Ieri pomeriggio, si è tenuto presso la sede romana (francescana) della Lega Salvini, in via delle Botteghe Oscure (di fronte al cosiddetto “Bottegone” già sede del Partito Comunista Italiano, ed ora dell’Associazione Bancaria Italia), un incontro seminariale promosso dalla Lega, ed in particolare dal deputato Gianni Sammarco, Responsabile del Dipartimento Cinema e Teatro del partito per il Lazio.
È il secondo di una serie di incontri che si caratterizzano come occasioni di dibattiti aperti e plurali, molto dialettici (il precedente si era tenuto il 10 marzo). Purtroppo l’evento non è stato videoregistrato, perché, se lo fosse stato, avrebbe determinato uno stimolo significativo per l’intera comunità professionale. In effetti, da anni non si registra un’occasione di confronto aperto sulle criticità del sistema culturale nazionale, e nemmeno il Covid è stata l’occasione per una riflessione a trecentosessanta gradi sui problemi e le potenzialità di un settore strategico per il Paese (in termini civili, sociali e finanche economici).
Con il coordinamento del senatore Francesco Maria Giro (già Sottosegretario alla Cultura con Sandro Bondi e Giancarlo Galan Ministri, tra il 2008 ed il 2011), di Antonio Ferraro (componente della Commissione Esperti della Direzione Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura) e dell’avvocato Michele Lo Foco (uno dei migliori esperti di diritto dei media in Italia, già membro del Consiglio Superiore del Cinema e dell’Audiovisivo, massimo organo consultivo del Ministero della Cultura), hanno partecipato al dibattito esponenti del sistema culturale italiano come Massimo Romeo Piparo (drammaturgo e Direttore Artistico dello storico Teatro Sistina di Roma), Jacopo Capanna (distributore e produttore cinematografico, esponente di spicco dell’Anica), Francesco Ranieri Martinotti (autore e produttore, nonché presidente dell’associazione degli autori cinematografici Anac), Francesco Carducci (amministratore delegato della società che ha curato la rigenerazione dell’Auditorium della Conciliazione)…
È stato molto interessante ascoltare una ventina di esponenti del sistema culturale italiano, con molta (prevalente) attenzione dedicata al cinema ed all’audiovisivo, ma con interventi focalizzati sulle problematiche del sistema teatrale, musicale, della lirica…
Francesco Giro (Lega): “vogliamo aprire le porte della Lega al sistema culturale”
Come ha rimarcato il senatore Francesco Giro, la Lega vuole aprire di più le proprie porte agli esponenti del sistema culturale, in un dibattito plurale e scevro da pregiudizi ideologici: elemento-chiave del pomeriggio è l’esigenza di un riequilibrio nel rapporto tra “pubblico” e “privato” nei vari segmenti del sistema. Prevale infatti un ruolo della mano pubblica che si caratterizza per poca trasparenza (e, secondo molti, poca efficienza ed efficacia) ed un ruolo dell’imprenditoria privata che non viene apprezzato nella sua dimensione di stimolatore dell’estensione dello spettro espressivo (anzi, talvolta il “fare impresa” nel settore culturale viene percepito quasi come iniziativa eterodossa).
Si prevedeva un intervento del Sottosegretario all’Economia Claudio Durigon ed un passaggio rituale di saluto da parte di Matteo Salvini: ci ha colpito invece il tempo (quasi due ore) e soprattutto l’attenzione che il Segretario della Lega ha dedicato all’incontro, con un ascolto sensibile, ponendo molte domande agli operatori…
Va dato atto a Matteo Salvini di essere un segretario di partito che ha mostrato sensibilità rispetto ad una materia storicamente trascurata (fatta salva qualche eccezione) dai suoi colleghi “segretari di partito” (soprattutto del centro-destra): abbiamo maturato l’impressione che abbia voluto approfittare di una sorta di “corso accelerato” (peraltro oggettivamente utile), per accrescere il proprio know how personale (e quindi politico) su queste materie (che sono peraltro veramente complesse). Non resta che augurarsi che la metabolizzazione nel leader produca risultati concreti nelle politiche culturali della Lega, nel suo status attuale di partito di lotta e di governo.
