Meloni parla chiaro: anche per Letta e Draghi l’Ue va cambiata
Ha raccolto molti consensi e apprezzamenti il rapporto di Enrico Letta sul futuro del mercato unico. Al termine di una settimana di interviste sulla stampa internazionale, conferenze stampa, dichiarazioni, l’ex premier italiano ha esposto il suo lavoro ai leader europei, muovendosi a Palazzo Europa a braccetto con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Per Letta “non c’è tempo da perdere” perché “il divario tra l’Ue e gli Usa sta diventando sempre più grande, in termini di risultati economici”. Bisogna “rafforzare il mercato unico ed eliminare la frammentazione a partire dai residui dei tre principali lasciti del periodo Delors: l’energia, le telecomunicazioni e i mercati finanziari”. La sensazione è che i leader abbiano capito l’urgenza di ampliare il mercato unico e trovare l’ingente quantità di risorse necessarie per la transizione, prima fra tutto mobilitando i risparmi dei privati tramite l’Unione dei mercati di capitali. Nel Rapporto “ci sono sicuramente spunti molto importanti”, ha commentato la premier Giorgia Meloni e cita “la necessità di rafforzare l’industria europea, tenendo comunque conto anche della nostra vocazione manifatturiera; il riferimento all’autonomia strategica, con particolare attenzione all’energia e alle reti di connessione con i paesi terzi, che è il lavoro che in qualche modo noi facciamo con il Piano Mattei”.
Poi c’è “un riferimento molto coraggioso al tema della natalità, che è forse la più grande sfida economica che l’Unione europea ha di fronte se vogliamo mantenere il nostro sistema di welfare”. Ha riscosso molto successo Enrico Letta tra i leader: un italiano europeista, presidente dell’Istituto Delors, che si è mosso con così tanta disinvoltura negli ambienti brussellesi che il pensiero di molti è andato a quando toccherà a Mario Draghi presentare il suo rapporto a fine giugno, questa volta non un socialista ma un tecnico super partes che ha guidato un’istituzione Ue, la Bce. L’ex premier “è una persona molto autorevole e io sono contenta che si parli di un italiano per un ruolo del genere”, commenta Meloni rispondendo sull’ipotesi di Draghi al vertice della Commissione Ue. Ma “questo dibattito è filosofia buona per i titoli dei giornali e buona magari per fare campagna elettorale, ma non è così che funziona”, aggiunge la premier sottraendosi dal dibattito del toto nomine; piuttosto cita Draghi e Letta, “due persone considerate europeiste”, perché “dicono che l’Europa va cambiata”.
“E questo è un dibattito molto interessante, il dibattito che va fatto”. Lo sguardo della premier è rivolto al futuro. Come tutti i leader ora si aprirà la campagna elettorale vera e propria che porterà al rinnovo del Parlamento europeo il 9 giugno. Quando i 27 si rincontreranno, al prossimo Consiglio europeo del 27 giugno, la premier spera di trovarsi “di fronte a un’Europa diversa, più capace di rispondere a queste grandi sfide. Alle grandi di politica estera, alla difesa dei propri confini, all’autonomia strategica, alle catene di approvvigionamento fondamentali, e a un approccio meno ideologico e più pragmatico per i problemi dei cittadini”. Naturalmente passando anche per i migranti e gli accordi con i paesi terzi, temi che sono stati al centro del colloquio che ha avuto con la presidente von der Leyen prima dell’inizio del vertice.
Il G7 accelera sulla contraerea per sostenere l’Ucraina
L’andamento della guerra in Ucraina è stabilmente a favore della Russia e per Kiev ottenere nuovi aiuti militari è ormai una questione “di vita o di morte”. Il G7 Esteri, riunito a Capri sotto la presidenza di Antonio Tajani, ha recepito questa urgenza, che si è tradotta nella necessità di accelerare sulla fornitura di sistemi di contraerea. La priorità sono i Patriot e i Samp-T, ha ribadito Dmytro Kuleba incontrando i partner nell’isola. La sfida, ha avvertito il titolare della Farnesina, è impedire la sconfitta di chi difende il proprio Paese, altrimenti Putin da questa posizione di forza “non si siederà mai a un tavolo” per negoziare la pace. I rischi di escalation in Medio Oriente non distolgono l’attenzione della diplomazia occidentale dall’altro grave teatro di conflitto; non a caso Tajani ha invitato a Capri anche il collega ucraino Kuleba ed il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg per fare il punto su ciò che serve a Kiev per continuare a resistere all’invasione. La principale novità, nel frattempo, è arrivata dagli Stati Uniti, perché la Camera ha messo in calendario per sabato il voto sul pacchetto da 61 miliardi che è rimasto bloccato per mesi dai repubblicani.
