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La Giornata Parlamentare. Vertice della Comunità politica europea, Giorgetti è ottimista sul Pil, taglio al canone Rai 

L’elezione di Trump tiene banco al vertice della Comunità politica europea

Donald Trump è stato eletto dagli americani e difende gli intessi degli americani e degli Stati Uniti, com’è giusto che sia; l’Ue è in grado di svegliarsi e difendere i propri? Può garantire da sola la propria sicurezza e proteggere il proprio mercato? Oppure deve delegare la sicurezza ad altri ed essere un perenne cliente? Sono le domande che il presidente francese Emmanuel Macron ha posto durante il suo intervento al vertice della Comunità politica europea che ha riunito 42 leader europei (di cui 25 Ue, assenti Olaf Scholz e Pedro Sanchez) a Budapest, ospiti dal premier ungherese Viktor Orban. Ha detto ciò che pensavano in tanti, se non tutti, e li ha esortati a rispondere a questa ennesima chiamata e scrivere la storia invece di leggere quella scritta dagli altri. Già al loro arrivo i vari capi di Stato o di Governo hanno cercato di dettare la linea: con Trump abbiamo già lavorato, lo conosciamo, e possiamo tornare a lavorarci ancora. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen interrogata sui dazi ha insistito: “Abbiamo interessi comuni e lavoreremo su quello”. Il presidente del Consiglio Charles Michel ha cercato di agire sull’ego del tycoon: “Cosa penserà la Cina degli Stati Uniti se si mostrano deboli con la Russia?”. 

Sono due le preoccupazioni: il commercio e la guerra. Su entrambi i fronti gli annunci elettorali di Trump sono dirompenti. “Non illudiamoci, il dossier sul commercio verrà fuori e non sarà facile. Non solo perché’ l’ha detto in campagna elettorale ma perché l’ha già fatto nel primo mandato. Lui è un abile negoziatore e noi dobbiamo essere pronti per trovare un compromesso”, ha avvertito Viktor Orban che in sala viene visto come il vincitore. L’altro dossier è quello dell’Ucraina; anche qui i leader europei cercano di trasmettere il messaggio al presidente eletto americano su quale sia il suo interesse: “Se la Russia vince, alleata con Corea del Nord e Iran, sarà un problema anche per la sicurezza americana”, ha sottolineato il segretario generale della Nato Mark Rutte che ha riconosciuto a Trump il merito di aver costretto gli europei ad aumentare la spesa per la difesa al 2% e ha assicurato che verrà fatto di più. In serata Rutte, Michel e von der Leyen hanno telefonato a Trump, rinnovando le congratulazioni e auspicando di lavorare insieme quanto prima per tutelare gli interessi reciproci e la stabilità globale. 

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva già avuto uno scambio con Trump in cui avevano espresso la volontà di lavorare in stretto coordinamento su tutti i principali dossier internazionali, a partire dalla guerra in Ucraina e dalla crisi in Medio Oriente, con l’obiettivo comune di promuovere stabilità e sicurezza, anche nel quadro dei rapporti con l’Unione europea. “Dopo le elezioni cresce il numero di Paesi europei a favore della pace e domani saranno ancora di più. Quello che chiedo è un cessate il fuoco per poter tornare a parlare e quindi arrivare alla pace”, ha detto Orban al termine del summit. Pochi minuti dopo a smentirlo è stato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, presente anche lui al vertice: “Non è vero che crescono quei Paesi” e “un cessate il fuoco sarebbe pericolosissimo perché l’abbiamo già fatto nel 2014 e abbiamo visto com’è finita, perdendo la Crimea e con l’invasione a larga scala del 2022”. Per Zelensky ogni concessione a Putin è “inaccettabile”. 

