Come bilanciare la centralità di governo e il coinvolgimento dei territori nel percorso di definizione della strategia italiana sul digitale?
La recente conversione in legge del dl 135/2018 (c.d. Decreto Semplificazioni), evidenzia una ritrovata attenzione del Governo italiano per il digitale, soprattutto alla luce del complicato quadro regolatorio e organizzativo che ha caratterizzato gli ultimi 12 mesi sia per l’AgID – l’Agenzia per l’Italia Digitale sia per il Team per la Trasformazione Digitale di Palazzo Chigi. Tra le novità, forse la più significativa è l’inizio di un percorso che potrebbe portare alla ridefinizione di una governance unitaria del digitale. Percorso che può rappresentare una vera e propria rivoluzione, ma può anche essere la fine dell’autonomia dei territori nella gestione delle infrastrutture IT e della valorizzazione dei dati, vero e unico patrimonio del futuro Servizio Pubblico.
L’idea di cui si è sentito parlare e che sta prendendo corpo (spostando tra l’altro competenze che oggi risiedono presso la Funzione Pubblica e AgID alla Presidenza del Consiglio dei Ministri) prevede lacreazione di una società in-house pubblica, con budget di 5 milioni di euro l’anno, per gestire e sviluppare: PagoPA, piattaforma nazionale utilizzata per i pagamenti elettronici in favore della PA; io.italia.it ovvero il punto di accesso unico ai servizi della Pubblica Amministrazione e la piattaforma digitale nazionale dei dati, contenitore e aggregatore dei big data della PA.
Le prerogative del Commissario Straordinario per l’Agenda Digitale, attualmente Luca Attias e prima di lui Diego Piacentini, sono state prorogate fino al 31 dicembre di quest’anno e passeranno dal 1° gennaio 2020 in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri o ad un Ministro delegato.
Il cambiamento è, in potenza, da seguire con attenzione. Soprattutto per gli “addetti ai lavori” che da anni chiedono a gran voce una razionalizzazione del potere decisionale e una conseguente – auspicata – riduzione dell’entropia e della confusione nel processo di definizione di strategie e relativa esecuzione progettuale.
Finora, infatti, l’azione di governo sul digitale era limitata principalmente alla trasformazione digitale delle Pubbliche Amministrazioni centrali e locali, con il grande limite dell’esclusione di temi quali ad esempio la Sanità, la Giustizia o la Scuola, gestiti in modo circoscritto e puntuale a cura dei singoli ministeri, ovvero senza una vera strategia unitaria. Riposizionando alcune strutture e creando una vera e propria cabina di regia in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri o, più verosimilmente, ad un Ministro delegato, la trasversalità dell’azione potrebbe essere intersettoriale e interministeriale e permetterebbe di consolidare una Strategia italiana sull’Agenda Digitale.
Ci sono però alcuni elementi che andrebbero chiariti per assicurare che il sistema entri da subito a pieno regime e sia istituzionalmente garantista. Vediamo infatti alcuni rischi dettati soprattutto dall’accentramento dei poteri e dalla necessità che vi sia un sistema di contrappesi istituzionali, poiché l’obiettivo dovrebbe essere quello da un lato, portare ad un livello più alto la formulazione delle strategie(soprattutto rispetto ad uno scenario europeo che – su questo tema – è molto più maturo ed attento), dall’altro garantire un necessario quanto fondamentale coinvolgimento dei territori, portatori di interessi, competenze, specializzazioni e casi d’uso concreti, che troppo spesso vengono dimenticati mano a mano che la distanza con Roma e con le strutture di vertice aumenta.
C’è poi un ulteriore elemento da sottolineare, che sarà probabilmente la vera sfida dei prossimi anni: quale sarà la Pubblica Amministrazione del 2030 o del 2040? Quali saranno i servizi al cittadino e alle imprese? Nell’era dell’informazione, anticipare il momento in cui prendiamo una decisione fa la differenza; poiché le decisioni saranno sempre più basate sulla disponibilità di dati, governare il dato diventa il punto focale della questione. L’autonomia di governo del dato diventa il tema su cui riflettere. Se poi inseriamo nell’equazione anche il rapporto tra pubblico e privato, la partita si complica.
