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La proposta di legge del M5S per l’abolizione del canone Rai resta misteriosa, ma… viene rimandata a settembre

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Il “dietro le quinte” dell’inatteso annuncio di una proposta per abolire il canone Rai. Ma luglio finisce anche con la totale assenza di segnali rispetto all’elezione dei consiglieri per l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e per il Garante Privacy.

Luglio volge al termine, il caldo è sempre più torrido, la infuocata situazione politica precipita… in questo scenario non proprio confortante, si assiste alla deriva della Rai ed ai colpi di coda dell’Agcom: due sono le notizie importanti che meritano essere commentate in modo critico, cercando di comprendere il “dietro le quinte”, ovvero l’inatteso annuncio grillino di una proposta per abolire il canone Rai e la totale assenza di segnali rispetto all’elezione dei consiglieri per l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e per il Garante Privacy.

In condizioni normali, entrambe le notizie dovrebbero essere sparate nelle prime pagine dei giornali, ma è evidente che le condizioni attuali del nostro Paese sono ben lontane dall’essere normali, ed è altrettanto evidente che le “priorità” sono altre, e comunque sono definite in segrete stanze. Come dire?! Rispetto a cultura e media, peraltro, “ci sono sempre delle questioni più importanti” da seguire…

Segreto: l’aggettivo giusto per definire la incredibile dinamica secondo la quale il 15 luglio scorso, due esponenti del Movimento 5 Stelle ovvero la deputata Laura Paxia (leggi l’intervista alla senatrice Paxia: ‘Vi spiego perché voglio abolire il canone Rai’) ed il senatore Gianluigi Paragone annunciano una proposta di legge per l’abolizione del canone Rai, ma senza che si riesca a comprendere come si possa finanziare in modo alternativo il servizio pubblico. Il titolo dell’Atto Camera n. 1943 recita “Abolizione del canone di abbonamento alle radioaudizioni e alla televisione e della relativa tassa di concessione governativa, nonché modifica dell’articolo 38 del testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, in materia di limiti di affollamento pubblicitario nelle trasmissioni radiotelevisive”. Il disegno di legge a firma Paragone (Atto Senato n. 1417), co-firmatario Stefano Patuanelli, risulta “annunciato” e “presentato” nella seduta del 17 luglio. Nelle dichiarazioni, emerge l’idea di abolire i “tetti” pubblicitari, di assimilare la Rai alle televisioni commerciali, ma, così prospettata in modo semplicistico, si tratta di una idea semplicemente folle. Ha dichiarato Paxia (che per ora risulta prima ed unica firmataria): “pensiamo all’abolizione totale, definitiva, e per sostenere i mancati introiti abbiamo pensato ad una modifica dei limiti di affollamento pubblicitario, così come avviene già per la La7, per Mediaset e per le tv private”. Incredibile, ma vero. La proposta viene criticata da chi è dotato di (minimo) buon senso, ma, a distanza di dieci giorni, il testo resta totalmente ignoto. Sul sito web della Camera e del Senato, si legge infatti oggi “testo non ancora disponibile”, e ci risulta che, anche in ambienti “altolocati” del Movimento, il documento permane… misterioso. La proposta di cui Paxia è prima firmataria affianca la proposta di legge promossa dalla deputata Mirella Liuzzi per una riforma della “governance” Rai, che dovrebbe – udite! – togliere la politica da Viale Mazzini!

Ieri mattina alle 11, le agenzie stampa battono la notizia di un Vice Presidente del Consiglio che, conversando con i giornalisti all’ingresso del Ministero del Lavoro, ribadisce “vogliamo abolire il canone, individuando la soluzione migliore, per risparmiare 4 miliardi… tra pochi minuti, abbiamo una riunione”.

Abolizione del canone?! Di Maio: ieri riunione, ma oggi tutto rimandato a settembre

Un paio di ore dopo, Luigi Di Maio pubblica un post su Facebook, postando anche la foto del tavolo di lavoro in corso (sette i partecipanti, i parlamentari ed il consigliere giuridico Marco Bellezza): “al lavoro sulla Rai, insieme ai nostri Liuzzi, Paragone e Paxia. È il momento di aprire una grande riflessione sul servizio pubblico radiotelevisivo. Occorre iniziare a mettere mano a un’azienda che negli anni è stata usata solo come un poltronificio, sacrificando la qualità di moltissimi professionisti, mentre ancora oggi c’è chi si mette in tasca stipendi da milioni di euro… E le famiglie italiane che fanno? Pagano il canone? Così è ingiusto e bisogna rivedere le cose, partendo dal taglio degli sprechi. Dobbiamo iniziare a pensare a una Rai per il cittadino, non solo per il consumatore. Serve una Rai che racconti il Paese, che parli dei problemi delle persone. Serve garantire un vero servizio pubblico, maggiore trasparenza nel mercato pubblicitario, e l’attuale amministratore delegato Salini già sta facendo tanto”, conclude.

Come dire?! Tutto molto bello (e non possiamo non ri-citare il raffinato Rovazzi): tesi in parte condivisibili, ma il “come fare?” resta una domanda senza risposta.

