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La Token economy: opportunità per tutti o solamente per i gruppi criminali?

La Token Economy

Un recente report di Bank of America (4 ottobre 2021, Digital Assets Primer: Only the first inning) chiarisce che le cryptovalute e gli NFT (la parte preponderante della cosiddetta token economy; sugli NFT si veda il seguente articolo su questa testata) non sono una bolla: “with a $2tn+ market value and 200mn+ users, the digital asset universe is too large to ignore. We believe crypto-based digital assets could form an entirely new asset class. Bitcoin is important with a market value of ~$900bn, but the digital asset ecosystem is so much more” e infatti “we are only in the first innings of a major change in applications across most industries that will take place over the next 30 years, in our view. Estimates indicate about 221mn users globally as of Jun’21 have traded a cryptocurrency or used a blockchain-based application, up from 66mn at the end of May’20.2”.

In altre parole, secondo il centro studi di Bank of America, siamo appena all’inizio di un vasto fenomeno che, in trenta anni, diventerà il motore primo dell’economia mondiale rivoluzionando la maggior parte dei settori economici.

Il Wild West

Gary Gensler, l’economista a capo della SEC americana – che, peraltro, prima di approdare alla guida della “Consob americana” insegnava blockchain e DEFI (decentralized finance) al MIT – ha definito la situazione delle crypto e degli NFT un “wild west”. Si tratta di un’affermazione largamente condivisibile: vi sono problemi ben noti ed ampiamente discussi nel mondo anglosassone. Lo stesso report di Bank of America identifica diversi rischi di natura regolamentare. Non ci dimentichiamo di un fatto chiaro: a livello internazionale, l’avvento degli NFT ha costituito un’opportunità di “boom” proprio per una parte delle industrie della cultura che sono state colpite molto duramente dagli effetti della crisi di domanda e offerta che si è verificata in seguito al dilagare del Covid. E non si tratta soltanto di mercati di arte digitale, ma anche di mercati della musica e dell’intrattenimento in genere. A ragion veduta, si potrebbe sostenere che gli NFT dovrebbero far vedere il bicchiere mezzo pieno – e non mezzo vuoto. Poiché ha punti determinanti di intersezione con l’economia reale – anche con mercati del mondo reale che sono soggetti ad un carico regolamentare sostanziale – la “token economy” (blockchain, cryptovalute e NFT) va sicuramente regolata e riportata nell’alveo di legalità che caratterizza la libertà di impresa. Tuttavia, non va stroncata nel nascere in un paese – l’Italia – che tarda ad adottare i canoni di progresso e innovazione tecnologica già tracciati nel resto del mondo. In questo senso, la creazione di un sistema di regole chiare, condivise e consistenti con le necessità di sviluppo di un’economia digitale non possono che rafforzare e creare lo scenario migliorare per far crescere il Web 3.0, cioè quello basato sulle infrastrutture blockchain. Come si potrebbe pensare di realizzare una Strategia Digitale Europea senza creare le condizioni per l’apertura e la crescita di nuovi mercati nei quali si sostanzia un’innovazione di prodotto? 

Quali oggetti sono rilevanti per gli NFT?

Il mercato degli NFT è più ampio di quando si potrebbe pensare. Non si tratta soltanto di “cripto arte” o “arte digitale”. Per spiegare il perimetro dell’economia legata agli NFT, identifichiamo i tipi di oggetti digitali sui quali i non-fungible tokens vengono creati. Riguardo la blockchain Ethereum, possiamo considerare almeno 5 categorie di oggetti aggiuntivi rispetto all’arte. L’industria dei giochi online sta spostando una parte consistente delle proprie attività sulle catene di blockchain, dunque facendo uso dello strumento NFT. Poiché esso permette di tracciare l’uso o l’attenzione dedicata ad un oggetto digitale, consente anche di offrire remunerazioni in criptovaluta per la partecipazione ad esperienze o eventi di gaming online. L’industria dello sport ricopre uno spazio importante nei mercati degli NFT. Gli sport NFT abbracciano tutti gli aspetti della gestione del brand che caratterizza i maggiori personaggi sportivi o le più importanti organizzazioni, dalle video clips alle immagini digitali degli autografi e trofei. Il mercato delle immagini digitali da collezione ha visto anche l’intervento di case d’asta prestigiose come Christie’s, la quale ha tenuto due aste dedicate soltanto ai “collectibles”. Tokens non fungibili sono disponibili per interi mondi virtuali – metaverses – che vengono costruiti da intere comunità di utenti. Infine, i cosiddetti “utility NFT” permettono di offrire un token legato alla risoluzione di un problema specifico, presente anche nel mondo reale e, pertanto, creando utilità all’acquirente dell’NFT stesso.  