L’avvocato Michele Lo Foco: “siamo di fronte ad un cinema di Stato”
L’avvocato Michele Lo Foco ha preso spunto dai risultati di un sondaggio condotto nell’economia dell’ultima “valutazione di impatto” (relativa all’anno 2019) della legge Cinema e Audiovisivo, secondo la quale il 79 % dei produttori italiani ha candidamente dichiarato che, senza il sostegno statale, non avrebbe prodotto i film che hanno poi realizzato: “non siamo quindi di fronte ad un cinema di Stato?” (con tutto quel che ne consegue, anche in termini di allineamento ideologico, se non addirittura censura…), si è domandato retoricamente. Ha poi lamentato quanto larghe siano divenute le maglie per la definizione di “produttore indipendente”, al punto tale che, in Italia, lo sono tutti, anche imprese che magari lavorano per il 90 % del proprio fatturato per Rai piuttosto che Mediaset…
Antonio Ferraro ha segnalato l’assurdità del “click day”, ovvero la procedura della Direzione Cinema e Audiovisivo del Mic (diretta da Nicola Borrelli), con la quale i produttori possono accedere al “tax credit”: non viene effettuata alcuna valutazione delle progettualità, ma si tratta di una sorta di “diritto” automatico. Piccolo dettaglio: chi prima arriva, meglio alloggia (o, come si dice a Roma, “chi arriva, si veste”), con la logica malata dei cosiddetti “bandi a sportello”. In occasione dell’ultima sessione, i fondi sono esauriti in un lampo, lasciando a bocca asciutta la gran parte dei postulanti (addirittura il 90 per cento, secondo alcune stime). Non esiste di fatto poi un plafond significativo, per cui un manipolo di poche imprese (tecnologicamente attrezzate anche per inviare le istanze tempestivamente) finisce per fare man bassa delle risorse pubbliche…
Massimo Romeo Piparo: il teatro privato viene trascurato, a tutto vantaggio del teatro pubblico
Massimo Romeo Piparo (titolare di un teatro che vive per il 93 % con ricavi dal mercato e solo il 7 % da sovvenzioni pubbliche, promotore dell’Associazione Teatri Italiani Privati – Atip) ha denunciato come il “teatro privato” venga trattato con snobismo dal Principe di turno (ovvero dal titolare “pro tempore” del Ministero della Cultura), a tutto vantaggio del teatro pubblico (nazionale, regionale, locale), con sperequazioni che non hanno alcuna giustificazione logica (o ideologica, fatta salva l’eventuale bassa considerazione dell’imprenditore privato che opera nel settore culturale: vedi supra)… In alcuni casi, si assiste veramente a dinamiche di vero e proprio “dumping”, come nel caso della Fondazione Musica per Roma, che ha fatto dell’Auditorium una sorta di attrattore monopolista per il mercato della musica a Roma.
Andrette Lo Conte, giovane esponente della Cna Cinema e Audiovisivo del Lazio (a livello nazionale Cna Cinema e Audiovisivo è presieduta da Gianluca Curti), ha raccontato, quasi sfogandosi, la propria frustrazione nel cercare di operare come produttrice indipendente, in un mercato (ed un sistema burocratico ministeriale) dominato da pochi “big player”. Tesi sostanzialmente simili sono state manifestate dal produttore Galliano Juso.
Lino Damiani (attore, autore, produttore) ha proposto una delle letture meno critiche, ricordando come vada dato atto a Dario Franceschini di aver molto allargato i “cordoni della borsa”: il fondo “cinema e audiovisivo”, definito per legge a 400 milioni di euro l’anno, nel corso del 2020 è senza dubbio stato elevato a 680 milioni di euro; considerando l’intervento di Rai Cinema ed i fondi regionali, si arriva ad 1 miliardo di euro. Il “tax credit” conta per 215 milioni a favore della fiction, e soltanto 85 milioni per il cinema. Il budget di Rai Fiction è nell’ordine di 250 milioni di euro…
Il problema, ormai, non sono le risorse pubbliche (tante), ma come vengono spese, a chi vanno, e che effetti positivi (o meno) determinano nell’economia complessiva del sistema culturale italiano. Ascoltando i partecipanti al seminario, anche il tanto decantato “tax credit” sarebbe uno strumento affetto da patologie multiple…
Marina Giovannini (membro delle Commissione Esperti del Mic, come Ferraro) ha lamentato l’overstress cui sono costretti i componenti delle commissioni, che peraltro incredibilmente non sono pagati, a fronte di un lavoro che è culturalmente (e politicamente) delicatissimo… E si è dichiarata amareggiata dal dover studiare istanze presentate che sono “italiane” soltanto sulla carta.
Francesco Ranieri Martinotti (Anac): dobbiamo riguardare al modello francese, tradito dalla legge Franceschini
Francesco Ranieri Martinotti ha ricordato come la “legge Franceschini” sia stata snaturata rispetto alla gestazione originaria: doveva divenire una sorta di emulazione del modello francese, ma due elementi fondanti sono stati traditi. Non è stato creato un “Centro Nazionale per la Cinematografia e l’Audiovisivo”, ente a base democratica indipendente dal Governo, e non è stato definito un rapporto paritario tra “aiuti automatici” ed “aiuti selettivi”. Per cui si è addivenuti ad un sistema vischioso, che ha finito per riprodurre parte delle storture del precedente assetto. Usando una efficace metafora, Martinotti ha sostenuto come una legge che avrebbe dovuto aiutare “l’erbivoro” – inteso come il cinema – ha finito per aiutare “il carnivoro” – ovvero la televisione, vanificando parte significativa della riforma (anche perché il carnivoro finisce per “cannibalizzare” l’erbivoro).