Su questo voto preme soprattutto la Casa Bianca, ha assicurato il segretario di Stato Antony Blinken in un faccia a faccia con Kuleba a margine del G7, invitando “tutti a fare ogni sforzo per continuare a fornire all’Ucraina ciò che le serve”. Il rinnovato impegno di tutti è proprio questa la chiave per provare a invertire le sorti della guerra. Ne è convinto l’Alto rappresentante Ue Joseph Borrell secondo cui “non possiamo contare solo gli Usa e dobbiamo prenderci la nostra responsabilità”. Da qui l’appello a “tirare fuori dai magazzini Patriot e sistemi anti-missile e inviarli in Ucraina”. Kuleba ha confermato che i sistemi di fabbricazione americana e franco-italiana sono la “priorità” per rafforzare l’arsenale: la ragione è che “sono gli unici in grado di intercettare i missili balistici russi”. La principale preoccupazione di Kiev non è la volontà degli alleati, perché gli ucraini “non vedono divisioni”: per Kuleba “ciò su cui dobbiamo lavorare sono i tempi, e questo è lo scopo principale della mia presenza qui. Far sì che le consegne avvengano il più rapidamente possibile”.
La Germania, che in Europa è il principale donatore potenziale avendo a disposizione 12 batterie di Patriot, nei giorni scorsi si è già attivata annunciando l’invio di un terzo sistema antiaereo. Anche al G7 Berlino ha rivendicato la sua scelta, ma ha premuto sugli alleati per non rimanere sola in questo sforzo. Per aiutare Kiev resta sul tavolo l’ipotesi dell’utilizzo degli extraprofitti sugli asset russi congelati: il confronto prosegue, come hanno confermato i Ministri finanziari e i Governatori delle banche centrali del G7 che si sono riuniti a Washington, a margine dei lavori del Fondo Monetario Internazionale. A premere per questa soluzione sono soprattutto gli Stati Uniti, mentre tra gli europei ci sono posizioni più caute.
Salis si candida alle europee con Avs
Ilaria Salis sarà candidata con Avs alle prossime elezioni europee. Dopo giorni d’indiscrezioni e smentite, tese a tutelare la ragazza, è una nota diffusa in serata a ufficializzare la decisione: “Alleanza Verdi e Sinistra in accordo con Roberto Salis”, spiegano Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, “ha deciso di candidare sua figlia Ilaria, detenuta in Ungheria, in condizioni che violano gravemente i diritti delle persone, nelle proprie liste alle prossime elezioni europee. I gruppi dirigenti sono al lavoro per definire le modalità dell’iniziativa, tesa a tutelare i diritti e la dignità di una cittadina europea, anche dall’inerzia delle autorità italiane per ottenere una rapida scarcerazione in favore degli arresti domiciliari negati con l’ultima decisione dai giudici ungheresi”. L’insegnante italiana, che si trova in carcere da 13 mesi in Ungheria perché accusata di aver partecipato a un’aggressione contro un gruppo di militanti di estrema destra, dovrebbe guidare il partito di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli come capolista nel Nord Ovest. Se eletta, la 39enne di Monza potrà godere dell’immunità che spetta agli europarlamentari e quindi affrontare il processo (rischia una condanna fino a 24 anni di carcere) da persona libera.
“In caso di elezione dovrebbe essere immediatamente scarcerata e il processo in Ungheria sarebbe sospeso per tutta la durata del mandato” conferma il legale della Salis Eugenio Losco. La candidatura della docente era stata ipotizzata nelle scorse settimane anche dal Pd; i distinguo fatti arrivare da alcune aree del partito a Elly Schlein arrivati non avevano convinto Salis, che ha poi deciso di accettare la proposta arrivata da Bonelli e Fratoianni che era volato a Budapest insieme a Ilaria Cucchi per assistere all’ultima udienza. Le reazioni del centrodestra non tardano ad arrivare: la candidatura di Salis “non credo cambi nulla rispetto al lavoro che il Governo sta facendo, e che penso debba garantire” dice chiaro la premier Giorgia Meloni, che ribadisce “Io ho già detto che la politicizzazione di questa materia secondo me non so quanto aiuti la risoluzione del caso in sé”. “Mah … È il bello della democrazia” le fa eco Matteo Salvini che poi rilancia “Quanto mi piacerebbe un confronto sul futuro dell’Italia e dell’Europa tra Ilaria Salis e il Generale Roberto Vannacci, se dovesse accettare la candidatura con la Lega”.