Le radici del problema e delle opportunità: non solo NFT

L’applicazione della tecnologia blockchain alla base delle diverse forme di token economy ha dato prova tangibile di un risultato: gli scambi di oggetti digitali “tra pari” – tra singoli individui, senza controllo esercitato da intermediari o soggetti esterni – possono essere gestiti su scala globale, in modo continuo e stabile nel tempo, consentendo la partecipazione simultanea di milioni di persone.

Siamo chiari: tutto questo non serve soltanto per creare e scambiare NFT o criptovalute. E lo scambio di tokens può essere un mezzo e non soltanto un fine. “Token economy” significa “decentralized applications” (DAPP). Si tratta di applicazioni software il cui funzionamento passa per l’accesso ad una blockchain, realizzando scambi di informazioni alla pari tra gli utilizzatori. Per esempio, il controllo delle informazioni che passano per un motore di ricerca web decentralizzato non sarebbe più nelle sole mani della società che rende disponibile l’applicazione. Le applicazioni di “decentralized finance” (DEFI) permettono lo scambio ed il prestito di criptovalute e tokens in assenza di autorità centrali: le transazioni avvengono direttamente tra i “wallets” di soggetti diversi. Le “decentralized autonomous organizations” (DAO) sono comunità online nelle quali le decisioni collettive vengono prese tramite strumenti automatizzati di proposta e voto da parte dei membri. L’esecuzione delle decisioni avviene tramite smart contracts. Queste strutture facilitano la creazione e gestione di organizzazioni nelle quali gli individui non hanno rapporti diretti di conoscenza.

A questo punto possiamo notare tre cose. La radice del “wild west” di cui parla Gensler va oltre il fatto che le transazioni in blockchain avvengono tra pari. Non coinvolge soltanto gli NFT. Ed ha a che fare con il modo in cui sono state disegnate le blockchain attualmente in funzione. Il punto dirimente è che chi detiene o scambia un oggetto digitale in blockchain viene “identificato” tramite l’indirizzo – alfanumerico, quindi non riconducibile ad una persona fisica – del proprio portafoglio virtuale. Ne può emergere la possibilità di restare anonimi cui, però, si può ovviare con soluzioni tecniche: 1) quando si acquista o si vende un NFT, si utilizza sempre una criptovaluta detenuta in un wallet, e, pertanto, si perderebbe l’anonimato se il contenuto in criptovaluta di un portafoglio virtuale venisse convertito in valuta reale e depositato in un conto corrente bancario; 2) l’infrastruttura di blockchain potrebbe permetter di aggiungere delle informazioni personali al contenuto del wallet, e qui emerge un paradosso di semplicità: si potrebbe creare un NFT legato ad un file di testo con il nome e cognome del titolare dell’NFT stesso.

Il lettore potrebbe pensare: se l’anonimato è costruito nelle blockchain dagli ingegneri del software, i “cattivi” non sono soltanto gli utilizzatori degli NFT! In realtà, i termini della questione sono più complicati. Le blockchain funzionano come – nei fatti, sono – libri mastri pubblici nei quali vengono annotati i termini di tutte le transazioni tra portafogli virtuali, in modo accessibile a chiunque: tutto quello che succede ai tokens ed ai portafogli virtuali è visibile e tracciabile. Vogliamo essere ancora più espliciti: il tracciamento delle transazioni in blockchain si tramuta in un mero problema di “data analytics”. Dunque, NFT come fonte di rischi – ai quali si può ovviare – e di opportunità.

Il bicchiere mezzo pieno

Se il mondo delle cryptovalute è guardato con sospetto dai regolatori, in Italia, si è assistito recentemente a un profluvio di attacchi nei confronti dell’arte digitale del metaverso e degli NFT. Sembra quasi che vi sia un furore ideologico nelle critiche avanzate nei confronti dello strumento NFT. La tesi avanzata è semplice: il mondo degli NFT è strutturato per far crescere il prezzo di mercato di immagini che, di per sé, valgono poco e che rimangono spesso liberamente scaricabili da Internet. Quale è, secondo queste impostazioni fortemente critiche nei confronti degli NFT, il vero scopo di aver creato questo sofisticato impianto? La creazione di un efficiente mercato del riciclaggio. Gli strali meno equilibrati sono stati scagliati contro gli NFT che hanno raggiunto le quotazioni maggiori: Everydays di Beeple (venduta a 69 milioni USD da Christie’s) e i vari collectibles che compongono il cosiddetto Bored Apes Yacht Club (venduti da Sotheby’s per una cifra complessiva che supera i 24 milioni USD). In altri termini, secondo tali critiche, pagare 69 milioni per un file digitale che è, comunque, sempre scaricabile da internet non può avere un senso di razionalità economica. L’unica spiegazione addotta è che queste transazioni nascondano, in realtà, un’immensa opera di riciclaggio.

