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La tesi di laurea è perfetta. Ma il prof. scopre scritta da chatGPT e ora è combattuto: “La faccio riscrivere o è un valore aggiunto?”

La tematica è di stretta attualità in ambito scolastico e accademico. Come considerare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa per fare compiti a casa, in classe, per scrivere paper e ricerche universitarie (quindi riguarda anche i docenti/ricercatori) e per scrivere tesi di laurea.

Vietare l’AI oppure considerarla un valore aggiunto per chi sa usarla in modo eccellente?

Questo “dilemma” attanaglia il docente Antonino Polimeni della Oxford University, perché ha scoperto che la tesi di laurea di un suo tesista è stata scritta da chatGPT. È combattuto se farla riscrivere allo studente oppure no, perché il prodotto finale è “eccellente”. “E questo discende”, ha osservato Polimeni, “da un utilizzo sapiente e consapevole dello strumento e da una ottima conoscenza della materia”. Da qui la sua domanda “dobbiamo iniziare a considerare l’uso dell’AI come qualcosa di ordinario, al pari di una ricerca in biblioteca, nel lavoro?”

Ecco il suo racconto

“Sono relatore di laurea di un tesista in un master universitario. Mi sono accorto che la tesi è scritta con la AI. Me ne sono accorto per una frase tipica di chatGPT che mi ha destato il sospetto. Lo studente l’ha ammesso, l’ha “confessato”, proponendosi di riscriverla, scusandosi imbarazzato.

A questo punto mi sono trovato davanti ad un grande dilemma. 

Davvero chi utilizza la AI sta facendo qualcosa di sbagliato?

La tesi è perfetta, la sintassi e la paragrafazione sono eccellenti. 

E questo discende da un utilizzo sapiente e consapevole dello strumento e da una ottima conoscenza della materia.

Chi di noi usa chatGPT sa bene che per scrivere una tesi di laurea, fatta bene, ci vuole sapienza nell’uso dei prompt, nella organizzazione del lavoro (mica può essere scritta in un solo colpo), nella rilettura e nella assolutamente necessaria revisione.

Lo studente ha tirato fuori un lavoro davvero fatto bene, anzi benissimo.

Dobbiamo iniziare a considerare l’uso dell’AI come qualcosa di ordinario, al pari di una ricerca in biblioteca, nel lavoro? 

Oppure il social media manager che fa i post con la AI è un truffaldino? 

Un avvocato che fa un atto con chatGPT e lo fa in modo eccellente, cosa difficilissima e (si badi bene) assolutamente improponibile per chi non sa fare un atto di base, è un impostore o sta usando semplicemente uno strumento, governandolo bene?

Lo studente ha qualcosa in più degli altri suoi colleghi per aver scritto la tesi con la AI (si può dire che l’ha scritta lui anche se l’ha scritta con chatGPT?) quando invece gli altri hanno faticosamente composto a mano l’elaborato? 

Si può dire che ha efficientato il processo?

Aiutatemi a capire”.

Il dibattito

La storia condivisa sul social dal docente sta suscitando tantissime reazioni, alle quali Polimeni ha risposto: “Oggi è qualcosa da nascondere. Forse si rischia la bocciatura. Forse, invece, dovrebbe essere qualcosa di cui pregiarsi”.

“Ma qual era la frase rivelatrice?” ha chiesto un utente? La curiosità è tanta.

“La conclusione di un paragrafo”, ha risposto il docente, “in perfetto stile chatGPT. Da lì la mia domanda a trabocchetto e l’ammissione. Anzi, la confessione”.

Tra le risposte c’è chi ha anche condiviso le linee guida dell’ISIA Firenze – istituto pubblico di livello universitario che si occupa di design – sull’utilizzo dell’AI durante la propria carriera scolastica: 

Tool per scoprire se la tesi è scritta da chatGPT

Infine, altri colleghi del docente gli stanno consigliando dei tool che consentono di scoprire se un testo è stato scritto dall’AI.

Tra questi c’è il software di verifica antiplagio come Compilatio – Prevenzione e rilevamento del plagio (in uso in quasi tutti gli Atenei), nell’ultima release anche l’alert di “sospetto utilizzo di AI generativa”, tenuti giustamente ben distinti dagli alert di plagio, anche perché appunto si tratta di “sospetto” e non di “certezza” come nel caso del plagio.

Per approfondire:

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