Mi fa tenerezza Paolo Crepet, intervistato ovunque nei talk show, oltre che straripante nei “real” dei social media. Ripete ossessivamente che la colpa di tutto è di noi genitori che non sappiamo dire di “no” ai nostri figli, non controlliamo quel che fanno quando navigano in Internet, non intercettiamo le loro chat.
Manca solo che ci inviti a trasformarci in investigatori informatici e vojeur. Parlo di “tenerezza” perché in fondo Crepet dice cose giuste ma molto ingenue, se davvero pensa che, così facendo (e dobbiamo comunque farlo, nei limiti in cui ci è possibile), eviteremmo il deflagrare dei fenomeni degli stupri, dei femminicidi, del bullismo ed in genere della violenza che caratterizza la gioventù contemporanea in quasi tutti i paesi occidentali (e non solo in quelli).
E non è che le società pre-informatiche fossero meno violente di quelle attuali: la differenza sta nel fatto che un tempo la violenza restava celata, non si trasformava in puro spettacolo mediatico come accade ora. Uno spettacolo che dura, giornalisticamente, giusto il tempo di far polemizzare un po’ di opinionisti che redigono elenchi di trovate per abolire la violenza, per poi essere affidato esclusivamente alle fiction traboccanti che di quella stessa violenza che si vagheggia di eliminare.
Ora, chi ha figli adolescenti sa quanto sia difficile costringerli ad apparire dei “disadattati”, costringendoli a limitare l’uso dello smartphone connesso in rete, che le masse dei loro coetanei considerano ormai il più importante mezzo di relazione. Masse quotidianamente indottrinate – ma questo Crepet non lo denuncia – da tutti gli strumenti di comunicazione etero diretti (ossia controllati da forze estranee e superiori alle masse stesse) a e trasformate in terminali dei peggiori disvalori oggi imperanti.
Come riconoscono tanti altri pensatori importanti, sono proprio quegli strumenti di comunicazione che idolatrano le tesi di Crepet – finiti tutti nelle mani delle grandi lobby finanziarie sovranazionali – e non certo noi genitori (che pure abbiamo tante colpe) e nemmeno la scuola (che di colpe ne ha anche) – ad educare i nostri figli, giorno per giorno, attimo per attimo, all’individualismo, alla competizione, all’uso della forza più spregiudicata. E individualismo, competizione e forza bruta non sono forse i disvalori fondanti della violenza e della sopraffazione? Non sono il contrario dei valori della compassione, dell’altruismo, della mitezza che vorremmo albergassero nei cuori dei nostri figli? E per quanto ne so, solo la prepotenza è vincente in mezzo agli adolescenti, non certo la mitezza che diviene sovente oggetto di bullismo.
Ma c’è molto di più. Perché serie tv e film – e non noi genitori o la scuola – sono i veri educatori della violenza, della prevaricazione, dell’ammirazione verso facce trucide come quella del protagonista di “Gomorra” (Gennaro Savastano), creato dalla penna dell’ineffabile Saviano, il quale, dopo aver combattuto la criminalità organizzata ora la rende un cult per masse di teledipendenti (cosa che denuncia da anni lo stesso procuratore Nicola Gratteri).
E negli stessi talk show che oggi pontificano sulla violenza, gli scontri furibondi fra opinionisti (che alzano l’audience) non sono forse un pessimo esempio di prevaricazione e di violenza verbale? Tutti i media, anche quelli generalisti, traboccano di inneggiamenti subliminali alla prevaricazione: nelle nostre società vince chi è più forte! Ecco il paradigma essenziale al quale i nostri figli devono attenersi – secondo questi “educatori occulti” – se vogliono aver successo nella vita. Siamo di fronte al darwinismo sociale applicato all’educazione. E, caro Crepet, non sono né i genitori né la scuola gli artefici fondamentali di questo “grande reset” pedagogico in corso da anni.
Tra un prepotente e un mite chi credete abbia più riconoscimento nelle nostre società, nel lavoro e nelle professioni, in politica, nello spettacolo, nel mondo dei giornalisti? E non sono dei modelli di prepotenza coloro che abusano in branco di una ragazza, senza che alcuno di loro comprenda che quello non è nemmeno potere (che deve sempre essere accompagnato da spirito di servizio), nemmeno forza (che per essere buona deve bandire l’insolenza), nemmeno sesso (che per essere bello ha bisogno di tenerezza), ma solo violenza gratuita e prevaricatrice?
Diciamocelo con franchezza: noi saremo, come sentenzia Crepet, dei pessimi genitori che non trovano il tempo di controllare cosa guardano e fanno i nostri figli quando sono connessi in rete (ossia quasi sempre), ma le grandi corporation mondiali che possiedono i media (e non solo quelli) non lavorano certo perché diventiamo tutti miti e compassionevoli. Come otterrebbero, altrimenti, sempre più produzione di beni inutili (armi comprese), sempre più consumo di beni inutili (armi comprese), una crescita esponenziale dei loro patrimoni, una forma di controllo diffuso delle abitudini, degli stili di vita, dei bisogni indotti di tutti noi?
Per cui battiamoci pure contro stupri e violenze varie, indigniamoci pubblicamente, invochiamo la castrazione chimica, chiediamo l’abbassamento a 16 anni della maggiore età (come se un quindicenne non fosse in grado di stuprare una ragazzina), trasformiamoci in ombre dei nostri figli, ma mettiamoci bene in testa che quelli che dovremmo realmente e radicalmente cambiare sono i modelli di riferimento sociali cui quotidianamente ci indirizzano proprio coloro che hanno in mano le leve del potere nelle nostre economie, nelle nostre società ormai sempre più somiglianti a quelle dei romanzi distopici del Novecento. Diceva George Orwell che “il potere sta nel fare a pezzi le menti umane.” Ed è quello che sta avvenendo. Anche se Crepet crede ancora alle favole.