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La guerra dei chip. L’UE non potrà essere autosufficiente, ma neanche la Cina

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Il mercato globale dei chip sempre più in subbuglio, ma il confronto tra Cina, USA e Unione europea non si risolverà con un solo vincitore. Chris Miller: “Le supply chain ormai sono troppo estese, globali e interconnesse tra loro”. Bruxelles si concentri sui suoi punti di forza, come le industrie manifatturiere ad alta intensità di ricerca, innovazione e sviluppo.

Il mercato mondiale dei chip in costante fermento

Oggi a Wall Street tutti si attendono la più grande offerta pubblica iniziale (IPO) del 2023. Si tratta di Arm, il gigante britannico dei chip, che potrebbe debuttare in borsa con un prezzo di 51 dollari per azione.

In questo modo, Arm potrebbe raggiungere una capitalizzazione di quasi 55 miliardi di dollari, meno dei 64 miliardi di dollari stimati in precedenza da SoftBank. Arm ha registrato un fatturato di 2,68 miliardi di dollari nell’ultimo anno fiscale, terminato a marzo, e un utile di 524 milioni di dollari.

Nonostante la lunga fase difficile del mercato mondiale di queste componenti chiave di diversi settori industriali strategici per le economie più avanzate, le prime dieci aziende produttrici di chip al mondo hanno raggiunto una capitalizzazione che sfiora i 2 trilioni di dollari.

Secondo stime diffuse da Fortune Business Insight, il mercato globale dei semiconduttori ha toccato i 575 miliardi di dollari a fine 2021, ma con un tasso medio di crescita annuo del +12% è atteso sfiorare 1,4 trilioni di dollari entro il 2029.

Le industrie più forti affamate di chip

Il motivo di questa crescita continua sta nell’ampia gamma di prodotti dell’elettronica di consumo e dell’automotive in cui i semiconduttori sono impiegati: dagli smartphone ai pc/Mac, dalle automobili ai data center, fino alle smart tv e agli elettrodomestici come lavatrici, frigoriferi e aspirapolvere di nuova generazione tipici delle smart home.

Un materiale semiconduttore è il silicio, che è tra i più utilizzati per creare tutte le componenti elettroniche come diodi o transistor, che servono per realizzare i circuiti integrati, cioè chip e microchip.

Ovviamente i semiconduttori hanno un ruolo centrale anche nel settore della Difesa e nell’industria militare, come i satelliti, i lanciarazzi, i droni, i mezzi a guida autonoma, l’artiglieria pesante, l’aeronautica e i mezzi della Marina.

Nella guerra Russo-Ucraina, i semiconduttori abilitano i lanciarazzi HIMARS, i missili anticarro Javelin e i satelliti per comunicazioni Starlink.

Last but not least, l’ascesa irrefrenabile dell’intelligenza artificiale ha creato una consistente carenza di approvvigionamenti per tutti gli altri settori.

L’UE vuole l’autosufficienza, ma è un obiettivo reale?

Fatto questo che ha spinto l’Unione europea (Ue) ha introdurre il Chips Act, una misura da 43 miliardi di euro, che mira a moltiplicare gli investimenti nell’industria dei semiconduttori per potenziare e sostenere la produzione locale, nella speranza di aumentare il livello di autosufficienza e quindi ridurre la dipendenza dall’estero.

La domanda è: possiamo noi europei raggiungere la piena autonomia industriale in termini di produzione e disponibilità di semiconduttori? Secondo Chris Miller, l’autore di Chip War, assolutamente no, ma neanche per gli altri sarà possibile.

Le supply chain ormai sono troppo estese, globali e interconnesse tra loro”, ha spiegato su thenextweb.com.

Cina vs USA

Anche la Cina e gli Stati Uniti devono affrontare questa realtà. Entrambe queste potenze hanno annunciato che faranno di tutto per divenire leader di questo settore chiave, ma il risultato non è scontato.

Pechino sta investendo più risorse finanziarie in chip che nel petrolio, nel tentativo di potenziare l’ecosistema industriale interno dei semiconduttori. Washington sta tentando la stessa strada, imponendo controlli più rigorosi nell’import/export di questi prodotti e componenti.

Una mossa che ha determinato un peggioramento dei rapporti commerciali tra la Cina e Taiwan (che produce il 60% circa dei semiconduttori a livello mondiale e il 90% di quelli di ultima generazione) e che ha favorito un peggioramento dei rapporti anche con l’UE.

In Europa c’è il gigante olandese ASML e senza le sue forniture le aziende cinesi potrebbero entrare in crisi nella produzione di chip avanzati.

Una guerra mondiale di chip inevitabile? Miller abbassa i toni e fa ragionare: “esistono forti attriti tra Cina, USA e UE in termini di catene di approvvigionamento di chip, ma nessuno ha davvero l’intenzione di rompere i rapporti con l’altro. Come detto, il livello di interconnessione ed interdipendenza è alto”.

Il punto di forza dell’Europa sono le industrie manifatturiere ad alta intensità di ricerca, innovazione e sviluppo

Bruxelles vuole arrivare ad una quota di produzione dei semiconduttori a livello mondiale non inferiore al 20% (il doppio di quella attuale) entro il 2030.

Un obiettivo possibile, secondo l’esperto, ma raggiungibile solo se ci sarà il pieno sostegno delle aziende leader, delle istituzioni europee e delle principali economie dell’Unione.

Un primo esempio che potrebbe aprire la strada a questo percorso di ritorno al made in EU è l’annuncio di Intel e della taiwanese TSMC di aprire siti produttivi direttamente in Germania.

Se l’Ue vuole conquistarsi un posto di rilievo in questo settore non deve puntare alla piena sovranità tecnologica e produttiva, ma concentrarsi sulla qualità dei progetti e sulle industrie manifatturiere ad alta intensità di ricerca, innovazione e sviluppo, il suo vero punto di forza storico su scala mondiale.

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