratori, dall’altro in realtà non sembra sovvertire la finalità e le caratteristiche generali della norma originaria, limitandosi sostanzialmente a spostarne il fulcro e a circoscriverne la portata applicativa a specifiche fattispecie.

L’originaria formulazione dell’articolo 4 dello Statuto prescriveva[5] infatti:

  1. “1. E’ vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
  2. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti.
  3. Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l’Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall’entrata in vigore della  presente  legge,  dettando all’occorrenza  le  prescrizioni  per l’adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti.
  4. Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo   e   terzo  comma,  il  datore  di  lavoro,  le rappresentanze  sindacali  aziendali  o,  in  mancanza  di queste, la commissione  interna,  oppure  i  sindacati  dei lavoratori di cui al successivo   art.   19  possono  ricorrere,  entro  30  giorni  dalla comunicazione  del  provvedimento,  al  Ministro  per  il lavoro e la previdenza sociale.”

 

Il nuovo articolo 4 dello Statuto, come riformato dall’art. 23, comma 1, del decreto legislativo 151/2015, dispone:

  1. 1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo gli impianti e gli strumenti di cui al periodo precedente possono essere installati previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più Direzioni territoriali del lavoro, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.
  3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

In attesa del probabile intervento del Garante Privacy a dettaglio delle norme predisposte dal Governo, le modifiche apportate possono dunque essere sintetizzate come segue:

a. Abrogato il divieto di controllo a distanza dei lavoratori

E’, di fatto, la modifica più evidente, sebbene possa essere considerata anche la meno incisiva, se si valuta il nuovo articolo nel suo insieme.

In effetti, la disposizione al comma 2 della originaria formulazione mitigava già grandemente il divieto di controllo a distanza di cui al vecchio comma 1, stabilendo che, ove il controllo a distanza fosse effetto indiretto di un sistema di videosorveglianza realizzato per esigenze produttive o per la sicurezza sul lavoro (ad esempio: una telecamera posta all’uscita di una macchina industriale per monitorarne il corretto funzionamento che possa tuttavia riprendere gli operai che lavorano alla fase di raccolta ed organizzazione del materiale prodotto), esso fosse consentito solo previa accordo sindacale o, in alternativa, autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro competente.

b. Inserimento, trai casi di impianti ed apparecchiature di controllo ammessi, anche di quelli che riguardano la tutela del patrimonio aziendale;

Nella previgente formulazione, come si è accennato nel punto a), erano ammesse le apparecchiature di controllo che potessero effettuare anche controllo a distanza dei lavoratori per due sole finalità di carattere generale: quelle “necessarie per esigenze organizzative e produttive” e quelle richieste ai fini della “sicurezza sul lavoro”.

La nuova norma, di fatto, ammette la predisposizione di apparecchiature di controllo con finalità indirette di controllo a distanza dei lavoratori anche per la aggiuntiva finalità di “tutela del patrimonio aziendale” (un esempio concreto potrebbe essere la videocamera installata in un magazzino al fine di prevenire i furti, che tuttavia necessariamente riprenda l’ingresso e l’uscita dei dipendenti che vi accedono per l’ordinario svolgimento delle loro mansioni).

La portata innovativa, in questo senso, finisce però qui: come nel precedente comma 2, anche nel nuovo comma 1 permane la necessità di sottoporre le apparecchiature di videosorveglianza che si intende installare alla previa approvazione delle organizzazioni sindacali e/o dell’amministrazione pubblica deputata, pur con le sensibili differenze di cui ai punti che seguono.

c. Non necessarietà di accordo sindacale o autorizzazione ministeriale per l’utilizzo di strumenti che servono al lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e per quelli di registrazione degli accessi e delle presenze;

Questa è forse l’unica vera, sensibile innovazione della norma.

