Come prevedibile, le pagine “spettacolo” di alcuni dei maggiori quotidiani sono oggi presi dalla effervescenza da “red carpet”, ieri con la proiezione del film di Andrea Segre sullo storico leader del Partito Comunista “Berlinguer – La grande ambizione” (produzione Vivo Film con Rai Cinema) con una serata affollata di “vips” anche politici, e con il neo Presidente della Fondazione Cinema per Roma Salvatore Nastasi (che è anche Presidente della Siae, ma evidentemente ha energie in quantità…) che annuncia che la Festa del Cinema deve divenire addirittura il luogo privilegiato della “produzione indipendente”. Quella stessa produzione indipendente che si lamenta delle conseguenze verosimili dei “tagli” alla spesa e della “rimodulazione” dell’intervento dello Stato, con regole più stringenti in relazione all’accesso a quello che è stato negli ultimi anni il principale strumento di sostegno, ovvero il “credito di imposta” per il settore cine-audiovisivo…
Ribadiamo quel che andiamo scrivendo da tempo: autocompiacimento a gogo, autoesaltazione senza fondamento.
Non esiste uno studio di valutazione di impatto della “Festa del Cinema” di Roma (ma non esiste – sia ben chiaro – nemmeno per la “Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica” di Venezia) ed entrambe accolgono a braccia aperte “il meglio” (soggettivamente intenso) del cinema ed ormai anche delle serie televisive planetarie, essendo ormai divenute vetrine promozionale dell’immaginario soprattutto straniero, piuttosto che luoghi e strumenti di promozione del “made in Italy” cine-audiovisivo. Assorbono decine e decine di milioni di euro di sovvenzioni pubbliche, senza che nessuno al Ministero della Cultura si sia preso la briga di analizzare le effettive ricadute sul mercato, e nelle dinamiche dell’offerta e della domanda. Che circolazione hanno nelle sale cinematografiche i film proposti e finanche premiati?! La quasi totalità nemmeno esce nei cinema italiani! I festival come Venezia e come Roma sono ormai strumenti prevalentemente al servizio delle multinazionali straniere, di pochi titoli “appealing”: questa è la vera (nuda) verità, che purtroppo (quasi) nessuno ha il coraggio di denunciare.
Sotto il vestito… niente. E la polvere cresce sotto il red carpet
Si dirà che a migliaia accorrono a vedere film o soprattutto “star”, in occasione di queste kermesse, ma tutti (o quasi) omettono di osservare che si tratta di un “target” (peraltro incredibilmente mai ben studiato in termini sociologici ovvero antropologici) di cinefili ed appassionati che rappresentano una piccolissima nicchia della popolazione: per la stragrande maggioranza degli italiani, il cinematografo è ormai una idea del passato, una pratica culturale (e un tempo si sarebbe detto del “tempo libero”) dimenticata…
E lo Stato resta a guardare.
Sostiene con pochi milioni di euro una campagna promozionale debole, rispetto alla quale non è mai stato reso noto chi sono gli autori, i creativi, i pianificatori: di “Cinema Revolution” non è nemmeno noto qual è il budget allocato esattamente dal Ministero. Se è vero che forse è riuscita a far crescere un po’ il consumo di cinema in sala nei mesi estivi, non ha certo riportato l’Italia del 2024 ai livelli di consumo pre-pandemia. Degli spettatori cinematografici del 2019, sono stati persi almeno 3 su 10, e già questo dato evidenzia il fallimento della tanto decantata campagna “promozionale”, rispetto alla quale i più seri professionisti della pubblicità manifestano acide critiche. Pannicelli caldi di fronte ad un malato in fin di vita.
Esiste una penosa realtà, dietro gli entusiasmi ostinati di chi ha governato la “politica culturale” nazionale, e purtroppo la “riforma” avviata dall’ex Ministro Gennaro Sangiuliano e dalla sua Sottosegretaria delegata Lucia Borgonzoni corre il rischio di rivelarsi come la classica montagna che ha partorito il topolino.