Interessanti anche gli interventi di Rosario Gallo (che ha accusato Salvo Nastasi, già Direttore dello Spettacolo dal Vivo, ed attualmente Segretario Generale del Mic, di aver ucciso parte del teatro italiano, con il famoso “algoritmo” dei suoi decreti del 2014), di Enrico Stinchelli (regista, conduttore radiofonico, Direttore del Teatro Verdi di Pisa) che si è soffermato sui problemi della lirica in Italia, di Filippo Ascione (aiuto-regista ed amico di Federico Fellini) che ha denunciato lo strapotere delle nuove “major” multimediali e degli “over-the-top”… Stinchelli in particolare ha criticato l’iniziativa “ItsArt”, che ha ritenuto foriera del rischio di una vera morte della lirica, che o è “live” oppure non è lirica. E proprio ieri il Ministro Dario Franceschini ha confermato che la piattaforma cosiddetta “la Netflix (o la Disney) italiana della cultura” partirà lunedì prossimo 31 maggio…
Tutti concordi nell’esigenza di limitare lo strapotere degli over-the-top e delle novelle major multimediali
Molti degli intervenienti hanno infatti denunciato lo strapotere degli “over-the-top”, ovvero la necessità di imporre delle regole, al di là del non meno importante problema della sostanziale evasione fiscale che caratterizza questi operatori, da Amazon a Netflix. Tematica sulla quale si è mostrato sensibile Salvini, che ha anche criticato che parte delle sovvenzioni pubbliche italiane (nel settore del cinema, della fiction, della musica pop-rock) vadano a beneficio di società che sono formalmente nazionali, ma il cui capitale di maggioranza è controllato da società estere (inglesi, francesi, tedesche, americane, cinesi…).
Chi redige queste noterelle è intervenuto forte della propria esperienza di ricercatore mediologico e studioso di politiche culturali ed economie mediali da oltre trent’anni, denunciando una volta ancora come tutto “il sistema” (e parafrasare ancora una volta l’ex magistrato Luca Palamara non è del tutto errato) si caratterizzi per una grande opacità, per cui gli stessi operatori hanno difficoltà a comprendere la vera verità dell’intervento dello Stato nel sistema culturale.
No trasparenza, no (vere) valutazioni di impatto: tutta l’economia del sistema è opaca, quindi…
Non c’è sufficiente trasparenza, non ci sono autentiche valutazioni di impatto.
Ne consegue che nessuno dispone di una fotografia accurata, di una radiografia autentica del sistema culturale italiano, nelle sue politiche culturali e nelle sue economie mediali: e quindi anche il Principe di turno (se non ha una vocazione rivoluzionaria…) finisce per ri-produrre l’esistente, in funzione del potere delle lobby di turno (nello specifico del cinema e dell’audiovisivo, di Anica e di Apa).
Anche i 300 milioni di euro a favore di una ancora misteriosa prospettiva di rilancio di Cinecittà confermano un governo nasometrico delle politiche culturali (vedi, in argomento, “Key4biz” del 26 aprile 2021, “Recovery Plan, i 300 milioni per il rilancio di Cinecittà Luce a pieno titolo nel Pnrr”). Salvini ha concordato: potevano essere 30 o 100 o 300 o 1.000, tanto sono stati quantificati senza nessuna logica di mercato e strategia di lungo periodo (il “piano industriale” – che pure viene richiamato da alcuni – permane “top secret”!).
Matteo Salvini si è anche domandato perché l’anti-trust ovvero l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non sia intervenuta, a fronte della denuncia – da parte di molti dei presenti – dell’esistenza di veri e propri “trust”, nell’esercizio cinematografico, nella produzione cinematografica e televisiva, nell’offerta di concerti di musica pop-rock… Nessuno è stato in grado di rispondere alla naturale domanda del Segretario della Lega.
Convitato di pietra della stimolante iniziativa della Lega, la Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni, che pure può vantare una delega per cinema e audiovisivo da parte del Ministro Dario Franceschini. È stata citata “en passant”, e, quando Salvini ha domandato se i rappresentati delle categorie erano stati ascoltati dalla Sottosegretaria, la risposta è stata per lo più positiva, ma lamentandosi l’assenza di risultati minimamente concreti rispetto alle istanze manifestate.
Non sappiamo se questa iniziativa avrà un seguito concreto: il senatore Francesco Maria Giro ed il deputato Gianni Sammarco hanno annunciato che ci sarà una serie di nuovi incontri “di ascolto” (ci si augura che vengano pubblicizzati meglio), e, nelle more, l’elaborazione di una sorta di “documento programmatico” della Lega Salvini.
Sarà curioso, se questo documento si concretizzerà, osservare le reazioni del Partito Democratico (che ha finora considerato la cultura materia soprattutto “sua”), rispetto a questa ardita intrapresa leghista.
E sarà interessante verificare se sarà proprio la Lega a fungere da pungolo per un ragionamento finalmente serio sull’esigenza di riformare dalle fondamenta (a partire dal Fus – Fondo Unico dello Spettacolo) l’intervento dello Stato nel sistema culturale.
In nome di trasparenza, efficienza, efficacia, e, in fondo, di democrazia culturale.