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La Giornata Parlamentare: tensione nel governo, il ministro Sangiuliano rimane in bilico

GENNARO SANGIULIANO MINISTRO DELLA CULTURA

Le entrate crescono e danno fiducia al Governo sulla prossima legge di bilancio. Al ministero dell’Economia prevale la cautela: “Nessun tesoretto. La cifra è vicina a quella prevista. Quindi siamo prudenti”. Ma il buon andamento dei conti potrebbe aprire spazi utili per ampliare la coperta ancora corta delle risorse per la manovra. Il quadro sarà chiaro solo una volta ultimato il Piano strutturale di bilancio, atteso in Cdm per metà mese.

L’Ue ha già acceso un faro su chi, come l’Italia, sarà chiamato ad uno sforzo in più sulle riforme per poter estendere la traiettoria su 7 anni. Sale, intanto, il pressing di ministeri e categorie sul Mef perché non dimentichi le tante emergenze che affannano il Paese, dai problemi della sanità alla crisi dell’editoria. Il ministro Giancarlo Giorgetti, da mesi professa prudenza in attesa del “momento della verità”, cioè l’andamento del gettito a fine luglio. E il dato non delude.

Nei primi sette mesi le entrate tributarie erariali salgono a quota 328,4 miliardi, 19,2 miliardi in più rispetto al 2023 (+6,2%). Il contributo maggiore viene dalle imposte dirette (14 miliardi in più, +7,8%); quelle indirette salgono di 5,17 miliardi (4%). Un contributo arriva anche dalla lotta all’evasione, che nei 7 mesi frutta 2 miliardi in più (+32%). 

“Nessun tesoretto”, mettono in chiaro dal Mef, ma è chiaro che segnali positivi erano arrivati già con il dato dei primi sei mesi, che evidenziava un +4,1%: ma si aspettava luglio per vedere anche l’effetto delle autoliquidazioni degli autonomi, l’incremento Irpef legato all’aumento degli occupati e quello dell’Ires spinto dagli utili di banche e società petrolifere.

Con questi nuovi numeri entra nel vivo il lavoro del Mef per mettere a punto il Psb. Davanti c’è una settimana e mezza per definire le traiettorie di rientro attese da Bruxelles. E inizia già a trapelare qualche numero: l’esecutivo punterebbe a portare il deficit sotto il 3% in un paio d’anni (al 2,9% nel 2026). Numeri che non trovano conferma al Mef, dove vige la massima cautela.

Si rassicura invece sulla nuova programmazione prevista: “non credo ci aspetteranno 7 anni di coperte corte”, dice il sottosegretario Federico Freni, ma “anni di rispetto della programmazione e quindi di scelte politiche”. Mentre sul fronte dei conti si attendono i conti annuali dell’Istat e la revisione del Pil degli ultimi 5 anni, il Psb sarà il primo step di avvicinamento alla manovra. 

Tensione nel governo, il ministro Sangiuliano rimane in bilico

L’intervista rilasciata da Gennaro Sangiuliano al Tg1 non ha affatto archiviato il caso. Anzi, se possibile, ha alimentato ancora più un clima di incertezza attorno Ministro della Cultura. Le polemiche che lo hanno inseguito il giorno e soprattutto le nuove rivelazioni di Maria Rosaria Boccia, continuano ad incombere sulle sue possibili dimissioni.

Le sue vicende, scandite dalle martellanti storie Instagram e dalla prima intervista a La Stampa dell’imprenditrice di Pompei, continuano ad impensierire molto la premier, che comunque sembra prendere ancora tempo sulla vicenda. Ieri a Palazzo Chigi si è presentato il vicepremier Antonio Tajani che ha avuto un colloquio con Giorgia Meloni per fare il punto sui temi di politica estera. Nessun vertice di maggioranza, si spiega dall’ufficio stampa della presidenza in riferimento al caso. 

Ad appesantire un clima già molto teso ci sono l’esposto presentato dal verde Angelo Bonelli alla Procura della Repubblica di Roma (con allegati articoli di stampa, mail e screenshot dei social di Boccia) e suoi possibili risvolti giudiziari, con l’ipotesi di peculato. Non solo: sotto i riflettori c’è anche il messaggio criptico postato dall’imprenditrice su Instagram in cui sembrerebbe chiamare in causa Meloni o qualcuno a Palazzo Chigi. La linea ufficiale del partito, dettata dalla stessa Meloni nella prima e unica dichiarazione sul tema, è che Sangiuliano può restare al suo posto fintanto che restano solide le sue due verità: che Boccia non ha avuto accesso a documenti riservati, in particolare sul G7 cultura, e che per lei non siano stati spesi soldi pubblici.

Se tutto ciò è confermato, il caso rimane “gossip” e non inciderà sull’assetto di governo, altrimenti l’addio sarebbe praticamente immediato. E quella sorta di fiducia a tempo accordata dalla premier fino al summit del 19-21 settembre a Napoli verrebbe immediatamente meno. 

Gli alleati stanno alla finestra e non mettono bocca: sanno che il terreno e scivoloso e che la questione è in mano alla Meloni, dipinta di cattivo umore, e anche un po’ preoccupata. Per tutto il giorno è stata a Palazzo Chigi: salvo un incontro istituzionale con il presidente dell’Azerbaigian, sempre chiusa nei suoi uffici dalla tarda mattinata fino a sera.

