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La Saga Immuni continua tra imbarazzi istituzionali e passi del gambero

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L’app Immuni sembrerebbe finalmente essere partita, ma a passo del gambero. E tra i numeri delle attivazioni che appaiono a qualcuno un po’ “gonfiati” (e comunque a volerli leggere bene – pur nella sbandierata e attuale dimensione di due milioni – non denoterebbero una grande risposta da parte degli italiani, malgrado l’incredibile impegno in termini di comunicazione profuso dal governo) si respira un po’ ovunque aria smarrita di flop

Andrea Lisi

E se a questa sensazione sommiamo il parere di numerosi esperti, secondo i quali per poter essere almeno teoricamente utile dovrebbe essere scaricata da più del 60% degli italiani (cifra neppure lontanamente raggiunta da alcun Paese estero che ha provato sino ad oggi qualcosa di simile) allora ci si rende conto che c’è qualcosa che non va in questo ambizioso progetto. Salvo voler davvero fare affidamento sulle frettolose dichiarazioni da parte di Google che provano a smentire studi scientifici in materia, fino ad arrivare a posizionare l’efficacia teorica di immuni nella percentuale minima del 10% di utenti, (sperando sempre che almeno questo numero sia realmente raggiungibile). Peraltro, ammesso anche che con il solo 10% di utilizzo Immuni possa teoricamente servire a qualcosa, non è per nulla detto che chi scaricherà oggi l’app poi effettivamente la utilizzerà, anzi…e anche su questo prima o poi ci si dovrà impietosamente confrontare.

Scelte funamboliche e giravolte


In realtà, a prescindere dai numeri controversi, dalle tante polemiche che si sono accavallate nel tempo sulla sicurezza informatica della soluzione, dai dubbi sulla trasparenza nella selezione e nella stessa procedura negoziale seguita, dalle precisazioni sulla protezione dei dati personali (espressi recentemente in 12 raccomandazioni da parte del Garante in un suo provvedimento) e così via che hanno provocato una serie di giravolte governative nel disegno del progetto degne di uno spericolato funambolo, ciò che pesa davvero su Immuni è la sensazione che ci sia la totale mancanza di una solida strategia di fondo e di efficace coordinamento tra ministeri e ciò mina alle radici l’intera tenuta del progetto così come è stato impostato sino ad oggi.

Non si può non negare infatti che le critiche degli esperti inizialmente si erano rivolte verso il governo su singole questioni più propriamente giuridiche o tecniche, cercando di raddrizzare – per quanto possibile – un progetto partito evidentemente male. Effettivamente, l’emergenza rendeva perdonabile qualche “leggerezza” di troppo e si sono inizialmente accolti con piacere i primi tentativi di adeguare Immuni alle regole del diritto (oltre che della logica) che si sembravano ignorare. Il codice sorgente è stato pubblicato, i contratti con Bending Spoons sono stati (pur faticosamente) resi disponibili on line e così via. Ma più si è andati avanti anche solo nella lettura dei contratti e più apparivano inverosimili i cambiamenti continui di direzione nelle strategie del governo. Questo emerge non solo nel disegno del progetto (ad esempio, da sistema centralizzato a sistema decentralizzato totalmente appoggiato sulle API di Apple e Google), ma anche solo nelle indicazioni ballerine in merito alla titolarità dei dati o nella nomina in capo a Bending Spoons come Responsabile del trattamento (nomina ammissibile se si trattassero dati personali, che invece questo soggetto privato esterno non dovrebbe trattare…e infatti una postilla successiva ai contratti l’ha dovuto precisare). 

Insomma, una corsa ad ostacoli, per rattoppare il rattoppabile e, per un progetto così delicato e importante, il sospetto relativo a un certo smarrimento, se non totale mancanza di strategia di fondo, è diventato sempre più concreto.

Diciamo che quando si è inizialmente criticato il progetto, si dava per scontato che il governo autorevolmente fosse partito con il suo disegno da un necessario presupposto che dovrebbe dominare qualsiasi scelta tecnologica e, cioè, un’analisi strategica sulla reale utilità di una tecnologia per combattere la pandemia. E ha fatto bene recentemente Diego Piacentini, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, a ricordare il principio della neutralità della tecnologia e della consequenziale indispensabilità di strategie e regole precise. Ma tutto questo deve avvenire all’inizio di una scelta progettuale.

“Qualsiasi tecnologia scelta va bene, l’importante è comunicarlo in modo efficace!”


Oggi tra severi dubbi in merito alla stessa possibilità della tecnologia Bluetooth di aiutarci con un contact tracing affidabile, (dubbi espressi peraltro da uno dei padri di questa tecnologia, Sven Mattisson),  evidenze sul fatto che il progetto possa generare una imprecisata moltitudine di alert positivi e negativi (non sostenibili oggi – a quanto sembrerebbe – dal nostro sistema sanitario) ed esperienze similari all’estero che non hanno sortito gli effetti sperati, si rimane sconcertati dal modus operandi governativo piuttosto semplicista e – almeno all’apparenza – dettato dal gusto di offrire una qualsiasi soluzione, la più veloce a disposizione, almeno per comunicarla e (forse) successivamente testarla. Ma non si procede in modo così “sbarazzino” con progetti di tale portata e che hanno ricadute effettive sulla nostra esistenza digitale.