Una parte della Lega si astiene e si sfila sui pro-life nei consultori
L’aborto finisce per incrinare anche la compattezza della maggioranza. Alla Camera, poco prima dell’approvazione del decreto Pnrr, viene esaminato un ordine del giorno del Pd che punta a tutelare il diritto all’interruzione di gravidanza nei consultori: la maggioranza lo respinge ma 18 deputati si astengono, tra cui ci sono ben 15 leghisti, compreso il capogruppo Riccardo Molinari, e un eletto azzurro, Paolo Emilio Russo. Così, l’istantanea del voto fa emergere come i dubbi sull’emendamento di FdI al decreto Pnrr, che coinvolge nei consultori le realtà che sostengono la maternità (i “pro-life”, denunciano le opposizioni) si siano insinuati nella coalizione di Governo. La premier Giorgia Meloni, intanto, parla di “fake news” e accusa: “Chi vuole cambiare la 194 è la sinistra, non noi. Noi vogliamo solo garantire scelte libere. Sui temi etici abbiamo lasciato libertà di coscienza e quindi c’è stato chi ha seguito le indicazioni del Governo e chi si è astenuto”, chiarisce a stretto giro lo stesso Riccardo Molinari.
L’esecutivo aveva prima chiesto l’accantonamento dell’odg del Pd, però alla fine ha ribadito il parere contrario. L’associazione Pro Vita & Famiglia si dice “stupita” dall’astensione della Lega sul “vergognoso” odg del Pd e annuncia una manifestazione nazionale a Roma per il 22 di giugno. In Forza Italia lo stesso ragionamento dei 15 leghisti ha orientato il voto di Russo e ieri (su un analogo ordine del giorno del M5s) anche di Deborah Bergamini. Non solo: se nei giorni scorsi le parole del leader azzurro Antonio Tajani erano state calibrate su toni di distaccato equilibrio (“C’è una legge in Italia che non può certamente essere cambiata” e “non c’è nessuna intenzione di farlo”), più monta la polemica più FdI rivendica la scelta compiuta, che, solo pochi giorni fa, ha portato a un litigio internazionale, con il botta e risposta a distanza tra Meloni e la Ministra per l’Uguaglianza spagnola Ana Redondo.
In Basilicata siamo al rush finale per la guida della regione
Rush finale per le regionali in Basilicata di domenica 21 e lunedì 22 aprile. Per il centrosinistra, che in Basilicata punta sul campo largo (ma senza Azione e Italia Viva), dopo la due giorni lucana di Giuseppe Conte conclusasi mercoledì, ieri è stata la volta di Elly Schlein a sostegno del candidato governatore, il dem Piero Marrese. Oggi, invece, in piazza, a Potenza, per l’uscente Vito Bardi il centrodestra schiera sullo stesso palco i tre leader: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini. In realtà, dopo le tensioni che a fine marzo hanno accompagnato la scelta del candidato governatore del centrosinistra, per diverse settimane, la campagna elettorale lucana di Pd e M5S è andata avanti sottotraccia, schiacciata dalla prospettiva dell’importanza del voto europeo, con il proporzionale che, inevitabilmente, allontana i due partiti, e dal clamore per la rottura barese. In questi ultimi giorni, in Basilicata, Pd e M5S, senza mai avvicinarsi più di tanto, hanno invece spinto moltissimo sulla questione sanità. “Non c’è riscatto per l’Italia senza il riscatto della Basilicata e senza il riscatto del Sud”, ha detto la segretaria dem, “La Fondazione Gimbe ha detto che l’autonomia differenziata di Calderoli e di Meloni sarebbe il colpo letale per la sanità pubblica. Vorrebbe dire sancire il principio per cui ci sono pazienti di serie A e pazienti di serie B. E per la destra, di cui fa parte anche Bardi, evidentemente, i lucani sono pazienti di serie B. Per noi sono pazienti di serie A”.
Pronta la risposta dell’ex generale della GdF, che si è rivolto direttamente alla Schlein: “Chi pensa che la Basilicata sia una regione di serie B, snobbandola pubblicamente, è accanto a lei. Può chiedere ai suoi compagni di viaggio (citofonare chi da Potenza si è fatto eleggere a Napoli). Per me la Basilicata è la Champions League”, con evidente riferimento a una frase (“Io gioco in nazionale e mi volete far tornare in serie B”) attribuita all’ex ministro della Salute Roberto Speranza, ma sempre smentita con forza dallo stesso deputato del Pd. Oggi pomeriggio Vito Bardi a Potenza, sul palco di piazza San Giovanni Bosco, avrà al suo fianco tutto il centrodestra: oltre a Meloni, Tajani e Salvini, ci saranno anche Lupi, Cesa e Rotondi che gli tireranno la volata per la riconferma. Gli aventi diritto al voto sono circa 570 mila e la percentuale dell’affluenza potrebbe essere determinante. (Leggi lo speciale di Nomos: Elezioni regionali in Basilicata)