Il tavolo a un punto morto?
L’ennesimo tavolo sul tema della rete è arrivato a compimento del suo percorso di investigazione non giungendo ad alcun punto preciso. Un nulla di fatto che conferma la validità dell’unica soluzione percorribile, a partire dal prerequisito da cui non si può prescindere: ovvero che la rete rimanga in capo a TIM e che Open Fiber sia incorporata dentro TIM, come peraltro previsto dal Progetto Minerva.
Non si può continuare a sbattere la testa contro il muro
Il perché della inconcludenza degli incontri di queste settimane è pertanto molto semplice e da ricondurre al fatto che lo scorporo della rete di TIM è impraticabile. E lo è per una serie di ragioni:
- Il perimetro. Innanzitutto le difficoltà tecniche di stabilire il perimetro dello scorporo della rete. Cosa mettere all’interno di questo perimetro? Nessuno lo dice e le idee sul tavolo sembrano banalmente o volutamente confuse.
- Il nodo del prezzo. In seconda battuta, i valori richiesti da Vivendi (31 miliardi di euro), ma anche quelli che Cassa Depositi e Prestiti (CDP) sarebbe stata disposta a pagare per la rete di TIM (15 miliardi di euro), sono difficili da giustificare. Perché? Perché il Governo si è impegnato a coprire l’intero Paese in fibra fino a casa entro il 2026, grazie ai fondi del PNRR, e la rete di TIM è ancora quasi tutta in rame, per cui perderebbe valore in pochi anni e i miliardi pagati sarebbero soldi buttati dalla finestra. Anche applicando la formula del Discounted Cash Flow, verrebbero dei valori molto più bassi rispetto alle cifre che stanno circolando ad arte. Il problema è che TIM calcola il valore della rete sulla base dei propri fabbisogni finanziari e sulla richiesta dei soci (anzi del socio di maggioranza Vivendi) di distribuire un “dividendo straordinario” e non sul valore di mercato e sui flussi di cassa che quella la rete è effettivamente capace di generare.
- La tempistica. Uno scorporo con le relative autorizzazioni richiederebbe almeno 2-3 anni. E su questi tempi non ci piove. Nel frattempo il Paese cosa fa? Aspetta? E quando la Commissione europea dovesse riscontrare vistose irregolarità in ambito di mercato competitivo che si fa? Si azzera tutto e si ricomincia daccapo? Intanto chi ha potuto incassare sarà altrove e la patata bollente rimane in mano agli allocchi che si sono prestati all’operazione.
E allora cosa fare?
Fintantoché Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e Vivendi continueranno a richiedere lo scorporo della rete di TIM, non si farà alcun progresso, si perderanno preziose settimane e la situazione continuerà a peggiorare.
TIM potrebbe arrivare a dichiarare lo stato di crisi aziendale, come spesso anticipato dallo stesso AD Pietro Labriola che ha sottolineato di essere nella condizione di non poter fare alcun investimento e di trovarsi sul punto di essere affogato dai costi dell’energia, e Open Fiber si ritroverebbe sommersa dai ritardi che ha accumulato. Con tutti gli altri operatori di telecomunicazioni (Vodafone, WindTre, Iliad, Fastweb, Sky Italia, Retelit ecc.), che qualcuno ha voluto colpevolmente tener fuori dall’intera vicenda, attestando paradossalmente l’impegno di mediazione del governo della Repubblica in una “trattativa tra privati” impegnati nella compravendita di un asset che difficilmente, come è sotto gli occhi di tutti, potrà passare di mano.
Tempo scaduto
Ma la campanella sta per suonare. Forse è venuto il momento della fine della ricreazione e diventa improcrastinabile la necessità di cambiare radicalmente direzione e voltare finalmente pagina. Siamo al momento delle assunzioni di responsabilità.
I proponenti del MoU e lo stesso vertice di Open Fiber se ne facciano una ragione.