A partire dall’entrata in vigore della nuova formulazione, il comma 2 dell’art. 4 dello Statuto permette il monitoraggio a distanza dei dipendenti senza necessità di alcuna previa autorizzazione in due specifici casi, anch’essi formulati per ricomprendere una serie di specifiche eventualità:

  1. Mediante strumenti che servono al lavoratore per rendere la prestazione lavorativa: l’esempio di scuola, al quale il Governo sembra essersi ispirato, è quello delle ditte di trasporti che monitorano la posizione dei propri dipendenti tramite la posizione GPS dei terminali dagli stessi utilizzati per le consegne[6];
  2. Mediante strumenti per la registrazione degli accessi e delle presenze: è il caso della telecamera installata nella (o nei pressi della) macchina che legge i badge all’ingresso di un ufficio, necessaria per evitare comportamenti abusivi;
  3. In questi specifici casi, dunque, non sarà più necessario l’accordo sindacale o la notifica alla DTL, con conseguente snellimento delle procedure a carico del datore. Come si è premesso, è molto probabile che nei prossimi mesi il Garante Privacy tornerà sulla materia, adottando un provvedimento di modifica, integrazione e/o sostituzione del vigente provvedimento sulla videosorveglianza, così da meglio dettagliare le indicazioni del Governo, meglio definendone la casistica.

d. In caso di imprese con unità produttive separate in diverse province, città, regioni, possibilità di siglare accordo per l’installazione degli impianti direttamente con le organizzazioni sindacali nazionali;

La disposizione colma un parziale vuoto che caratterizzava la precedente normativa, consentendo la stipula dell’accordo sindacale per la messa in opera di sistemi di videosorveglianza con funzioni indirette di controllo a distanza, da parte di imprese con più sedi sul territorio Italiano, direttamente con le organizzazioni sindacali nazionali. La norma è evidentemente tesa ad evitare la frammentazione di accordi differenti per ciascuna sede di riferimento di una singola azienda, nonché a consentire anche ai sindacati nazionali di esprimere il loro parere circa i sistemi di videosorveglianza e controllo a distanza installati da imprese con più sedi nel territorio italiano.

e. In caso di mancato accordo sindacale, possibilità di conseguire l’installazione previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;

Anche in questo caso, la norma colma un altro piccolo vuoto presente nella precedente formulazione, introducendo la possibilità di chiedere l’autorizzazione alla messa in opera di sistemi di videosorveglianza e controllo a distanza direttamente al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Si tratta di una disposizione che va letta in combinato disposto con la possibilità di accordo sindacale a livello nazionale sopra esposta al punto d): grazie alla nuova norma, l’impresa che ha più sedi sul territorio Italiano, invece di rivolgersi alle differenti Direzioni Territoriali del Lavoro competenti, potrà direttamente chiedere al Ministero del Lavoro l’autorizzazione ad installare un sistema di videosorveglianza in tutte le proprie sedi.

f. Rimozione della possibilità di impugnare le decisioni dell’ispettorato del lavoro sulla installazione ed utilizzo degli impianti;

La precedente formulazione dell’art. 4, comma 4, dello Statuto consentiva alle organizzazioni sindacali (fossero esse state interne all’azienda o nazionali) di ricorrere avverso i provvedimenti di autorizzazione alla installazione di impianti di videosorveglianza resi dalla DTL, nel termine di 30 giorni, presso il Ministero del Lavoro.

L’abrogazione di questa disposizione fa sì che le autorizzazioni che oggi dovessero essere concesse dalla DTL o dal Ministero stesso non sarebbero più impugnabili, quantomeno per via gerarchica.

Non è infatti chiaro se l’abrogazione del ricorso gerarchico originariamente previsto spieghi effetti anche nei confronti del possibile ricorso giurisdizionale avverso i medesimi provvedimenti. La nuova formulazione dell’art.4 dello Statuto, in effetti, non qualifica espressamente i provvedimenti di autorizzazione come “non impugnabili”: le autorizzazioni all’installazione, dunque, benché non più ricorribili per via gerarchica, potrebbero ancora legittimamente essere impugnate dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale competente.

g. Possibilità, per il datore di lavoro, di utilizzare le informazioni raccolte tramite la videosorveglianza per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a condizione che sia stata data adeguata informativa al lavoratore delle modalità di uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, nel rispetto della vigente normativa privacy.