Luigi Di Maio ne approfitta per affronta un altro tema delicato: “soprattutto, però, serve subito una legge sul conflitto di interessi, che il Pd ha promesso per 20 anni prendendo in giro tutti. Noi a Berlusconi non dobbiamo nulla, anzi. E vedrete come cambieremo le cose”. Suona quasi a mo’ di minaccia (chissà che paura, dalle parti di Cologno Monzese…).

Come dire?! Roboanti annunci, finanche rivoluzionari: “conflitto d’interessi” è in effetti un concetto-tabù, almeno negli ultimi decenni della scena politica italiana.

Le reazioni dell’opposizione sono prevedibili. Il senatore Pd Francesco Verducci, della Commissione Vigilanza Rai e Vice Presidente Commissione Cultura, commenta: “Di Maio continua a proclamare di voler abolire il canone Rai. Tutto torna. M5s vuole abolire il canone, sapendo perfettamente che questo significherebbe uccidere il servizio pubblico, e con esso quel che rimane di pluralismo, autonomia, innovazione ai tempi dell’occupazione senza quartiere di Salvini e Di Maio. In tutto il mondo il servizio pubblico vive di finanziamento pubblico. La proposta di Maio ‘uccide’ la Rai. È il viatico alla privatizzazione ed il miglior regalo a Mediaset e a tutti i grandi potentati economici che hanno i loro interessi nel campo dei media. Dove non è arrivato Berlusconi, oggi arrivano Di Maio e i grillini a distruggere il servizio pubblico per fare gli interessi dei privati”.

In effetti, la proposta del Vice Presidente Luigi Di Maio, sparata così, appare incomprensibile, bizzarra, surreale.

Con quale fantasiosa strumentazione alternativa prevede di compensare l’abolizione del canone?!

Anche il deputato del Partito Democratico e Segretario della Commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi, commenta criticamente l’annuncio della cancellazione del canone Rai: “Di Maio non è riuscito a far tagliare i mega stipendi dei conduttori Rai, e ora vuol farci credere di essere in grado di tagliare, anzi addirittura di eliminare il canone? Ma chi ci crede?”. Ed ironizza: “L’unico ad aver ridotto davvero il canone è stato Renzi”.

Franco Siddi, Presidente di Confindustria Radio Televisioni, da altro pulpito dichiara che “senza canone, anche la Rai dovrebbe finanziarsi con le risorse del mercato pubblicitario, oggi in qualche modo regolato e, per acquisirle, dovrebbe fare una politica commerciale e non di servizio pubblico, snaturandosi”. E rilancia “finanziare la concessionaria con il solo canone in misura adeguata, la sottrarrebbe invece a qualsiasi interesse privatistico”. A “niente canone”, Siddi contropropone “solo canone”.

Il Consigliere Rai Laganà chiede al consiglio di ricorrere contro l’“extragettito”

Nelle stesse ore, dal settimo piano di Viale Mazzini, si registra un’iniziativa che va in direzione opposta, promossa dal Consigliere eletto dai dipendenti, Riccardo Laganà: la normativa sul canone Rai, introdotta dal Governo Renzi nel 2015, che prevede l’utilizzo del cosiddetto “extragettito” per altre finalità, sarebbe “incoerente con il quadro istituzionale” e finanche “con la struttura e la funzione del servizio pubblico radiotelevisivo”. A sostenerlo lo studio degli avvocati Principato e Porraro, in un parere chiesto e illustrato oggi in Consiglio di Amministrazione da Laganà, che ha chiesto al Cda di agire con un ricorso contro la normativa. Nelle conclusioni del parere, si sottolinea infatti che tale quadro “impone all’intero Consiglio di Amministrazione della Rai spa e a ciascuno dei suoi componenti, nell’ambito delle proprie funzioni, di tenere una condotta atta a preservare gli interessi della società concessionaria, evitando che a essa possa essere recato pregiudizio in applicazione di una disciplina sospetta di incostituzionalità. In difetto, quello recato al patrimonio sociale dai componenti del Consiglio di Amministrazione, in ragione di proprie condotte attive od omissive, dovrebbe qualificarsi quale danno erariale, ferma restando la responsabilità verso la società”. Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, manifesta subito pieno sostegno a Laganà.

Questa mattina (venerdì 26) alle 10, le agenzie stampa battono una notizia veramente curiosa, quasi-quasi un… “suvvia ragazzi, era una battuta, abbiamo scherzato, se ne riparlerà!”: lo stesso Vice Presidente Luigi Di Maio dichiara a Sky Tg24 “ieri abbiamo avuto una riunione sul canone Rai, perché vogliamo costruire una proposta per eliminarlo o abbassarlo in misura considerevole. Una misura che presenteremo a settembre”. Pregasi notare che a “eliminarlo” si affianca quell’“o abbassarlo”. Le cose cambiano. Comunque, se ne riparla… a settembre?!

Ne consegue che: la proposta Paixa-Paragone probabilmente resterà misteriosa per settimane ancora, e non è dato sapere cosa riusciranno a tirar fuori dal cilindro magico.

