Il Governo norvegese ha deciso di investire più di 2 miliardi di euro in un progetto decennale per la cattura di diossido di carbonio, più comunemente conosciuto come CO2, attraverso l’impiego di avanzate tecnologie CCS (carbon-capture-storage), che oltre a raccogliere emissioni nocive provvederanno anche a farle scomparire.
Secondo quanto pattuito con l’Associazione europea di libero scambio Efta (European free trade association), proprio lo scorso fine settimana, Oslo metterà l’80% della somma (il costo finale dei lavori è stimato oggi sui 2,5 miliardi di euro).
A caccia di CO2
Grazie alle soluzioni CCS più innovative sarà possibile catturare emissioni di CO2, trasformarle in stato liquido, trasportale così facilmente e rapidamente verso la costa, dove poi saranno immagazzinate in fondo al mare.
A quest’ultima parte del progetto provvederà la Northern Lights, capofila del progetto, a cui partecipano in joint venture anche Equinor, Shell e Total.
Ogni giorno sono rilasciate in atmosfera oltre 100 milioni di tonnellate di COS, secondo quanto emerso da uno studio dell’anno scorso pubblicato su Nature Climate Change.
Le tecnologie CCS possono darci una grande mano e si stima possano contribuire per il 33% alla riduzione delle emissioni di CO2 richiesta per il 2050. Ma per fare questo da molte parti è sempre stata avanzata l’ipotesi dello stoccaggio in fondo al mare.
I rischi dello stoccaggio marino
Secondo uno studio internazionale, a cui ha partecipato anche l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs), il rischio però che qualcosa vada storto c’è ed è significativo.
Il progetto di ricerca Eco2 (“Sub-seabed CO2 Storage: Impact on Marine Ecosystems”), finanziato dalla comunità europea e coordinato da Geomar Centro Helmholtz per la ricerca oceanica di Kiel, si è proposto proprio di valutare tali rischi.
Da un sito di stoccaggio posto in fondo al mare o l’Oceano ci possono essere delle perdite nel tempo, più o meno grandi e continue. Questo non è un pericolo, è quasi una certezza, avvertono gli studiosi.
Il problema è valutare l’impatto che questo potrebbe avere sugli ecosistemi marini e i suoi abitanti (animali e vegetali), già messi a dura prova da cambiamenti climatici e surriscaldamento globale.
Negli ultimi anni i nostri mari hanno assorbito circa il 26% della CO2 emessa, con due conseguenze: da una parte un temporaneo rallentamento dell’effetto serra, dall’altro una forte acidificazione dell’acqua, con un impatto negativo drammatico sulla biodiversità e sull’intera catena alimentare.