L'intervista

‘La Rai e il web? Il problema vero è la governance.’ Intervista ad Alberto Contri (Pubblicità Progresso)

a cura di Piero Boccellato |

Alberto Contri (Pubblicità Progresso): 'Da anni sentiamo sindacati e anche politici strillare che la Rai si deve modernizzare, deve investire nell’innovazione. Peccato che quando poi si arriva al dunque viene sempre fuori un combinato disposto di forze contrarie all’innovazione sostanziale.

Alcuni giorni fa Sergio Rizzo ha ricordato sul Corriere della Sera che “La maggioranza del CdA della Rai si oppone al nuovo portale della tv di Stato”, alla cui guida era già stata indicata Milena Gabanelli. Alludendo a forme di ostruzione di centri di potere interni e a gelosie professionali che coinvolgerebbero addirittura i vertici. Abbiamo quindi pensato di chiedere sulla questione un parere tecnico ad Alberto Contri, presidente della fondazione Pubblicità Progresso.

Key4biz. Prof. Contri, lei è stato consigliere della RAI con delega ai nuovi media dal ’98 al 2002 ha contribuito a disegnare tutti gli asset che oggi la Rai ha nell’area web, ed è pure stato Amministratore Delegato di Rainet dal 2003 al 2008, e ne ha raccontato la storia nel saggio ‘McLuhan non abita più qui?’ edito da Bollati Boringhieri. Cosa pensa di questa vicenda? 

Alberto Contri. Di gossip su gelosie dei vertici non so nulla e non voglio saperne nulla. Da diverse fonti di stampa veniamo sempre più spesso informati che ancora una volta la progettualità e la gestione della Rai si trovano ad inciampare nei lacci e nei lacciuoli della politica. La governance decisa dal governo Renzi ha previsto un Amministratore Delegato con ampi poteri e un CdA con poteri di carattere consultivo. Ma non appena il neo AD ha cominciato ad applicare tale modello di governance, ha incontrato ostacoli di ogni genere.

Da quello che ho potuto leggere sui giornali, il cosiddetto piano Verdelli – che sembrava un piano moderno e di grande buon senso – ha dovuto essere ritirato causando le dimissioni del suo autore. Ma basta leggerne le premesse per capire quanto il boccone fosse indigeribile per la politica (e non solo), sempre pronta a difendere il cosiddetto pluralismo: una sola news room, ma siamo matti? Ridurre le testate, ma siamo matti? Spostare il TG2 a Milano, ma siamo matti? (Intanto Sky, Mediaset, Libero chiudono le redazioni romane e portano tutto a Milano). Far diventare multimediali i giornalisti, ma scherziamo?

Key4biz. A proposito di quest’ultima opzione, lei nel suo libro racconta di aver proposto cose simili dopo aver visitato la BBC e France Telévision nel 2005, ma senza successo.

 

Alberto Contri. Nel 2005 già da tempo i giornalisti di questi grandi servizi pubblici europei si montavano i servizi da soli, e facevano turni in cui producevano ciascuno diversi servizi ad hoc per tv, radio e internet. Ma quando l’allora DG Celli si decise a comprare alcuni di questi registratori digitali, rimasero a prendere la polvere sugli scaffali, per l’opposizione dei sindacati che difendevano a oltranza il lavoro dei montatori. Quanti sanno che ancora oggi i giornalisti di RaiNews24 escono con la loro telecamerina, ma poi devono fare la fila davanti alle salette di montaggio? Come è possibile che oggi, mentre qualunque ragazzino si sa montare i propri video con i-Movie, i giornalisti non lo vogliano o non lo sappiano fare? Oggi, quando la velocità è tutto, e la guerra per le news tra tv e web si basa soprattutto su chi arriva prima?

Key4biz. Sono questi i potentati interni cui allude Sergio Rizzo?

