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La Rete in Italia fra web tax e neo-colonialismo digitale

Ieri pomeriggio, giovedì 20 febbraio 2020, la “Sala Zuccari” del Senato della Repubblica ha curiosamente ospitato due iniziative in ambito “mediologico”, pur indipendenti tra loro: la mattina, la presentazione del 16° Rapporto Censis sulla Comunicazione ed il pomeriggio il convegno “Over the Tax. Impunità fiscale al tempo dei giganti della rete”, promosso dalla Fondazione Italia Protagonista, ovvero dall’ex Ministro delle Comunicazioni ed attualmente senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri.

Sebbene una parte dell’uditorio di Palazzo Giustiniani fosse sostanzialmente la stessa (ovvero la stessa “compagnia di giro”…) sia la mattina sia il pomeriggio, abbiamo assistito ad una sorta di preoccupante “scissione” tematico-ideologica, perché le tematiche affrontate dalle due iniziative sono in verità intimamente intrecciate: il Censis ha proposto la sua analisi dello stato di salute del sistema mediale italiano, studiato con metodologie non particolarmente evolute (anzi piuttosto passatiste) e certamente non granché transdisciplinari (prevale un approccio quantitativo-economicista), mentre la Fondazione Italia Protagonista ha affrontato una questione essenziale dell’economia digitale (e quindi dell’economia del sistema mediale-culturale tout-tourt), ovvero la pressoché totale assenza di regola dei grandi “player” del web.

Se, nella seconda occasione, si è fatto riferimento alle criticità dell’industria culturale nazionale, nella prima occasione pochissimi sono stati – fatto salvo l’intervento polemico di Gina Nieri del Cda Mediaset – i riferimenti a quello scenario globale (planetario) che ormai tanta influenza determina nelle singole economie nazionali (essendosi concentrata l’attenzione, nel convegno della mattina, su letture riduttive come “internet ruba pubblico alla tv”…).

La “disruption” è anche socio-culturale, non soltanto economica

La questione è ormai centrale nell’economia della società digitale, anzi è il tema più importante, perché l’intensità della “disruption” provocata da soggetti come Google Facebook ed Amazon sta scardinando le logiche storiche del sistema economico e sociale e finanche politico: siamo di fronte ad una vera e propria nuova era del capitalismo, come ha ben teorizzato Sergio Bellucci, nel suo recente saggio “L’industria dei sensi” (Harpo Edizioni, 2020). Come sostiene Bellucci, “una industria di nuovo tipo si è affermata nel ‘900 e ha cambiato l’intera storia umana. È un ciclo industriale che lavora in permanenza alla costruzione del senso della vita, costruendo il con-senso politico necessario. L’industria di senso rompe i millenari rapporti di costruzione etico-morale delle società, marginalizza le strutture sociali e politiche con una ideologia autonoma ed entra in diretta concorrenza con le strutture culturali e religiose dei territori che invade”.

L’intreccio tra economia materiale ed economia immateriale – tra “sogni” e “bisogni” – è sempre più intimo: stanno saltando i paradigmi classici dell’analisi socio-economica e politica, siamo all’alba veramente di un “nuovo mondo”, ed emerge un enorme ritardo (da parte dell’accademia così come della politica, in Italia in particolare) nell’analisi accurata ed approfondita di questi fenomeni.

La “web tax” si pone come strumento per regolamentare, nell’era dell’economia digitale, la tassazione delle multinazionali che operano in rete, con l’obiettivo di garantire equità fiscale e concorrenza leale. La sua introduzione, però, arranca ovunque, e molti osservatori temono che sia uno strumento inadeguato, debole se sviluppato a livello esclusivamente nazionale…

L’incontro di ieri pomeriggio si è rivelato molto stimolante, ed ha registrato un evidente “scontro” tra Fedele Confalonieri, Presidente del Gruppo Mediaset ma in qualche modo in “rappresentanza” degli editori tutti (in senso lato), e Cesare Avenia, Presidente di Confindustria Digitale ed in qualche modo in “rappresentanza” degli operatori del web: il primo a lamentare la ormai incredibile asimmetria esistente tra i “vecchi” operatori ed i “nuovi” e l’esigenza di interventi radicali ed urgenti, ed il secondo ad invocare prudenza estrema, ovvero regole transnazionali, globali, planetarie, per evitare che lacci normativi a livello nazionale possano ostacolare le infinite potenzialità di sviluppo dell’economia digitale.

