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La Rai alla prova del Governo Meloni

di Francesco Devescovi, già dirigente Rai esperto di economia dei media |

Quello che per molti è l'assalto alla Rai potrebbe diventare, insieme alla fine dell'era Berlusconi, la fine del duopolio. Con molte incognite per le sorti della radiotelevisione pubblica.

Per gentile autorizzazione della rivista Il Mulino Democrazia futura ripropone un’analisi di Francesco Devescovi su “La Rai alla prova del Governo Meloni[1]“. Quello che per molti è l’assalto alla Rai potrebbe diventare, insieme alla fine dell’era Berlusconi, la fine del duopolio. Con molte incognite per le sorti della radiotelevisione pubblica – secondo l’ex dirigente Rai già direttore di Rai ERI.

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Lo scorso anno la Rai ha raggiunto il 38% di share degli ascolti in prima serata, a fronte del 36% raccolto da Mediaset. L’una e l’altra insieme hanno dunque il 74% del totale degli ascolti televisivi. La Rai acquisisce una quota della pubblicità nazionale televisiva nettamente inferiore rispetto agli ascolti (che sono il parametro principale che determina la potenzialità pubblicitaria di un mezzo): il 20% pari a circa 700 milioni (dati Nielsen), mentre Mediaset ha una quota ben superiore, il 56%, pari a 1 miliardo e 980 milioni (insieme raggiungono il 76% della pubblicità televisiva). Questo particolare meccanismo, da sempre operante nel sistema televisivo, nasce dal fatto che la Rai è finanziata anche dal canone (per il 72% dei suoi ricavi) e deve quindi trasmettere una quantità di messaggi pubblicitari di gran lunga inferiore rispetto ai concorrenti (più di un terzo in meno). Questo meccanismo fa sì che il canone nella pratica diventi una risorsa dell’intero sistema, finanziando da un lato direttamente la Rai ma, dall’altro, indirettamente l’intero mercato e quindi anche Mediaset.

Questo meccanismo ha reso i due oligopolisti “solidali” nella difesa del sistema televisivo, un sistema che non a caso non è mai stato cambiato, dal momento che entrambi gli operatori ne traggono vantaggio: Mediaset in misura diretta, la Rai perché così allontana ogni ipotesi di privatizzazione, prospettiva che ciclicamente riappare nel dibattito politico, e perché le vengono garantiti i finanziamenti pubblici.

Anche in base a questo particolare intreccio che lega i due oligopolisti, che cosa sta accadendo alla Rai a seguito della “occupazione” dell’azienda pubblica da parte della nuova maggioranza? Prima di tentare di rispondere a questo interrogativo, va subito premesso che nella storia del nostro sistema radiotelevisivo ogni cambio di maggioranza ha comportato l’arrivo di un nuovo vertice della Rai e, di riflesso, una nuova linea editoriale. Da questo punto di vista non è una novità il fatto che il vertice sia stato cambiato, anche se in questo caso abbiamo assistito a una vera e propria forzatura, dal momento che il cambio è stato messo in atto un anno prima della sua naturale scadenza. Un fatto che crea un precedente e che alimenta il processo di delegittimazione del servizio pubblico. Al riguardo va tenuto presente che vi sono Paesi europei dove si cerca di far scadere il vertice a metà della legislatura, al fine di rendere il servizio pubblico più autonomo.

È la Rai che lottizza la politica e non la politica che lottizza la Rai, sostiene un detto. Ma in questo caso l’impressione è il governo sia mosso da una inedita frenesia di mutare sia la programmazione, sia la linea editoriale

L’impressione di molti osservatori è che il governo sia mosso da una inedita frenesia di mutare sia la programmazione, sia la linea editoriale. Bisognerà ovviamente attendere per valutare l’entità di questi cambiamenti, ma sin d’ora alcuni segnali sono evidenti. I telegiornali si sono riposizionati, come peraltro accade sempre (c’è un vecchio detto che non perde mai valore: è la Rai che lottizza la politica e non la politica che lottizza la Rai). Nei programmi di intrattenimento, la Rai ha quasi sempre vinto negli ascolti e da questo dato bisogna partire. Una “legge” dei media ci ricorda quanto sia forte il legame che si crea fra il pubblico e il singolo mezzo. Gli esperti parlano di “identità”; è questo il motivo per cui il più delle volte si compra lo stesso giornale, si apre sempre per primo il sito preferito, e alla sera sia pigia lo stesso tasto del telecomando. Non va dunque dimenticato che se si arrivasse a cambiamenti tali da modificare radicalmente la linea editoriale della televisione pubblica si potrebbe creare una disaffezione dei telespettatori (si pensi a Raidue, passata, dopo che le fu assegnata un’altra mission, da terza a quinta rete per ascolti).