I “big player” del sistema continueranno indisturbati ad attingere alle casse dello Stato, e… che importa che la quasi totalità non sono imprese veramente italiane, e che, dall’altro canto, si corre il rischio di strangolare la gran parte delle piccole imprese e dei produttori indipendenti?!
Continua la desertificazione del tessuto cinematografico nazionale, nelle metropoli, in provincia, nei borghi
Continua la desertificazione del tessuto cinematografico nazionale, rispetto al quale le azioni messe in atto dallo Stato si sono rivelate fallimentari.
Esattamente come avvenuto con la droga del “Tax Credit”.
Eppure, nei festival come Venezia e Roma “le istituzioni” si presentano con i loro abiti migliori, si riempiono la bocca di stucchevole retorica (“siamo bravi”… “siamo grandi”…).
Si allestiscono feste a Cinecittà per celebrare il talento di un maestro come Francis Ford Coppola (che avrà pure “sangue” italiano nelle vene cerebrali, ma italiano non è… e deve essere il nostro Paese a cercare di salvarlo dal flop assoluto dell’ultima sua creatura, “Megalopolis”?), ignorando che la maggioranza dei creativi italiani patisce la fame…
Il 75 % dei giovani sceneggiatori italiani ha un reddito inferiore alla soglia di povertà (15.000 euro l’anno)
Non ne ha scritto (quasi) nessuno – ahinoi –, ma qualche settimana fa al “Cinema Farnese” di Roma si è tenuto un incontro che ha rilevato cosa si nasconde dietro una delle facciate del tanto “rutilante” mondo del cinema: solo il 25 % degli sceneggiatori italiani “under 35” guadagna un reddito che sia al di sopra della “soglia di povertà” di 15.000 euro all’anno.
Il dato è emerso da un sondaggio che hanno realizzato gli associati più giovani di Wgi e 100Autori (due delle tre maggiori associazioni di categoria; l’altra è la storica Anac), su un campione di 161 sceneggiatori e registi giovani. Chi è sceneggiatore ha un reddito medio annuo 12.229 euro, ma il 50 % di loro guadagna meno di 5mila euro l’anno. Chi è regista guadagna mediamente 13.947 euro e la metà di loro arriva a meno di 7mila euro l’anno. E spesso sono costretti finanche a lavorare gratuitamente o quasi, una disponibilità allo sfruttamento sembra essere considerato un requisito per dimostrare la propria passione e determinazione… Fonte: incontro del 24 settembre 2024, intitolato “Non chiamateci giovani”.
Questo riflettore pone l’attenzione su una delle tante miserie del settore, una delle tante veramente…
Eppure le due maggiori associazioni imprenditoriali (la cinematografica Anica presieduta da molto tempo da Francesco Rutelli e la televisiva Apa presieduta da Chiara Sbarigia, che è anche presidente della pubblica Cinecittà) per anni ed anni hanno brindato alla lungimiranza di Dario Franceschini, e soltanto quando l’ex Ministro Gennaro Sangiuliano ed il suo collega Giancarlo Giorgetti (Mef) hanno imposto uno “stop” alla macchina impazzita (drogata di Tax Credit indiscriminato) hanno sommessamente riconosciuto – anche loro, bontà loro – che “qualcosa” non andava…
E se ieri la stessa Sottosegretaria ha sostenuto al Mia (Mercato Internazionale Audiovisivo) che la “linea politica” del neo Ministro Alessandro Giuli è di “continuità” rispetto alla regia della Sottosegretaria, si ha ragione di ritenere che la volontà di Sangiuliano e Giorgetti di “razionalizzare” l’intervento dello Stato nel settore sia destinata a divenire sempre più inconsistente evanescenti… In verità, esiste un asse di assoluta continuità tra le politiche di Dario Franceschini e di Lucia Borgonzoni, anche se i due appartengono a schieramenti politici ben differenti.