L’autonomia, in effetti, è uno strumento molto attuale rispetto alla competenza in materia di digitalizzazione, soprattutto laddove si debba necessariamente bilanciare l’azione di governo nazionale su grandi piattaforme (pensiamo ad esempio all’ANPR – Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente oppure a SPID – il Sistema Pubblico d’Identità Digitale) o su investimenti in tecnologia (ad esempio i cd. Poli Strategici Nazionali), rispetto al diritto – legittimo – dei territori regionali di poter detenere gli strumenti tecnici per declinare su base geografica un indirizzo strategico che possa permettergli di interpretare la loro specialità. È quel concetto, già definito in passato, del federalismo digitale, ovvero la capacità di poter creare sinergie territoriali a geometria variabile (date ad esempio da prossimità geografica o assonanza di piani di investimento e strategia) che permetta alle Regioni di gestire in modo autonomo, all’interno di un quadro strategico nazionale, lo sviluppo locale della loro Agenda Digitale.
Il territorio e la sua specialità devono essere ascoltati e valorizzati, soprattutto su partite strategiche come quelle di cui stiamo parlando. Il Friuli Venezia Giulia con la presidenza della Commissione Speciale Agenda Digitale della Conferenza Stato Regioni, organo politico che raccorda e coordina a livello nazionale le politiche pubbliche delle regioni su questi temi, e con la presidenza di Assinter Italia, associazione che rappresenta la rete delle società pubbliche ICT per l’innovazione nella Pubblica Amministrazione, lavorano da tempo per portare questi temi sui tavoli nazionali.
E’ proprio quello che è successo lo scorso 6 febbraio a Roma durante l’ultima assemblea dei soci di Assinter Italia, quando abbiamo ospitato l’Assessore Sebastiano Callari, in qualità di Presidente della Commissione Speciale Agenda Digitale della Conferenza Stato-Regioni. Durante l’incontro abbiamo evidenziato il ruolo cruciale dei territori: vero e proprio motore per gli investimenti ICT a livello locale, ma anche attori della trasformazione digitale delle amministrazioni attraverso l’attività delle società in house ICT, aggregatori qualificati della domanda di innovazione.
Assinter è un’associazione nata dieci anni fa con l’obiettivo di rappresentare le società ICT in house di Regioni e Province Autonome. Negli ultimi mesi si è aperta alla rappresentanza anche di società ICT in house operanti a livello nazionale o locale (come CINECA, infoCamere o Venis), con un forte consolidamento della base associativa e con la volontà di mettere a confronto i modelli, per migliorare tutti.
Oggi Assinter Italia rappresenta la domanda pubblica di innovazione in Italia e la quasi totalità delle aziende pubbliche che a tal fine vi lavorano. Riunisce infatti venti società, circa settemila dipendenti, un valore della produzione che si aggira attorno all’1,5 miliardi di Euro, oltre 2000 amministrazioni servite: un patrimonio enorme che può contribuire alla discussione ed attuazione della trasformazione digitale in Italia.
La prossima sfida sarà riuscire a consolidare una strategia industriale nazionale che riesca a mettere a fattor comune questo comparto, anche rispetto ad attori nazionali(ad esempio Consip e Sogei), con i quali gli incontri di avvicinamento che stiamo facendo segnano un cambio di attenzione e di interesse, e potenzialmente una vera e propria rivoluzione culturale.
La collaborazione con la Commissione Speciale gemma da un Protocollo d’Intesa che ha sancito il ruolo di Assinter Italia come interlocutore tecnico a supporto dei lavori della Commissione. In questo quadro, abbiamo avviato un percorso di collaborazione che ci porta oggi, in questa sede, ad affrontare temi urgenti e strategici, come ad esempio quelli relativi alla qualificazione dei CSP (Cloud Service Provider), alla nascita dei PSN (Polo Strategico Nazionale) ed alla formulazione del Piano Triennale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione nella sua ultima revisione.