La norma al nuovo comma 3 espressamente ammette che il contenuto delle riprese di videosorveglianza possa essere utilizzato “per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”. Ciò include, con tutta evidenza, anche le finalità di repressione di condotte illecite, le sanzioni applicate dal datore e lo stesso licenziamento.

Data la portata certamente rilevante di tale nuova possibilità, il legislatore ha cura di specificare che ciò possa essere fatto “a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli”, nel rispetto del Codice Privacy.

Allo stato, unico riferimento circa le modalità di informazione per la videosorveglianza si rinviene nel provvedimento dell’8 aprile del 2010 del Garante Privacy[7], ove si prescrivono le modalità mediante le quali è possibile informare in maniera “semplificata” i passanti circa la sottoposizione a videosorveglianza di uno specifico locale.

Ad avviso di chi scrive, tuttavia, tale normativa dovrebbe essere almeno in parte integrata, non essendo del tutto conferente con le finalità della videosorveglianza a fini di controllo a distanza: il tradizionale cartello di avviso di videosorveglianza[8] dovrebbe, cioè, essere dotato di un pannello integrativo che dettagli modalità e scopi di utilizzo della ripresa video in una specifica – seppur breve – informativa scritta, ad evitare fraintendimenti ed abusi. In alternativa, sempre nel rispetto della vigente normativa Privacy, l’impresa che adotta i sistemi di videosorveglianza potrebbe altresì fornire una informativa scritta a tutti i propri dipendenti, dettagliando nella stessa termini, scopi e condizioni della ripresa video per fini di controllo a distanza[9]. In difetto dell’una o dell’altra modalità di informativa, tutte le riprese effettuate non potrebbero essere validamente utilizzate per gli scopi di cui all’articolo 4 dello Statuto[10].

[1] Attuazione della delega governativa contenuta alla legge 10 dicembre 2014, n.183.

[2] Si tratta dei decreti legislativi n.149, 150 e 151 del 14 settembre 2015, pubblicati nella G.U. Serie Generale n.221 del 23-9-2015 – Suppl. Ordinario n. 53.

[3]  Legge 20 maggio 1970, n. 300 recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, pubblicato in G.U. n.131 del 27-5-1970.

[4] La modifica è contenuta all’art. 23 del d.lgs. n.151/2015, recante “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”.

[5] E prescrive sino alla entrata in vigore della nuova, previsto per il 24/9/2015, ex art. 43 del d.lgs. 151/2015 stesso.

[6] oggetto peraltro di un recente caso deciso dal Garante Privacy col provvedimento “Sistemi di localizzazione e videosorveglianza. Utilizzo dei dati per fini disciplinari e tutela dei lavoratori” del 2 ottobre 2014 (http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3534543)

[7] Il “Provvedimento in materia di videosorveglianza – 8 aprile 2010”, pubblicato in G.U. n.99 del 29 aprile 2010 (http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1712680), che sostituisce le precedenti indicazioni contenute nel provvedimento generale del 29 aprile 2004 (http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1003482)

[8] La cui grafica costituisce espresso allegato al provvedimento del Garante sulla videosorveglianza di cui alla nota che precede.

[9] Come è ovvio, si tratta di una soluzione di stampo più “tradizionalista”, del tutto inadatta ad imprese medio/grandi, che tuttavia risponde alle previsioni del d.lgs. 196/2003 e del nuovo art.4 dello Statuto dei Lavoratori.

[10] Ciò appare, peraltro, confermato anche dalla costante giurisprudenza del Garante Privacy (ex multis, si veda da ultimo il provv. 18 settembre 2014 – http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3560798), che ha nel tempo sanzionato molti datori di lavoro per mancata, incompleta e/o insufficiente informativa circa il sistema di videosorveglianza passibile di effettuare controllo indiretto dei lavoratori.

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