Ieri l’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult ha pubblicato su queste colonne una tabella che dovrebbe stimolare una riflessione profonda – ed a trecentosessanta gradi – su come lo Stato sostiene il cinema e l’audiovisivo italiano: nell’anno 2023 dall’Italia 210 milioni di euro a 10 produzioni “made in Usa” (in verità, dei 10 titoli proposti, 3 risultano produzioni United Kingdom, ma si tratta di mera schermatura)…
Qual è la logica secondo la quale l’Italia deve sostenere queste opere?!
Forse perché “size does matter”?
Perché questi contributi stimolano la “piena occupazione” (durante il periodo delle riprese certamente, e poi… vedi supra)?
Perché altrimenti queste multinazionali dell’immaginario vanno a girare in Spagna?!
Nessuno ha il coraggio anzi la capacità di rispondere in modo serio a queste domande, ed altre simili.
Ed intanto, questa sera alla Festa del Cinema, nuovamente in scena l’allegra compagnia di giro, tra lustrini ad applausi…
A Roma, negli ultimi anni, hanno chiuso 101 cinematografi
E ben poca attenzione (nessun riflettore, nessun applauso dei media “mainstream”) rispetto alla denuncia emersa in un convegno tenutosi a Roma, proprio ieri, in coincidenza (provocatoria) con l’inaugurazione della Festa del Cinema: nella Capitale, ci sono ormai ben 101 sale cinematografiche chiuse!
Chiusi e lasciati abbandonati, demoliti, trasformati in altro.
A Roma, le sale cinematografiche, un tempo luogo di ritrovo che identificavano un quartiere, sono per lo più un ricordo del passato. Con buona pace del ruolo di “presidio culturale” che pure l’ex Ministro Sangiuliano ha più volte evocato (e con lui tutti i suoi predecessori: retorica!)
Nel corso degli anni, se ne sono perse per strada oltre 100, in tutti i quadranti della Capitale. L’Ordine degli Architetti ha dedicato il convegno a questo depauperamento storico e socio-culturale, per discuterne una possibile inversione di tendenza.
Nel 2021, la mappatura realizzata dall’associazione “Dire Fare Cambiare” fece emergere la chiusura di 101 sale, ma negli ultimi tre anni questo numero è da aggiornare.
Nel 2022, ha chiuso il multisala “King” di via Fogliano al Trieste-Salario, ma qualche mese prima a dicembre 2021 è finita anche la storia del “Roxy” ai Parioli. Secondo gli organizzatori del convegno, ovvero il consigliere dell’Ordine degli Architetti Lorenzo Busnengo ed il coordinatore scientifico Paolo Verdeschi “la situazione romana richiede un’attenzione particolare, che fin qui è mancata. Alcune strutture, per ragioni di mercato, sono state trasformate in multisala. Molte altre sono state sostituite da supermercati e sale bingo. Molte, invece, sono semplicemente abbandonate e nascoste dietro porte e finestre sbarrate”.
Esempi di sale trasformate in altro ce ne sono decine a Roma: sarebbero ben 60, secondo una recente mappatura realizzata dall’architetta Allegra Girolami.
L’“Archimede” ai Parioli è diventato un hotel… il “Luxor” a Primavalle un supermercato… stesso destino per il “Clodio” a Prati… il “Rialto” di via IV Novembre è diventato un negozio di souvenir… l’“Academy Hall” di via Stamira in zona piazza Bologna ora è una sala bingo… come anche l’“Astor” all’Aurelio…
E che dire dell’“Ausonia” a via Padova, che è diventata una sinagoga?! Con buona pace, in questo caso – emblematico e sintomatico –, di quel “sovranismo culturale” talvolta invocato (retoricamente) dalla destra…
Siamo sicuri che nessuno parlerà queste vere (nude) verità alla Festa del Cinema o al Mercato Internazionale Audiovisivo.
Ostriche e champagne, lustrini e “applausi applausi applausi” (cit. Salmo, “Novanta minuti”).
Siamo veramente “nel Paese delle mezze verità” (cit. Fabri Fibra e Baby Gang e Emma, “In Italia 2024”).
Alla prossima puntata…
[ Note: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale”. ]
(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale).