La Giornata Parlamentare è curata da Nomos, il Centro studi parlamentari, e traccia i temi principali del giorno. Ogni mattina per i lettori di Key4biz. Per leggere tutti gli articoli della rubrica clicca qui.
Giorgia Meloni parla a 360 gradi ai giornalisti: Sala, Musk, Ucraina, rimpasto
Ieri Giorgia Meloni si è presentata davanti ai 40 giornalisti estratti a sorte per il tradizionale appuntamento con la stampa, che lei oramai ha posizionato all’inizio anziché alla fine dell’anno. Premette non solo di non sentirsi “un limite per la libertà di stampa” ma anche di essersi sottoposta a quasi “una domanda al giorno”; mette le mani avanti rispetto a richieste che comunque arrivano dai gruppi di Montecitorio di avere più spesso appuntamenti in una formula più classica del punto stampa volante; e precisa come sia una scelta quella di non fare conferenze dopo i provvedimenti più importanti per lasciare spazio ai Ministri. A parte nella difesa della sorella Arianna, i toni sono decisamente più contenuti del solito nelle risposte a 40 domande più una, fuori sacco, che arriva dal fondo della sala, sulla Palestina. Si dilunga all’inizio, dalla liberazione di Cecilia Sala (“l’emozione più grande”) alle sorti dell’Ucraina ora che alla Casa Bianca siederà Donald Trump che, secondo la premier, non abbandonerà Kiev. Del tycoon Meloni minimizza le prime uscite, che stanno preoccupando e non poco i Paesi europei: su Groenlandia e Panama “mi sento di escludere che gli Stati Uniti nei prossimi anni tenteranno l’annessione”, dice la premier, spiegando che secondo il suo punto di vista si tratta di “messaggi ad alcuni grandi player globali”.
Così come non raccoglie l’invito a spiegare il ruolo del suo blitz a Mar-a-Lago nel riportare a casa la giornalista italiana per 21 giorni in carcere in Iran, anche se spiega che, nonostante il viaggio appena fatto, le farebbe “piacere” essere il 20 a Washington per l’insediamento di Trump, anche se dipenderà “dall’agenda”. Glissa pure sul 5% chiesto dal presidente eletto agli alleati europei per la difesa, puntualizzando solamente che è arrivato il momento che l’Europa si muova per dotarsi di “strumenti adeguati”. L’Europa, argomenta la premier a proposito dei satelliti di SpaceX, è rimasta indietro nel dotarsi di un sistema pubblico di comunicazioni sicure, motivo per cui a oggi non ci sono altre tecnologie avanzate come quelle messe a punto dalle aziende di Elon Musk di cui dotarsi. Ma non ci sono accordi firmati, “è un fake”, e in ogni caso il patron di X non è “un pericolo per la democrazia, io non prendo soldi da Musk” e “non ho mai parlato con lui” di Starlink, ha puntualizzato Meloni, ricevendo il plauso via social dello stesso Musk per le sue parole su Soros, citato tra i casi di “persone facoltose” che “usano le risorse per finanziare in mezzo mondo partiti e associazioni per condizionare le politiche”. Non si possono avere “due pesi e due misure”: per gli investimenti stranieri “guardo sempre l’interesse nazionale, non faccio favori agli amici” ma “non posso accettare che venga appiccicata una lettera scarlatta a chi ha buoni rapporti con me”. A ora, comunque, Starlink ha presentato il suo progetto e c’è una “fase istruttoria” che, se avesse esito positivo, comporterebbe poi il coinvolgimento di molti ambiti”, dal “Parlamento” al “Consiglio supremo di Difesa” presieduto da Sergio Mattarella.
Il colosso con cui invece ha siglato la tregua è Stellantis: “Sono soddisfatta” dell’accordo, dice in uno dei pochi passaggi sull’economia oltre alla rivendicazione dei risultati sul lavoro, la promessa di intensificare le politiche a favore di imprese e assunzioni: il 2025 sarà l’anno di un “segnale al ceto medio” sul fronte del taglio delle tasse. Spazio invece alla politica interna: per l’ennesima volta esclude rimpasti e un ritorno di Matteo Salvini al Viminale. È cauta sul destino di Daniela Santanchè (“aspettiamo i giudici”) mentre assicura che si andrà avanti “spediti” sulle riforme. Separazione delle carriere ma anche autonomia (la sentenza della Consulta è “in gran parte autoapplicativa” ma si lavora a una legge sui Lep) e premierato. E se anche l’elezione diretta del premier non dovesse arrivare in tempo per la fine della legislatura, bisognerà comunque “interrogarsi sulla legge elettorale”.
Il Governo impugna la norma campana sul terzo mandato: tensione in Cdm
Il Governo impugna la legge della Campania, che apre la strada al terzo mandato da governatore di Vincenzo De Luca e ricorre alla Corte costituzionale, ma con lo strappo della Lega che rimette al Cdm la decisione del resto degli alleati. Come registrano fonti del partito di Matteo Salvini (che non era a Palazzo Chigi), nella riunione Roberto Calderoli “ha sottolineato di essere favorevole, come la Lega ha sempre ribadito, a una modifica della legge nazionale su cui però, al momento, non c’è intesa”. Al di là del caso campano, l’obiettivo della Lega sarebbe quello di evitare di alzare un muro a livello nazionale sul terzo mandato, una questione che inevitabilmente chiama in causa il leghista Luca Zaia, disponibile a un nuovo giro alla guida del Veneto. Il quarto per lui.
“Obiettivamente non mi pare che si possa intervenire con un presidente di regione sì e uno no”, aveva chiarito Giorgia Meloni nella conferenza stampa fiume del mattino in cui aveva anticipato l’azione del Governo sulla Campania. Dopo Elly Schlein, è Palazzo Chigi a bloccare le ambizioni del governatore campano del Pd pronto a correre di nuovo alle Regionali di quest’anno e che potrebbe replicare in una conferenza stampa nelle prossime ore. Ma se l’impugnazione del Governo sembra fare un favore ai Dem (senza De Luca, potrebbero scommettere su un candidato del fronte progressista e tenersi la regione), inevitabilmente irrita la Lega che in serata si ribella: con i colleghi Roberto Calderoli avrebbe insistito sulle criticità che l’impugnazione comporta a livello più ampio, rispetto cioè alle Regioni che non hanno recepito una legge nazionale. Per il Carroccio sarebbe meglio intervenire a monte con una legge nazionale ad hoc.
La premier in mattinata non aveva nascosto l’auspicio, ricordando però che il limite dei due mandati è previsto già nella riforma del premierato, condivisa dagli alleati. A scaldarsi di più è la Liga veneta: “In Veneto la Lega non si conta ma si pesa, con gli ottimi risultati di Zaia. A costo di andare avanti da soli”, rimarca la senatrice Erika Stefani che si allinea al suo omologo Alberto, segretario dei leghisti veneti. Di certo, quelli del nord non rinunceranno alla regione che, insieme alla Lombardia, è l’ultimo baluardo del Carroccio e continueranno a premere perché Salvini li difenda fino all’ultimo. In ogni caso, sul terzo mandato Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia hanno una solida sponda in Forza Italia: “Siamo assolutamente contrari al terzo mandato, per noi è cosa scontata”. ribadisce il forzista Maurizio Gasparri, convinto che il no debba valere pure per le Regioni a statuto speciale, come il Friuli-Venezia Giulia, anch’essa a trazione leghista.
Meloni incontra Zelensky a Palazzo Chigi
“Sono profondamente grato all’Italia e al popolo italiano per il loro incrollabile sostegno: insieme possiamo avvicinare una pace giusta”. Volodymyr Zelensky emerge dopo un’ora di bilaterale a Palazzo Chigi con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al termine di una giornata piena d’incontri. Oggi sarà la volta del Capo dello Stato Sergio Mattarella; avrebbe dovuto incontrare anche Joe Biden, ma il presidente Usa ha annullato il viaggio all’ultimo minuto a causa degli incendi a Los Angeles. Meloni lo ha tranquillizzato, ribadendo “il sostegno a 360 gradi che l’Italia assicura e continuerà ad assicurare alla legittima difesa dell’Ucraina”; “Sto facendo del mio meglio per porre fine a questa guerra con dignità, per l’Ucraina e per tutta l’Europa, entro quest’anno”, ha giurato a Ramstein in occasione dell’ultima riunione del Gruppo di Contatto dell’epoca Biden, poi sarà un salto nel buio” dice il capo del Pentagono Lloyd Austin.
Il mini-vertice, alla presenza dei ministri della Difesa di circa 50 Paesi nonché del segretario generale della Nato e dell’alto rappresentante Ue Kaja Kallas, serviva per dare l’ultima spinta certa alle forze armate ucraine, impegnate in una delicatissima fase del conflitto. Il sentiero tra conflitto e negoziato è strettissimo e a Ramstein è rispuntato il tema delle truppe occidentalischierate in Ucraina. Per Zelensky “Il nostro obiettivo è trovare quanti più strumenti possibili per costringere la Russia alla pace e credo che il dispiegamento di contingenti dei partner sarebbe uno dei migliori strumenti”.