Crediamo fermamente che vi sia differenza tra una domanda ed un sospetto. E non possiamo non chiederci se l’attitudine ad avanzare – quello che pare essere più – un sospetto rappresenti il risultato di un pensiero razionale oppure se nasca da un approccio irrazionale. A nostro avviso, tutto questo sembra motivato dalla paura (che è irrazionale, notoriamente) di veder svalutato quello che è considerato da molti il vero patrimonio del Bel Paese: un’immensa collezione di capolavori di arte “reale” il cui valore potrebbe venire insidiato dall’arte digitale, supportata dai flussi del riciclaggio internazionale. In altri termini, dietro tali critiche, sembra agitarsi un pensiero (o la paura) secondo cui si rischia che le case d’asta internazionali non si interesseranno più a un quadro del Guercino o del Perugino, in quanto sponsorizzeranno la vendita di altre opere tipo quelle di Beeple o di collectibles tipo quelle del Bored Apes Yacht Club. Il risultato consisterebbe in un immenso danno al paese.

Nel caso in cui la linea di attacco agli NFT nascesse dalla sentita esigenza di patriottismo culturale per il nostro paese, riteniamo razionale – ed informativo – proporre punti importanti di discussione. Innanzitutto, la storia dell’arte è stata sempre caratterizzata dall’emergere di stili diversi, i quali si sono concretizzati nell’uso di mezzi dell’espressività differenti tra loro ed in continua evoluzione nel tempo. Il movimento della pop art – di cui Andy Warhol è stata una figura di spicco – ha caratteristiche espressive profondamente diverse rispetto a quelle che caratterizzano l’espressionismo di Erich Heckel. In questo senso, il segmento di mercato nel quale avvengono le compravendite delle opere di Warhol è diverso rispetto a quello in cui vengono scambiate le opere Heckel. Le preferenze di gusto artistico che spingono un collezionista ad acquistare l’opera di Warhol non necessariamente potrebbero spingere la stessa persona a cercare di acquistare opere di Heckel. In aggiunta, questi due artisti hanno avuto delle produzioni diverse anche in termini di numero delle opere prodotte. Allo stesso modo, l’arte digitale che fa uso dello strumento NFT appartiene ad una parte del mercato completamente diversa rispetto a quella dell’arte “tradizionale”, per esempio delle “fine arts”.

Anche se si trattasse di due segmenti di mercato diversi, vi potrebbe essere sostituibilità tra lo spazio di mercato ricoperto dall’offerta di un’opera digitale e quello ricoperto da un’opera dell’impressionismo? E’ interessante considerare un esempio su quanto è avvenuto in un periodo storico di introduzione di nuovi paradigmi artistici. Agli inizi degli anni ’20 (ormai un secolo fa!), quando l’arte concettuale – che spezza il legame tra “arte” e “bello” – si è diffusa nei mercati internazionali, il mercato dell’arte antica non ne ha sofferto.

Il prezzo di mercato legato alla scarsità di un’opera reale può essere “inficiato” dalla mancanza di scarsità di un’opera digitale? E gli NFT possono giocare un ruolo in tutto questo? Crediamo che la risposta a entrambe queste domande sia: “no”. Un’opera che nasce nel mondo reale rimane comunque “unica” nella sua materialità. E questo principio non viene intaccato dalla circolazione di immagini digitalizzate dell’opera stessa. La circolazione online dell’immagine di un’opera può contribuire a creare una comunità più ampia di persone interessate all’opera stessa, quindi rendendola ancora più desiderabile per il pubblico: l’abbondanza alimenta la scarsità. Questo è uno dei principi della cosiddetta “economia dell’attenzione”, la quale poggia sull’uso di strumenti come – non a caso – gli NFT.