C’è poi un’altra considerazione da fare. Ai primi segnali di crisi dei nuovi programmi o di programmi con lo stesso format ma conduttori diversi, si risponde in genere puntando su contenuti che abbassano la qualità dei programmi, in base a una consolidata supposizione secondo cui lo “scandalo”, il gossip e la notizia strillata raccolgano un maggior seguito. Ma la Rai è vista maggiormente dai target con livelli di istruzione e sociale alti e bassi (a differenza di Mediaset che privilegia i ceti medi), il che è considerato un pregio della Rai, così come la realizzazione della missione di istruire divertendo il pubblico, il che rischierebbe di venir meno se i cambiamenti fossero radicali.

Non va poi sottovalutato l’abbandono di alcuni conduttori. Sostenere che nessuno sia indispensabile è un errore grossolano: sarà difficile per Raitre mantenere il 12-13% di share la domenica sera. O ancora, c’è da dubitare fortemente che un altro network riuscirebbe, fra i tanti esempi che si potrebbero fare, a produrre un must della produzione seriale come Mare fuori, visto da tanti, giovani e anziani, anche nella principale piattaforma di streaming: un contenuto che ha sperimentato con successo l’integrazione fra televisione e Rete e una produzione per giunta poco costosa.

L’obiettivo principale della destra sembra essere quello di “smantellare” Raitre, tanto che a questa rete vengono rivolte le accuse peggiori. Si enuncia il proposito di introdurre una nuova “narrazione” che sostituisca quella finora dominante, identificata con la sinistra (e non ci sarebbe nulla da obiettare ovviamente se questa ipotetica “nuova narrazione” dovesse aumentare il livello culturale della rete e nel contempo aumentare gli ascolti). Raitre è la rete culturale per eccellenza: è, semplicemente, “buona televisione”, realizzata da professionisti seri che, almeno nella maggioranza dei casi, non hanno alcun proposito di imporre una determinata “narrazione politica”. Diversi direttori si sono succeduti, ma la sua ossatura è rimasta intatta. Almeno finora.

Se una parte consistente del pubblico di Raitre passasse su altri canali, per la Rai significherebbe perdere il primato degli ascolti, per la prima volta nella storia della televisione, a vantaggio del gruppo Mediaset

Il rischio è che una parte consistente del pubblico di Raitre (al momento la terza rete per ascolti, dopo Raiuno e Canale 5) passi su altri canali: perdendo anche solo la metà di quanto ora consegue, la Rai perderebbe il primato degli ascolti, per la prima volta nella storia della televisione, a vantaggio del gruppo Mediaset.

Grossi nuvoloni neri si addensano dunque su viale Mazzini e Saxa Rubra. Ma a garanzia c’è il cosiddetto “partito Rai”, composto da diversi soggetti: i lavoratori interni, che come d’abitudine si assoggettano ai nuovi “padroni” politici ma tendono anche a frenare le loro pretese quando si mettono a rischio i conti e l’immagine dell’azienda; gli autori dei programmi, perlopiù esperti che non si lasciano condizionare più di tanto, così come gli agenti delle star; e poi il mondo della pubblicità, gli inserzionisti, che esigono che la Rai mantenga la sua forza editoriale. Infine, ultimo “protettore”, c’è l’Auditel, che ogni mattina comunica i risultati degli ascolti del giorno prima.

I problemi maggiori per la Rai sorgeranno per un altro motivo. La scomparsa di Silvio Berlusconi rimetterà in discussione tutto l’assetto della televisione. L’attenuarsi della “forza” del partito-azienda potrebbe indebolire l’azienda del Biscione, e di riflesso anche la Rai. Quel meccanismo di ripartizione delle risorse, segnalato all’inizio, potrebbe così venir meno o almeno incrinarsi. Ma se i destini di Rai e Mediaset dovessero separarsi, è in quel momento che si capirà qual è la vera “forza” della Rai.


[1] Uscito nella rivista Il Mulino, il 23 giugno 2023. Cf. https://www.rivistailmulino.it/a/la-rai-alla-prova-del-governo-meloni.

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