Gli alleati non si sono presentati a mani vuote. Gli Usa hanno annunciato un nuovo pacchetto di aiuti da 500 milioni di dollari che comprende anche missili per la difesa aerea. Londra invece fornirà nell’arco del 2025 ben 30mila droni di tipo Fpv. Zelensky ha incoraggiato gli alleati a investire in Ucraina proprio per la localizzazione della produzione dei droni e ha lasciato intendere di star negoziando con gli Usa pure per la localizzazione di certe difese aeree. Ma qui, come al solito, del futuro “non v’è certezza”: “Siamo qui oggi per essere sicuri che l’Ucraina abbia ciò che le serve in termini di equipaggiamento e addestramento per prolungare la battaglia e prevalere”, ha suonato la carica il segretario generale della Nato Mark Rutte, che avrebbe dovuto poi visitare il Quartier Generale alleato per l’assistenza alla sicurezza e l’addestramento dell’Ucraina (Nsatu) a Wiesbaden.
Tajani vola in Siria e apre alla revoca delle sanzioni
Alla vigilia della sua visita a Damasco, la prima dalla caduta di Bashar Al Assad, il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha riunito a Villa Madama i colleghi del formato Quint per dare un segnale di unità nel coordinamento occidentale sul nuovo corso in Siria e ribadire l’apertura nei confronti delle nuove autorità di Damasco, a partire dal tema delle sanzioni: “La situazione nel Paese è cambiata; quindi, bisogna vedere se cambiare anche l’atteggiamento dell’Ue”, ha detto il vicepremier, sottolineando che l’Italia è “interessata e intenzionata” a “un’azione che apra un dibattito sul tema”. Perché “non c’è più Assad, c’è una nuova situazione e credo che i segnali incoraggianti che arrivano” da Damasco “debbano essere ulteriormente incoraggiati”.
Le parole di Tajani vanno nella direzione di quanto auspicato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che in una telefonata con la premier Giorgia Meloni ha chiesto a Roma “leadership” sulla revoca delle misure contro la Siria, come passo fondamentale per la ricostruzione del Paese. “Ne parleremo anche con l’alto rappresentante Kallas, con gli interlocutori a Bruxelles”, ha assicurato Tajani, che a Villa Madama ha riunito, oltre a Kallas, il Segretario di Stato Usa uscente Antony Blinken, il Ministro degli Esteri britannico David Lammy e alti funzionari di Francia e Germania. L’incontro è solo l’ultimo tassello di un attivismo sulla Siria, quello del Quint, testimoniato dalla missione franco-tedesca del 3 gennaio scorso a Damasco, su mandato Ue, e che fa da premessa alla missione a Damasco nella quale il vicepremier incontrerà il nuovo leader Jolani “ma anche il Ministro degli Esteri, la società civile, i cristiani”.
L’obiettivo “è avere una Siria stabile, l’unità territoriale e che tutti siano riconosciuti come cittadini con uguali diritti e doveri”, ha aggiunto il Ministro, secondo cui “i primi messaggi da Damasco sono positivi. Ecco perché sarò lì per incoraggiare una fase nuova”. Sotto la lente della riunione di Roma è finito innanzitutto l’operato del Governo di transizione e le sfide in vista della Conferenza di Dialogo nazionale, annunciata dalle autorità di fatto. In questo quadro, l’obiettivo italiano è quello di contribuire a favorire una transizione pacifica e inclusiva in Siria, un impegno sottolineato da Tajani anche nella telefonata con l’omologo turco Hakan Fidan.
Si cerca l’intesa sui giudici della Consulta. Il 14 il Parlamento voterà
L’unica cosa certa per ora è che si starebbe tentando di raggiungere un’intesa entro il 14 gennaio, giorno in cui è stato convocato il Parlamento in seduta comune. Per il resto, sul nome dei 4 candidati da mandare alla Consulta le voci si accavallano, anche se tutte concordano sul fatto che saranno 2 in quota maggioranza, 1 in quota opposizione, oltre a un tecnico non espressione di alcun gruppo politico. E a confermare che si possa arrivare a un accordo in tempi rapidi è anche la premier Giorgia Meloni che in conferenza stampa osserva come, ora che i candidati sono 4 e non più uno solo, “sarà più facile” arrivare a una soluzione. Quella del 14 gennaio, infatti, sarà la prima volta che per i 4 posti vacanti alla Corte si potrà votare con la maggioranza dei 3/5: le persone indicate, cioè, potranno essere elette se almeno 363 parlamentari, contando anche i senatori a vita, si esprimeranno a loro favore.
