Per quanto l’estrema popolarità della ricorrenza ne offuschi l’essenza, il Natale è una festa religiosa. La trasformazione della sua natura è una spia della trasformazione del rapporto delle popolazioni con le proprie fedi—non solo quella cristiana e non solo in Occidente.
Anche nell’Islam la forte politicizzazione è sintomo di un allontanamento dagli insegnamenti primitivi, non del riavvicinamento—ma è il cristianesimo che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Perfino la scarsità di eresie interessanti suggerisce che il tema religioso sia ormai di limitata presa popolare. Quando la fede importava quotidianamente, anche il dettagliame teologico era di grande interesse generale. Un esempio riguardava la resurrezione. I primi teologi cristiani dovettero lottare strenuamente con una questione che creava vera ansia tra i credenti: Al giorno della resurrezione, cosa succedeva alle persone i cui corpi erano stati divorati dalle bestie? Essendo stati assorbiti da altri esseri viventi, come potevano essere recuperati per riprendere la vita eterna?
La soluzione è attribuita a Atenagora di Atene, un filosofo e apologo cristiano del II secolo, che attraverso un ragionamento decisamente contorto dimostrò come la carne umana, essendo “non-naturale” (cioè, in quanto toccata da una scintilla di divinità) non potesse essere definitivamente assimilata dalle bestie semplici—e che nel grande giorno della resurrezione sarebbe stata pertanto “separata” e riassemblata nella forma appropriata.
Il profeta Giona, dopotutto, non fu digerito dalla balena che l’ingoiò. C’era quindi speranza per i divorati: sarebbero stati vomitati o forse “escretati” di modo che Dio potesse rifarli alla maniera originale. La questione si risolse così, ma lasciò una traccia bizzarra nell’iconografia cristiana delle epoche seguenti, con le immagini di grandi pesci e animali che vomitavano gli arti e le teste—dalle facce sorridenti—delle vittime umane che tornavano alla vita eterna.
La controversia ebbe poi un eco ancora più strano nell’eresia “stercorianista” di quasi un millennio più tardi, nella tremenda battaglia della Chiesa per imporre il dogma dell’Augustissimo Sacramento dell’Altare e della transustanziazione, la letterale trasformazione del vino e del pane nel sangue e la carne di Gesù nel miracolo dell’eucaristia. Già nell’VIII secolo gli Iconoclasti osteggiarono la dottrina, ma furono schiacciati durante il secondo Concilio di Nicea. Andando verso l’anno mille la questione fu ripresa e si arrivò ad affermare che il pane e il vino non potevano diventare Corpo e Sangue di Cristo, essendo dai credenti digeriti e trasformati in sterco, costretti quindi alla “comune legge dei cibi”.
La logica non fece una grinza, ma la conclusione era intollerabile. La Chiesa non ribatté quanto reagì, sopprimendo in tutti i modi la sgradevole eresia—e gli ordini religiosi che la sostennero con la raccolta delle feci dei fedeli in eleganti cofanetti per onorarle a dovere. Come loro, l’eresia scomparve. Sono controversie che sembrano assurde al giorno d’oggi, ma sono anche indicative di una fede reale, pienamente accettata e applicata nel concreto all’esperienza umana. Le eresie di una volta sono state sterilizzate, ma qual è la fede che si esprime attraverso lo scambio di regali infiocchettati?
*Nota Diplomatica ‘Le eresie imbarazzanti‘ di James Hansen