Dopo Trump Meloni sente anche Musk

Poche ore dopo aver espresso le sue congratulazioni a Donald TrumpGiorgia Meloni ha sentito al telefono Elon Musk: è il doppio asse su cui la premier potrà contare nei rapporti con Casa Bianca, convinta che se ha lavorato “bene” con l’amministrazione Biden, potrà farlo “benissimo” con quella repubblicana. Da una parte si confronterà a livello istituzionale con un presidente conservatore, dall’altra avrà in Musk un tramite politico parallelo all’establishment di Washington e alle diplomazie. Non è un caso che la premier abbia voluto costruire un solido rapporto con Musk, tra il primo faccia a faccia a Palazzo Chigi il 15 giugno 2023, l’invito ad Atreju, e l’ultimo incontro a fine novembre a New York, dove è stato il magnate a consegnarle il “Global Citizen Award 2024” dell’Atlantic Council. La premier scrive in un tweet “sono convinta che il suo impegno e la sua visione potranno rappresentare un’importante risorsa per gli Stati Uniti e per l’Italia, in uno spirito di collaborazione volto ad affrontare le sfide future”, con potenziali risvolti non solo sul dossier dell’IA ma anche industriali. Negli ultimi mesi ci sono state trattative fra il governo e Tesla per la produzione in Italia di camion e furgoni elettrici. 

L’esecutivo spera vada in porto l’accordo con Starlink, la costellazione di satelliti di SpaceX per fornire servizi internet a banda larga nelle aree scarsamente servite da altre reti, un appalto finito al centro di un’inchiesta per corruzione in cui è indagato anche il braccio destro di Musk in Italia Andrea Stroppa; questi ha rilanciato il tweet di Meloni affermando che “l’Italia può e deve ritagliarsi un ruolo da protagonista nei settori del futuro. Diventare il partner europeo privilegiato deve essere l’obiettivo”. Nella telefonata con Trump, che sarebbe stata fra le prime con i leader di altri Paesi, dopo quelli di India, Cina, Arabia Saudita, Francia e Israele, Meloni ha invece concordato “sull’opportunità di mantenersi in stretto contatto”, non solo sulle crisi internazionali. Fra i primi capitoli da affrontare per Roma c’è quello dei dazi commerciali. 

In quest’ottica il ministro degli Esteri Antonio Tajani conta di recarsi appena possibile a Washington per sminare a inizio anno con la nuova amministrazione quello che è considerato un serio pericolo per l’export italiano. Anche Matteo Salvini, il leader di centrodestra che più ha esultato per il successo di Trump, ha in preparazione un viaggio oltreoceano e non è escluso possa farlo anche prima del giuramento del nuovo presidente. Difficile ancora prevedere in quale periodo del 2025 cadrà la visita di Meloni alla Casa Bianca. Intanto la premier, con una breve missione a Baku mercoledì prossimo, avrebbe deciso di partecipare alla Cop29, sul cui esito aleggia l’elezione di Trump. Le opposizioni le chiedono se intende seguire il successore di Biden sulla linea dell’uscita dall’Accordo di Parigi. Si profila invece un allineamento sul nucleare

Giorgetti è ottimista sul Pil e apre a modifiche sulla manovra

L’incertezza che domina l’economia internazionale richiede all’Italia scelte di bilancio prudenti ma non fiacca l’ottimismo sul Pil. Per il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti c’è ancora spazio per crescere più di quello che vedono previsori come Bankitalia o Upb, perché nell’ultima parte dell’anno il Pil dovrebbe tornare in espansione, dopo lo stallo del terzo trimestre. Bisogna comunque mantenersi cauti, perché i vincoli europei non lasciano troppi margini, però la manovra non è immutabile e il Ministro apre a modifiche, seppur limitate, che comunque non soddisfano le opposizioni. “Non sarei stupito da una revisione al rialzo delle stime preliminari del Pil 2024”, ha detto Giorgetti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, chiudendo il ciclo di audizioni sulla legge di bilancio 2025. “L’Italia è forte”, ha ribadito anche la premier Giorgia Meloni parlando agli industriali di Brescia e Bergamo e invitandoli a “fare squadra”. Per il Ministro dell’Economia le prospettive di crescita a breve termine sono dunque “ancora incoraggianti” e i modelli che utilizza il Tesoro per fare le previsioni vedono un Pil in espansione nel trimestre finale dell’anno, grazie al recupero della domanda estera e alla ripresa dei consumi che prosegue. 