 

Alberto Contri. Interni ed esterni. Da anni sentiamo sindacati e anche politici strillare che la Rai si deve modernizzare, deve investire nell’innovazione, eccetera eccetera. Peccato che quando poi si arriva al dunque viene sempre fuori un combinato disposto di forze contrarie all’innovazione sostanziale e sempre pronte a difendere le rendite di posizione. Tutto naturalmente in nome del pluralismo e delle fattibilità operative, o anche per molte altre più nobili intenzioni, ma sta di fatto che da decenni su questi fronti la Rai è ferma. Qualcuno ha sostenuto che il portale news affidato alla Gabanelli aumenterebbe il numero delle testate: forse invece si teme il contrario, cioè l’accorpamento e la centralizzazioni di molte funzioni (leggi quindi potere).

Key4biz. Ci aveva provato anche lei a Rainet?

 

Alberto Contri. Chi è interessato a sapere come ci ero pure riuscito può leggere il mio saggio. Sta di fatto che in breve tempo, pur in assenza di indirizzi consiliari, reti e testate vennero tutte a farsi fare i siti da Rainet perché la società era diventata un hub di eccellenza, che cresceva per sviluppo interno e senza investimenti ( i computer erano vecchi e la sperimentazione era di fatto un hobby di alcuni collaboratori). Ispirandoci a BBC e a France Television facemmo passi da gigante (+ 500% di utenti unici in 4 anni), ma evidentemente il successo dà fastidio, e Rainet, anche per insipienza di vertici che del web hanno sempre masticato poco o nulla, è stata addirittura chiusa. E come società partecipata consentiva pure vantaggi finanziari. Un vero colpo da maestro: distrutto l’hub di eccellenza, sparpagliate le risorse faticosamente selezionate e addestrate nel corpaccione della Rai, rimesso indietro l’orologio dell’innovazione. Con Raidigital affidata alle cure di un manager di grande esperienza come Tagliavia si sta ora cercando di riguadagnare il tempo perduto, ma di fatto il modello rimane quello. Ricordo che al momento in cui lasciai nel 2008 c’erano già i portali Rai.it, Rai.tv, oltre 450 siti gestiti centralmente, 7 canali di web tv con oltre 30 milioni di video caricati. L’ottima applicazione Raiplay è la diretta prosecuzione di quel lavoro e di quell’impostazione.

Key4biz. Nonostante questo, sta di fatto che il piano per l’informazione non è stato approvato, il portale delle news bloccato, e l’azienda è in una delicata impasse.

 

Alberto Contri. Ripeto che la responsabilità sta nell’aver individuato una governance che non può funzionare. Un amministratore delegato con enormi poteri nominato addirittura dal governo, un CdA con troppi consiglieri senza effettivi poteri se non quello di respingere i progetti chiave dell’AD, che alla terza volta diventano di fatto una richiesta di dimissioni. AD di fatto delegittimato un giorno sì e l’altro pure da membri della vigilanza vicinissimi a chi l’ha nominato. La situazione ora è molto ingarbugliata, ma la responsabilità è dell’ipocrisia con cui si fanno le cose.

Qualcuno si offenderà, ma nel mio saggio, dopo aver descritto cosa è cambiato dopo il big bang del web, chiarisco a chiare lettere che la nostra classe politica ha una cultura della comunicazione vecchia di trent’anni. Basta vedere come non sanno usare la rete, che è un ambiente assai complesso e pieno di trappole. Basta vedere cosa non hanno capito dell’azienda di servizio pubblico presidenti venuti dalla politica o da altre professioni. E questo non vale solo per la politica. Uno degli errori chiave che hanno fatto tutti gli editori televisivi è consistito nel considerare internet un mezzo per portare ascolti alla tv.

Quando è tutto un altro mondo, salvo rare occasioni in cui i due ambienti possono trovare grandi sinergie. Ma che ti vuoi aspettare da un’azienda che è rimasta tv-centrica fino all’osso? Trovo infine che se si approva il principio generale di trasformare la Rai in una moderna media company, non è possibile poi opporsi alle rivoluzioni organizzative che questa missione comporta. Rivoluzioni si fa per dire, visto che si tratta di prassi in uso negli altri servizi pubblici d’Europa da almeno quindici anni. E quindi, di che stiamo parlando?

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