La Vice Presidente Nazionale di Confcommercio, Donatella Prampolini Manzini, ha presentato una relazione molto interessante, proponendo un dataset certamente utile al dibattito. Dopo una serie di dati di scenario, ha evidenziato alcune dinamiche del mercato italiano, con particolare attenzione all’eCommerce: cala il numero di imprese del commercio al dettaglio tradizionale, triplica la quota di quelle che vendono solo “on line”. Il fatturato di Amazon in Italia viene stimato (a partire da dati Cerved) intorno ai 2,2 miliardi di euro, così ripartiti: 1,5 miliardi per attività di e-commerce, 350 milioni logistica, 300 milioni servizi informatici, 50 milioni marketing e pubblicità…

Il valore degli acquisti in Italia evidenzia la progressione del fenomeno dell’eCommerce: dal 2009, il giro d’affari è cresciuto di ben 21 miliardi di euro, passando dai 6,6 miliardi ai 27,4 miliardi del 2018, con previsione di raggiungere quota 31,5 miliardi nel 2019.

Secondo stime Mediobanca, dal punto di vista fiscale, il fatturato aggregato delle filiali italiane delle multinazionali del web nel 2018 ha superato i 2,4 miliardi di euro, a fronte di 64 milioni di euro pagati al fisco.

La “web tax” introdotta in Italia a partire dal 2020 va a colpire solo i “servizi digitali”, con un’aliquota del 3 % sui ricavi dei soggetti che hanno un volume di affari pari o superiore a 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni realizzati nel territorio dello Stato italiano.

L’imposta rimarrà in vigore fino all’attuazione della normativa che deriverà dagli accordi raggiunti in sede internazionale in materia di tassazione dell’economia digitale. Alcuni osservatori manifestano preoccupazione sulla concreta operatività della norma.

Confalonieri: “M5S e Lega asserviti al neo-colonialismo americano”

Il dibattito è stato di grande interesse, ravvivato da un Confalonieri effervescente, con una eccellente verve retorica, con battute argute, veramente scatenato: ha accusato il Movimento 5 Stelle e la Lega di essere asserviti alle logiche di Facebook e dei “social media” (vedi alla voce Cambridge Analityca e risultati delle elezioni negli Usa), e di essere quindi partigiani difensori d’ufficio degli interessi del “neo-colonianismo americano”; ha registrato le posizioni del Governo italiano contro la direttiva sul diritto d’autore, che confermano una incapacità di comprendere la necessità di correggere le distorsioni del mercato che la nuova economia digitale sta producendo, a discapito delle industrie culturali e creative, degli autori e degli editori e quindi dei fruitori. Confalonieri ha segnalato la opacità delle economie dei “Gafa” (l’acronimo che unisce Google, Apple, Facebook, Amazon), a partire da bilanci non esattamente trasparenti, e sfuggenti rispetto ai vincoli delle normative nazionali. “All’editoria italiana mancano 3 miliardi di euro, che vengono dati agli over-the-top” – ha sostenuto Confalonieri – “e questa tassa del 3 % è soltanto un’aspirina”. Ha consigliato con convinzione la lettura del saggio di Shoshana Zuboff, “Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri” (pubblicato qualche mese fa in italiano da Luiss University Press), testo che ritiene illuminante.

L’avvocato Luca Scordino, Consigliere Giuridico della Società Italiana Autori Editori (Siae), in rappresentanza del Direttore Generale Gaetano Blandini, ha ricordato le battaglie per l’approvazione a livello europeo e per il recepimento in Italia della nuova direttiva per il diritto d’autore, che è una strumentazione assolutamente indispensabile per cercare di arginare lo strapotere dei giganti del web. Scordino ha letto alcuni passi da documenti ufficiali di Google, che evidenziano la vocazione a restare – ha sostenuto – “sovranazionali e irresponsabili”, abusando tra l’altro del “value gap” (il divario tra quanti ricavi effettivamente generano i prodotti degli artisti e le remunerazioni versate agli stessi dalle piattaforme).

Esiste infatti una sorta di “fil rouge” che collega il recepimento della nuova direttiva sul copyright e la tassazione degli operatori multinazionali del web: giustappunto un collegamento diretto tra la dimensione “immateriale” della creatività e la dimensione “materiale” dell’economia.