Del resto, si è deciso, sull’onda di un entusiasmo, speriamo sincero, di poggiare l’intero sistema di tracing (in realtà trattasi più propriamente di un exposure notification solution) sulle API di Apple e Google e le conseguenze di tale decisione a livello politico-economico non possono sfuggirci. Francia e Inghilterra, ad esempio, hanno puntato su una maggiore indipendenza e autonomia per le loro applicazioni, pur con tutte le difficoltà pratiche che ciò comporta. Noi in fretta e furia, sotto l’effetto di un innamoramento verso la tecnologia scelta, abbiamo contrattualizzato con Bending Spoons una soluzione che dipendesse a doppia mandata da due player esteri, le cui dimensioni economiche sono chiare a tutti. E se i termini degli impegni di Bending Spoons sono oggi finalmente più o meno chiari, non ci si può non domandare che tipo di garanzie e impegni Google e Apple abbiano preso con il nostro Paese per rendere affidabile il funzionamento di Immuni. C’è evidenza di questo? 

Gli incantesimi crudeli del digitale


Il mondo dell’economia si intreccia con quello della politica nelle nuove dimensioni del digitale dove uno Stato non ha “potere contrattuale” verso una multinazionale che ha fatto della profilazione il suo obiettivo più strisciante. E se da una parte Immuni può generare infantile entusiasmo e imprecisati doveri civici verso il proprio Paese, dall’altra la melodia di certi incantesimi si percepisce dietro la gratuità e la benevolenza nei nostri confronti. Del resto, stiamo parlando di multinazionali in grado di piegare nazioni e di gestire immensi interessi commerciali, e certe tipologie di dati fanno gola e lo fanno ancor più le abitudini di utilizzo che Immuni potrebbe generare. Quanto fa gola oggi un utente che tenga sempre acceso il proprio smartphone e disponibili e aperte le porte di bluetooth e gps?Quanto è utile un cittadino abituato a farsi gestire con tracciamenti di prossimità in ogni sua singola scelta?

Abbiamo comprato una barca per scalare una montagna?


Ce le stiamo ponendo queste domande a monte della scelta di questa o quella tecnologia? E se il Bluetooth non è affidabile per ciò che vorremmo ottenere perché si vuole cedere a tali tentazioni? Non ho alcun interesse di discutere sulla bellezza del codice sorgente di Immuni e neppure sulle capacità divine per aver realizzato una mirabile soluzione software in soli 70 giorni, tanto è irrilevante tale genere di argomentazione. Sviluppare una strategia a monte di una scelta, implica chiedersi prima di tutto se devo scalare una montagna o navigare lungo il mare per raggiungere un obiettivo prefissato, quindi verificare se l’attrezzatura scelta sia quella più corretta per il viaggio da affrontare. E non sempre un paio di costosissime e luccicanti scarpe da tennis e una tuta color giallo minion possono essere utili allo scopo, se devo affrontare un viaggio in mezzo al mare.

Si poteva fare meglio?


A mio avviso, ci si poteva dedicare a una analisi più ponderata guardando con attenzione le buone prassi, peraltro non sempre lontane dai nostri confini. Ad esempio in Veneto, invece di puntare su un app,  si è deciso di affidare il tracciamento a una piattaforma per l’analisi dei dati presenti nelle banche dati già a disposizione delle PA che aiutasse a farle comunicare tra loro, rendendole interoperabili. La strategia regionale ha combinato una maggiore diffusione di sistemi di verifica, gestendo i dati già a disposizione del sistema sanitario regionale,  incrociandoli con quelli comunali delle anagrafi, in modo da agevolare il semplice tracciamento manuale. Sarebbe stato questo uno scenario nazionale possibile, se solo l’Italia fosse stato un Paese digitalizzato per davvero, e non a parole. Come peraltro immaginato da quindici anni nel Codice dell’Amministrazione Digitale che è normativa esistente e in vigore, ma sconosciuta (e il primo a ignorarla sembrerebbe essere proprio il ministero che si dovrebbe occupare di essa, cioè della digitalizzazione del Paese). 

Perché si è voluto riconcorrere e lanciare Immuni, peraltro nella bolgia di altre (forse ancora più pericolose) app regionali?

Non si può far partire un progetto innovativo da una scelta tecnologica dettata da un innamoramento della stessa, perché in preda alle emozioni del momento, anche senza accorgersene, si può finire per rischiare di paralizzare l’economia di un intero Paese se strategicamente impreparato a gestire un flusso di dati inaffidabili notificati in modo incontrollato a migliaia di ignari lavoratori.

Per fortuna, questo è uno scenario ad oggi lontano dal potersi verificare, perché gli stessi dati di utilizzo di Immuni in Puglia ci regalano un Paese che sta ignorando l’App e il suo utilizzo. E soprattutto il virus sembra volerci graziare, almeno per il momento.

È davvero una fortuna nello stato reale di confusione in cui versa il Paese.

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