Del resto negli ultimi anni “il sistema economico italiano ha mostrato una tenuta superiore alle previsioni di molti”, e “le stime iniziali di crescita del Pil dell’Istat sono state successivamente riviste al rialzo in misura inedita”; la speranza è che accada ancora. Certo, non c’è spazio per ampliare la manovra, tanto che risulta “ambizioso” anche il target del 2% di spesa richiesto dalla Nato, che sarà mancato per i prossimi tre anni: nel 2025 si fermerà all’1,57%, nel 2026 all’1,58% e nel 2027 all’1,61%. La spesa va tenuta sotto controllo perché, spiega Giorgetti, è l’unico modo per affrontare il “fardello del debito” che con i suoi interessi ogni anno toglie 45 miliardi a scuola, pensionati, sanità. Dati gli spazi ridotti che richiedono prudenza, il Ministro difende le scelte del Governo. Ricorda che la priorità è stata data alle famiglie di reddito medio basso e ai lavoratori dipendenti, e quindi “sorprende” che le critiche “vengano proprio dai sindacati”. Sulla sanità ribadisce che la spesa sale più del limite fissato nel Psb, e per gli Enti locali non ci sono tagli ma solo accantonamenti che restano nella loro disponibilità. Anche i tagli del fondo automotive non toccano “le imprese che vogliono riconvertire”, ma rottamazioni e incentivi all’acquisto di auto elettriche. 

Con la fine delle audizioni sulla manovra si passa alla fase delle modifiche al testo. I partiti dovranno presentare i propri emendamenti entro lunedì prossimo ed entro il 18 novembre i gruppi dovranno indicare le proposte di modifiche da segnalare. Giorgetti indica già le strade percorribili e si dice “apertissimo”, ad esempio, a modifiche sui revisori del Mef nelle società che prendono contributi pubblici, purché si mantenga il principio che “chi riceve il contributo dello Stato deve avere un comportamento parsimonioso”. Modifiche possibili anche sulla tassa per le crypto che dal 26% passa al 42%, contestata proprio dalla Lega: per Giorgetti si può pensare a forme di tassazione diverse rispetto alla permanenza in portafoglio degli investimenti. Sul blocco del turnover il Ministro invece chiede al Parlamento di indicare i settori per i quali non è giustificato, come la sicurezza. Non chiude la porta nemmeno sui tagli alla metro C di Roma, ma la situazione è complessa perché “manca la progettazione definitiva” di cui il Mef ha bisogno per stanziare i fondi; il sindaco di Roma Roberto Gualtieri contesta il taglio, e spiega che non si può separare il finanziamento della progettazione da quello della realizzazione.

Continuano le tensioni nella maggioranza sul taglio al canone Rai 

Continua il muro contro muro tra Lega e Forza Italia sul canone Rai. Ieri, nel silenzio di Giorgia Meloni, si è consumato un nuovo duello a distanza tra alleati. “La proposta del Carroccio non fa parte del programma di Governo del centrodestra e quindi non la condividiamo”, taglia corto da Pechino Antonio Tajani. Secca la replica del Carroccio per bocca della deputata Elena Maccanti, membro della Vigilanza Rai: “Sorprendono le parole di Tajani, anche perché si tratta di confermare una misura approvata nella manovra dell’anno scorso, anche con i voti di Fi”. In Transatlantico, a Montecitorio, girano due versioni sullo stato dei rapporti all’interno della coalizione. C’è chi sostiene che la premier abbia lasciato fare Matteo Salvini, quando quest’ultimo ha deciso di far presentare ai suoi l’emendamento ad hoc al decreto fiscale sul taglio a 70 euro del canone Rai. Una mossa, quella della premier, per capire l’effetto che fa, ma anche per non creare ora frizioni con l’alleato su un tema considerato dal Carroccio un cavallo di battaglia elettorale e non solo. C’è chi, invece, ritiene che Salvini voglia andare fino in fondo e da qui la scelta di presentare un emendamento nonostante i dubbi di FdI e il no categorico di Fi. 