Si ricordi che il Segretario del Tesoro del Governo americano, Steven Mnuchin, in occasione del World Economic Forum (Wef) di Davos, ha dichiarato a chiare lettere che se gli Stati europei decidessero di imporre arbitrariamente una tassa sulle società digitali, gli Usa prenderanno in considerazione la possibilità di imporre arbitrariamente imposte e dazi in mercati e su merci di interesse dei singoli Stati. Una vera e propria minaccia di ritorsioni, che evidenzia le dimensioni dello scontro, veramente epocale. Sempre a Davos, il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha dichiarato: “l’Italia punta a un accordo globale per la web tax, ma in assenza di questo accordo scatterà la tassazione italiana a partire dal febbraio 2021”.

Sul fronte italiano, si è registrata comunque già una frenata rispetto agli annunci: la tassa prevista dalla Legge di Bilancio (il 3 %, da applicare a tutti i servizi effettuati con mezzi elettronici per i gruppi che non accettano lo status di “contribuente”) è entrata in vigore in gennaio, ma la prima rata dovrà essere versata giustappunto tra un anno, nel febbraio 2021.

Maurizio Gasparri: “abbiamo un governo inginocchiato davanti ai giganti del web”

Secondo il senatore Maurizio Gasparri, la tassa dovrebbe essere elevata “ad almeno il 15 %”: i settori colpiti dai fenomeni in atto sono sicuramente il commercio tradizionale (con la sua componente di socialità, peraltro), dato che Amazon non paga le tasse, usa “rider” sfruttati per le consegne, ed in questo modo riesce a vendere prodotti a prezzi ridotti, ma anche tutta l’industria culturale soffre di un continuo saccheggio da parte dei giganti del web. “Jeff Bezos e Mark Zukerberg vivono in un regime di esenzione fiscale e questo distorce il mercato – ha sostenuto Gasparri – … io non sono contro la rivoluzione digitale, ma contro la disparità di condizioni fiscali… Abbiamo un governo inginocchiato davanti ai giganti del web, soprattutto i 5 Stelle, con rapporti tutti da verificare con i giganti della rete…”.

Il Presidente della Federazione Italiana Editori Giornali (Fieg), Andrea Riffeser Monti si è mostrato meno pessimista ed allarmista di Confalonieri, ed ha riconosciuto all’attuale Esecutivo un impegno positivo: “bisogna sensibilizzare ancora di più il Parlamento, ma il Governo si è dato veramente molto da fare, anche in difesa dell’editoria… E l’atmosfera è cambiata anche in Europa. La Commissaria Vestager è un osso veramente duro e non si può pensare che tutto rimanga come prima. Le stesse Ott del resto, pensiamo a Fb, stanno cercando di dialogare con noi”. Va osservato che qualche giorno fa Mark Zuckerberg ha manifestato la propria disponibilità discutere di “Web Tax”: il Ceo di Facebook ha scritto sul “Financial Times” che “le aziende tecnologiche dovrebbero servire la società e pertanto sosteniamo gli sforzi dell’Ocse volti a creare regole fiscali globali eque per internet… una buona regolamentazione delle Big Tech può danneggiare i nostri affari a breve termine, ma nel lungo periodo darà benefici a tutti”. Temiamo che si tratti di dichiarazioni simpaticamente tattiche, a fronte di una strategia di dominio di lungo periodo che va ben oltre.

E ci sembra che il Governo italiano non sia ancora sufficientemente sensibile rispetto agli sconvolgimenti radicali che la nuova economia digitale sta determinando nell’intero sistema sociale.

Le mutazioni in atto sono certamente trainate dalle logiche economiche del capitalismo digitale ma hanno caratteristiche che riguardano pervasivamente l’intero sistema socio-culturale: la “disruption” mette in discussione il ruolo stesso dello Stato nella società, a partire dai “servizi pubblici”, e giocando sull’ingannevole principio della “libertà del gratis”. Con particolare attenzione al primo servizio pubblico che viene contestato, ovvero quello radio-televisivo-mediale: basti osservare come il governo di centro-destra britannico stia cercando di scardinare il ruolo della storica Bbc, minando il suo fondamento, il canone… Lo scontro in atto è veramente epocale. Ed in Italia, la Rai resta a guardare, non resasi ancora ben conto della tempesta che sta per colpirla. E Governo e Parlamento tacciono.

Clicca qui, per leggere la presentazione di Donatella Prampolini Manzini, Vice Presidente Nazionale di Confcommercio, al convegno “Over The Tax”, Senato della Repubblica, Roma, 20 febbraio 2020

Clicca qui, per fruire della videoregistrazione, a cura di Radio Radicale, del convegno “Over The Tax. Impunità fiscale al tempo dei giganti della rete”, Senato della Repubblica, Roma, 20 febbraio 2020

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