Valore e prezzo (di mercato) di una qualsiasi opera d’arte

Quando si paga “tanto” per un’opera d’arte, si può finire per pagare “troppo”? Consideriamo un esempio specifico. Il dipinto “Mao” firmato da Andy Warhol è stato venduto in un’asta di Sotheby’s l’11 Novembre 2015 per circa 47 milioni USD. È razionale pensare che il prezzo di mercato contribuisce a stabilire un valore di mercato legato alle transazioni di cui un’opera è attualmente o è stata oggetto in passato. In altre parole, l’acquirente ha offerto – e pagato – un prezzo di mercato che è consistente con la desiderabilità e l’importanza attribuita all’ottenimento del quadro stesso.  Il secondo co-autore di questo articolo non trova il senso di gusto estetico che emerge dal dipinto “Mao” coerente con le proprie preferenze. Quindi, il prezzo di mercato che il secondo co-autore sarebbe disposto a pagare è pari a zero. Ovviamente, il valore di mercato nella giornata odierna dipende, però, anche dal prezzo che altri acquirenti sarebbero disposti a corrispondere al proprietario del dipinto. Il messaggio? L’economia dell’arte ci insegna che il “valore intrinseco” che un’opera d’arte porta con sé può essere ben diverso dal valore di mercato, legato puramente ai prezzi delle transazioni. Il fatto che una persona non assegni alcun valore intrinseco ad un dipinto o ad un’immagine digitale non implica che le preferenze di altri soggetti li porti a seguire la stessa posizione. Se il valore intrinseco è alto, il prezzo di mercato che si può essere disposti a pagare per un oggetto “scarso” può essere ben più alto rispetto a quanto si è osservato nelle precedenti transazioni. 

La tecnologia potrebbe non proteggere dai problemi del mondo reale

Il fenomeno del riciclaggio nei mercati dell’arte è stato ampiamente documentato, con stime che tendono ad indicare una dimensione quantitativa sostanziale. Mancano studi sul recente mercato degli NFT. L’anonimato che si cela dietro il sistema delle cryptovalute e degli NFT può sicuramente costituire un incentivo a porre in essere schemi di riciclaggio. Ma questo dovrebbe solamente spingere a trovare delle soluzioni per riportare il sistema degli NFT su un piano di piena legalità e di trasparenza, consistentemente con ciò che già avviene nei mercati del mondo reale. In seguito alle pressioni dagli Stati Uniti, la piattaforma di scambi di criptovalute Binance ha adottato più stringenti misure di identificazione dei propri clienti: il procedimento di due diligence noto come “Know Your Customer” (KYC). Sulla piattaforma Opensea (il principale marketplace degli NFT), diversi progetti di NFT si sono assoggettati volontariamente a procedure di KYC da parte di società specializzate o hanno cercato altre soluzioni di natura sperimentale per provare la loro identità. Ovviamente è auspicabile che il gestore del marketplace stesso si faccia portatore della realizzazione di un processo serio di KYC. Il problema è noto e l’offerta specializzata di mercato consta già di operatori pienamente qualificati che offrono soluzioni software per l’esternalizzazione dei procedimenti KYC.

I punti deboli nei quali si convogliano flussi di riciclaggio riguardano l’entrata e l’uscita di valuta corrente nei portafogli virtuali. Ma, per acquistare criptovaluta, occorre sempre passare prima di tutto per il canale bancario tradizionale: la stessa considerazione rimane valida per la conversione di criptovaluta in valuta corrente. Lo snodo che permette l’uso dei fondi riciclati può essere non così “high tech” come il ruolo degli NFT: l’utilizzo dei fondi che si spostano sotto forma di criptovaluta nella blockchain si deve tramutare in acquisto di beni o servizi, prima o poi!

“L’introduzione di un quadro normativo appropriato e la concomitante difesa dell’economia reale dai flussi di riciclaggio che possono passare per il mondo cripto dovrebbe consentire di liberare le energie di innovazione tecnologica che possono costituire (e all’estero in parte già lo fanno) il motore per lo sviluppo di un’industria creativa e della digitalizzazione basata sul Web 3.0 di cui l’Italia ha sicuramente bisogno e su cui non può rimanere indietro”.

Semmai, si potrebbe e si dovrebbe incentivare la creazione di marketplaces europei che permettano di generare e scambiare NFT, per controbilanciarne l’attuale concentrazione in America del Nord (fenomeno analogo a quello che ha caratterizzato lo sviluppo delle ‘big tech’). Al contrario, una risposta violentemente ideologica di rigetto degli NFT – basata su preconcetti e scarsa comprensione di un fenomeno nuovo e complesso – rischia solamente di aggiungere un’ulteriore ed inutile zavorra alla già malconcia economia italiana che, nella classifica sulla competitività internazionale delle maggiori economie del mondo, è in caduta libera da molti anni.

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