In casa Lega non vogliono sentire ragioni. “Penso che la Rai più che spendere troppo spende male; il nostro obiettivo è di diminuire le tasse agli italiani e quindi proseguiremo su questa strada”, la posizione espressa dal sottosegretario Alessandro Morelli, fedelissimo di Salvini. Ma gli azzurri mantengono il punto. Per Fi “è una follia pensare di farsi finanziare dagli italiani il taglio del canone da 90 a 70 euro com’è successo l’anno scorso”. Nel 2023, infatti, fanno notare le stesse fonti, i 420 milioni di euro che non sono stati recuperati dalle bollette sono stati prelevati dalla fiscalità generale e “questo non deve ripetersi”. Alessandro Cattaneo, responsabile nazionale dei Dipartimenti di settore di Fi, sottolinea: “La domanda di fondo dovrebbe essere se e come manteniamo un presidio pubblico nel comparto televisivo. La nostra risposta è che questo presidio, al pari di altri Paesi, compreso il Regno Unito con la Bbc, è opportuno mantenerlo e quindi, di pari passo, va conservato un finanziamento congruo che oggi ritengo adeguato con un canone a 90 euro”. Da FdI viene accolta con freddezza la richiesta leghista: “Questo taglio non è una nostra priorità, ora bisogna trovare una sintesi in maggioranza, evitando strappi senza senso”, dice il senatore di Fdi Raffaele Speranzon, membro della Vigilanza Rai e vicepresidente vicario del gruppo di FdI a palazzo Madama. 

Ancora tensioni sulla giustizia. Primi voti sulla separazione delle carriere

Nonostante i tentativi di abbassare la tensione non finiscono le polemiche sulla giustizia in Parlamento e fuori. “La magistratura deve fare il proprio compito, che non è quello di fare le leggi o ostacolare il Governo”, afferma il vicepremier Antonio Tajani, rispondendo ai cronisti a margine della visita di Stato a Pechino, nella quale accompagna il Presidente della Repubblica. Il leader di Forza Italia torna sull’incontro di lunedì scorso tra la premier e il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli e sottolinea: “Una parte della magistratura vede sempre chissà quale complotto del Governo, ma la magistratura fa parte di una sistema e deve tener conto del ruolo del potere esecutivo e di quello legislativo”. Poi sulla separazione delle carriere: “Andiamo avanti, assolutamente. È un impegno di governo. Non siamo contro la magistratura ma vogliamo rispetto da parte di tutti”. 

Immediata la replica del deputato M5S ed ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho che bolla la separazione delle carriere come “un passo verso l’indebolimento dell’ordine giudiziario” e aggiunge: “La politica attacca la magistratura ritenendo, ogni volta che la magistratura non è prona all’orientamento politico della maggioranza, che abbia un orientamento politico contrario”. Intanto alla Camera le commissioni Affari Costituzionali e Giustizia hanno approvato i primi emendamenti al ddl Nordio. La cosa viene salutata dal presidente della prima commissione Nazario Pagano (FI) come un “passo fondamentale”, ma anche lì non manca qualche scintilla, con il dem Federico Fornaro critico nei confronti del viceministro alla Giustizia Paolo Sisto per aver “esternato all’uscita dalla Commissione affermando che l’iter di approvazione in prima lettura alla Camera si concluderà entro fine anno come deciso dal Governo”: “In una democrazia parlamentare il governo può auspicare ma non certo decidere i modi e i tempi dell’approvazione di una legge di riforma costituzionale”. 

Resta aria di bufera anche sul fronte migranti, con la Lega che chiede, in commissione Politiche dell’Ue al Senato, un’indagine sulla “preminenza” delle fonti del diritto italiano su quello comunitario. La richiesta è complementare all’emendamento presentato, sempre dal Carroccio, al ddl sulla separazione delle carriere, che vuole “che le norme italiane prevalgono rispetto a quelle europee”. Sulla questione, affrontata in Ufficio di presidenza dalla Commissione di Palazzo Madama, i toni si accendono. Per l’opposizione si tratta di uno “spreco di tempo” e contrari si dicono i senatori di Pd, Azione e M5S. Alla fine la maggioranza appoggia la richiesta della Lega, ma non si opta per l’indagine conoscitiva bensì per una procedura più snella che è l’affare assegnato. 

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