In sintesi: perdurante confusione assoluta, ennesimi annunci strombazzati, assenza di una riflessione seria sulla strategia.

In conclusione: tristezza, grande tristezza, e certamente non soltanto per coloro che hanno votato Movimento 5 Stelle.

Sul servizio pubblico radiotelevisivo – sulla sua missione, sul suo funzionamento, sul suo finanziamento – emerge evidente un deficit totale di analisi strategica da parte del M5S.

Mentre si registra un discreto silenzio da parte della Lega Salvini, che pure ha rivendicato di essere stato antesignana dell’abolizione del canone: il Capogruppo in Vigilanza, Massimiliano Capitanio, sorride, apprezzando “l’allineamento del M5S alla battaglia storica della Lega”…

Gli ultimi colpi di coda dell’Agcom

Oggi è l’ultimo giorno del mandato settennale del Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazione, presieduta da Angelo Marcello Cardani, ma va registrata una curiosa “effervescenza” di attivismo nelle ultime settimane.

Mercoledì scorso 24 luglio, Agcom ha trasmesso al Governo indicazioni per una proposta di riforma su come il gioco d’azzardo possa essere pubblicizzato, toccando un’altra materia dolente. In effetti, sempre Luigi Di Maio, il 15 luglio di un anno fa, commentando la conversione in legge del “Decreto Dignità” (Decreto Legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2018 n. 96), dichiarava in modo netto ed inequivocabile, in relazione alla pubblicità del gioco d’azzardo: “Va eliminata, tutta, senza se e senza ma… Il divieto è assoluto”.

Cosa è accaduto nel mentre?! La legge ha previsto la cosiddetta “clausola di salvezza” (sic): “ai contratti di pubblicità in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del presente decreto resta applicabile, fino alla loro scadenza e comunque per non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la normativa vigente anteriormente alla medesima data di entrata in vigore”. In sostanza, fino al 15 luglio 2019, tutto è rimasto sostanzialmente come prima, nello stupore dei cittadini tutti, che hanno continuato ad essere bombardati di pubblicità (con gran godimento di tutti gli operatori del settore, e finanche della criminalità organizzata che muove una parte di questa insana economia).

Nel mentre, il 18 aprile, Agcom riteneva di emanare delle “Linee Guida” interpretative finalizzate ad assicurare la più efficace applicazione della norma, che però hanno paradossalmente reso incerta l’interpretazione di una legge… Un paradosso, ed un’altra dimostrazione di quanto “mare” ci sia, tra “il dire” ed “il fare”. Due giorni fa, Agcom si ri-sveglia, e propone al Governo di intervenire in modo organico, magari con una legge di riordino del settore dei giochi. E tutto continua come prima…

Una Agcom improvvisamente iperattiva e vigile, martedì 23 assume un’altra decisione: all’unanimità (“rara avis”…), decide di avviare un procedimento nei confronti della Rai, ravvisando possibili violazioni in relazione ai “canoni di equilibrio, pluralismo, completezza, obiettività, imparzialità, indipendenza e apertura alle diverse formazioni politiche e sociali”. Apprezzabile iniziativa, peccato che venga avviata a tre giorni dalla scadenza del mandato. Se non “incredibile”, l’aggettivo giusto è “surreale”.

E l’Agcom chiude a fine mandato l’istruttoria su Audiweb, la nuova rilevazione dell’audience online, segnalando che ci sono varie criticità ed aspetti non trasparenti, e chiedendo che il lavoro di raccolta ed elaborazione dei dati sia messo sotto controllo e sia replicabile da parte di un certificatore indipendente.

E sull’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni chiudiamo, con un’altra nota dolente: nel silenzio dei più, sembrerebbe che i Presidenti delle due Camere stiano per convocare la data per l’elezione dei componenti.

Sui quotidiani, nessuna traccia: soltanto “Italia Oggi”, in un trafiletto di un paio di giorni fa, sostiene che la data potrebbe essere il 31 luglio, secondo un ipotetico accordo che sarebbe stato assunto dalla conferenza dei Capigruppo il 23 luglio, ma parrebbe non sia ancora pervenuta la benedizione della Presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati e del Presidente della Camera Roberto Fico. Anche perché il rischio di apertura di crisi di governo è – questo sì –… all’ordine del giorno!

Nessuna evidenza pubblica. Nessun avviso. Nessuna “call”.

La decisione di non adottare la selezione per candidature come avvenuto in passato è peraltro in controtendenza rispetto alla recente nomina del Presidente Antitrust. E d’altronde, per il Garante Privacy, il cui mandato è scaduto il 19 giugno, sono pervenuti 350 curricula.

Insomma, una pratica peggiore, per l’Agcom, di quella messa in atto sette anni fa, allorquando almeno si ebbe la decenza di chiedere i curricula, anche se – alla fin fine – venne tutto deciso comunque nelle segrete stanze delle segreterie di partito.

Con buona pace – oggi come allora – della tanto invocata trasparenza, meritocrazia, e dei processi partecipati.

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