Da quando si è cominciato a votare per un solo giudice, infatti, quello del 14 gennaio sarà il 13esimo scrutinio, mentre sarà il quarto da quando si vota per i 4 posti lasciati vacanti per le uscite di Silvana Sciarra, Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti. Tra i nomi che circolano di possibili sostituti in quota maggioranza, in pole ci sono quelli di Francesco Saverio Marini e di Pierantonio Zanettin; il primo è professore di Diritto pubblico, consigliere giuridico di Palazzo Chigi, tra gli autori della riforma del premierato, il secondo è capogruppo di FI in Commissione Giustizia del Senato, già componente del Csm. La scelta dell’opposizione sembra ricadere, invece, su Andrea Pertici, componente della segreteria Dem, considerato vicino alla segretaria Elly Schlein, ma alle prese con il processo Open che vede coinvolto il fondatore di IV Matteo Renzi, motivo per cui in molti nel Pd gli preferirebbero il costituzionalista Massimo Luciani.
L’unica donna potrebbe essere così il tecnico e in questo caso si parla di Valeria Mastroiacovo, dei Giuristi Cattolici, docente di Diritto Tributario. Altri possibili candidati sono il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto, ma per lui, eletto nell’uninominale, si dovrebbero prevedere elezioni suppletive, e la Ministra delle Riforme Elisabetta Casellati. Anche per lei, però, si osserva nel centrodestra, nonostante Letizia Moratti starebbe facendo il tifo per entrare al suo posto nel Governo, si dovrebbero fare nuove elezioni in Basilicata e ci dovrebbe essere un rimpasto, ipotesi che Meloni torna a scartare con forza. A sollecitare la candidatura di Zanettin sarebbe poi anche la prima dei non eletti, Roberta Toffanin, già senatrice FI nella XVIII legislatura. Intanto, sembra destinata a slittare l’udienza della Consulta del 13 gennaio sul quesito di abrogazione della legge sull’Autonomia, forse in attesa del voto del Parlamento.
Meloni ha scelto: Rizzi diventerà il nuovo direttore del Dis
Il governo volta pagina al Dis e per sostituire Elisabetta Belloni, dimessasi in anticipo sulla naturale scadenza di maggio, sceglie il prefetto Vittorio Rizzi, una vita in Polizia e da pochi mesi vicedirettore dell’Aisi. “Un funzionario dello Stato di prim’ordine”, che ha raggiunto “straordinari risultati operativi” nei vari ruoli ricoperti e “che sono apprezzati sia dentro che fuori i confini nazionali”, ha commentato la premier Giorgia Meloni annunciando nella conferenza stampa della mattinata la nomina formalizzata poi in serata dal Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, come prevede la legge. Contestualmente, l’attuale capo di Stato Maggiore della Guardia di finanza generale Leandro Cuzzocrea è stato indicato al posto di Rizzi come vice all’Aisi.
Si chiude così l’era Belloni, finita non senza scossoni, attenuati comunque dalla liberazione di Cecilia Sala, un grande successo dell’intelligence. Si è parlato di rapporti poco fluidi dell’ambasciatrice con l’Autorità delegata Alfredo Mantovano, con il Ministro degli Esteri Antonio Tajani e con il direttore dell’Aise Giovanni Caravelli, e di un ruolo che la aspetta a breve, alla corte della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Meloni ha provato a spazzar via i veleni e le voci di dissidi sulla gestione del caso Sala: “Ha deciso di anticipare la sua uscita per evitare di finire nel tritacarne che di solito accompagna nomine così importanti. Dopodiché ha consegnato le sue dimissioni prima di Natale. Quindi le vicende di questi giorni non c’entrano assolutamente niente. Ho una stima e un rispetto enormi per Elisabetta Belloni che approfitto per ringraziare del lavoro straordinario che, insieme allo staff, ha fatto per la presidenza del G7. È un funzionario capace, coraggioso e di lungo corso, il mio rapporto personale e la stima sono assolutamente inalterati e mi pare che la sua esperienza sia parecchio ambita al di fuori dei confini nazionali. E prevedo che il suo percorso non termini qui”. Dal 15 gennaio al vertice del Dis ci sarà dunque Rizzi, personalità meno ingombrante di colei che l’ha preceduto e che ha un rapporto sperimentato con Mantovano risalente a quando quest’ultimo era sottosegretario all’Interno. Il prefetto ha scalato tutti i gradini della Polizia fino a diventarne il vicecapo vicario nel luglio del 2023; pochi giorni prima della pensione, nello scorso settembre viene nominato vicedirettore dell’Aisi, segnale che era un nome spendibile per subentrare in seguito a Belloni.