E’ quindi evidente e sempre più necessaria un’attività di rafforzamento del dialogo e del peso delle istanze territoriali nei confronti delle autorità centrali. Allo stesso modo abbiamo convenuto che le sfide che il futuro ci pone davanti fanno sì che nessuna regione possa oggi pensare di agire da sola.
Soprattutto se pensiamo al rapporto con il mercato privato, nella diretta disponibilità e capacità di investimenti in ricerca e sviluppo. Solo lavorando assieme, la Pubblica Amministrazione può creare reti in grado di sostenere grandi investimenti, rivendicando il proprio ruolo nel grande progetto di trasformazione strategica nazionale che deve necessariamente essere costruito su un presupposto non sempre tenuto in debita considerazione: la difesa assoluta del patrimonio dei dati.
La partita oggi, infatti, si gioca proprio sulla capacità da parte del sistema pubblico di utilizzo dei dati come strumento di governo e di innovazione. I daticostituisconoinfattiunvero e proprio asset strategico e sono determinanti sia come strumento di sviluppo per le politiche del territorio sia come supporto alle decisioni delle Amministrazioni e vanno quindi protetti, analizzati e gestiti al meglio.
Per portare a compimento efficacemente tutte le azioni necessarie, pur preservando l’autonomia dei territori, è necessario come detto un vero e proprio federalismo digitale che metta a fattor comune bisogni, risorse e know how, allo scopo di far uscire il digitale dalla penombra in cui, troppo spesso, viene confinato e che ha creato quei presupposti che oggi ci vedono nelle ultime posizioni delle classifiche internazionali. [vedi DESI 2018]
Su questo frangente l’Assessore Callari ha riconosciuto ad Assinter un tangibile rete quale rete di competenze nell’ambito della Pubblica Amministrazione e interlocutore qualificato nel campo dell’innovazione tecnologica delle Regioni, auspicando da un lato il consolidamento del ruolo di riferimento dell’Associazione mettendo a disposizione del Coordinamento delle Regioni e degli attori nazionali le competenze ICT necessarie e dall’altro la nascita di progetti di collaborazione interregionale su vasta scala simili ad esempio al progetto Tripolo, come caso concreto di cooperazione interregionale e primo esempio di sharing di data center regionali su base federata.
I temi sono quelli di cui parliamo da tempo: governance tramite i dati; autonomia nella gestione dei servizi IT, in un quadro di regole chiare e definite; più chiarezza da parte degli interlocutori istituzionali che hanno prerogative regolatorie, AgID in primis; valorizzazione delle buone pratiche senza replicarle; collaborazione interregionale sviluppata dalla tecnica, ma voluta e valorizzata dalla politica.
Il percorso di ascolto e comprensione di questo articolato sistema istituzionale che si occupa delle politiche nazionali in materia di innovazione digitale della Pubblica Amministrazione, mi fa dire che siamo davanti ad una grandissima opportunità: da un lato sembra che il governo nazionale abbia capito la necessità che all’interno della macchina amministrativa pubblica sia forte l’attenzione verso questi temi, anche per il tramite di una rappresentanza decisionale – a livello ministeriale – che possa quindi coordinare politiche pubbliche comuni; dall’altro vi è una richiesta che arriva dai territori, soprattutto regionali, di sentirsi – giustamente – più ascoltati e rappresentati su tavoli nazionali che troppo spesso dimenticano che una volta che la strategia è stata definita, affinché questa si traduca in servizio pubblico al cittadino, ci sono regioni, comuni e, anche, aziende pubbliche, che devono esseri messi nella condizione di poter lavorare al meglio indirizzando investimenti e risorse.
La partita si giocherà nei prossimi 10 mesi, dobbiamo vincerla come Sistema Paese.