L’atmosfera di incertezza avvolge anche i prossimi appuntamenti della premier, anche se per il momento la partecipazione al G7 dei Parlamenti è confermata. Nei giorni scorsi il Quirinale ha smentito la voce di una telefonata sul caso Sangiuliano fra il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e Meloni. Ma è evidente che se nei prossimi mesi dovessero cambiare tre ministri, servirebbe una nuova fiducia in Parlamento. Un’ipotesi che non si può escludere, considerando che su Daniela Santanchè (Turismo) pende una richiesta di rinvio a giudizio, e Raffaele Fitto andrà in Ue.

Il caso Sangiuliano complica la partita delle nomine Rai

Non si placano le polemiche sul caso Sangiuliano Boccia e sull’intervista al Tg1. Una questione che si intreccia con le voci sulle future nomine in Rai e il possibile avvicendamento alla guida del dicastero della Cultura. Il caso che ha coinvolto il ministro è deflagrato nei corridoi di Viale Mazzini, anche perché coinvolge due giornalisti molto noti nella tv pubblica, come l’ex direttore del Tg2 e la moglie, Federica Corsini, che è in azienda da quasi trent’anni. A far discutere è stato soprattutto l’intervento del ministro, durato ben 18 minuti e collocato subito dopo il Tg1 nella fascia di massimo ascolto. Sono stati 3 milioni 211mila gli spettatori che l’hanno seguito, circa 350mila in meno rispetto al notiziario che l’ha preceduto. Anche per questo l’opposizione è insorta, accusando la Rai e il governo di “uso privato del servizio pubblico”. Tutti i partiti di minoranza hanno stigmatizzato la concessione di “uno spazio abnorme”, sottolineando che si va “oltre TeleMeloni”. 

Sulla scia delle proteste la presidente della Commissione di Vigilanza, Barbara Floridia, ha deciso di mettere in agenda un ufficio di presidenza della Commissione di Vigilanza. È probabile che l’incontro si tenga martedì prossimo alla ripresa dei lavori parlamentari, per procedere, sempre che la maggioranza sia d’accordo, con la convocazione dei vertici. Il clima tra maggioranza e opposizione, insomma, non è dei migliori. Tutt’altro che favorevole al raggiungimento di quell’accordo che dovrebbe sbrogliare il nodo delle nomine, in particolare del presidente, che deve ottenere il gradimento dei due terzi della Vigilanza. Nel centrodestra la partita è ancora aperta e si attende il pranzo in programma tra i quattro leader dei partiti di maggioranza lunedì prossimo per capire quali saranno i prossimi passaggi. FdI spinge per il rinnovo del consiglio, nel timore che il candidato per il ruolo di amministratore delegato Giampaolo Rossi (finito nella girandola di nomi per la successione di Sangiuliano) possa perdere il treno per il vertice di Viale Mazzini. 

Fi è però restia, perché teme uno stop alla candidata presidente Simona Agnes, che potrebbe bruciarla anche per il futuro. La Lega chiede le sue contropartite, ma sarebbe pronta a seguire le indicazioni della premier Giorgia Meloni. La decisione, insomma, se procedere o meno con il voto dei due consiglieri in programma al Senato il 12 settembre e a seguire alla Camera, è tutta nelle sue mani. La presidente del Consiglio potrebbe provare a forzare la mano, con il rischio però di trovarsi con un cda rinnovato, ma senza un presidente pienamente legittimato, o lasciare in carica l’attuale consiglio. Al momento sembra in vantaggio quest’ultima opzione, ipotizzando un atto di proroga per un anno da parte del Cdm in attesa della riforma richiesta dal Media Freedom Act. Non c’è chi esclude, però, che la premier possa decidere di procedere finalmente con l’insediamento di Rossi che avrebbe mano libera per trattare con l’opposizione. Le opposizioni, però, al momento sembrano compatte sulla linea evidenziata nel documento dello scorso 6 agosto. Si aspetta rassicurazioni sulla riforma della governance, poi l’apertura di un confronto sui temi centrali per il futuro della tv pubblica, prima di aprire una discussione sulle nomine. 

Grillo contro Conte. Nel M5S c’è aria di spaccatura

Il passaggio più velenoso Beppe Grillo lo ha lasciato nelle ultime righe di un intervento sul suo blog: nel caso in cui si metta mano a “elementi imprescindibili del M5S: il nome, il simbolo e la regola dei due mandati” non potrò che “esercitare i diritti che lo Statuto mi riconosce in qualità di Garante”. Insomma, siccome con la Costituente si potrà discutere di tutto ma proprio di tutto, allora Grillo ha lasciato intendere di essere pronto per le carte bollate. Questo sul piano legale. Sul piano politico, la lettura l’ha fatta l’ex ministro Danilo Toninelli, vicino al garante: “E’ già in corso una rottura. Il Movimento, oggi, è fatto da due partiti e Grillo l’ha palesato”. Mentre il fondatore sembra preparare la battaglia legale, i vertici del Movimento studiano il contrattacco: sui valori fondamentali del M5S e sulla interpretazione autentica dello statuto, il garante può al massimo esercitare una “moral suasion”, ha spiegato il parlamentare Alfonso Colucci, coordinatore dell’area legale del M5S. E poi, ha aggiunto, con accordi “contrattuali con il M5S coperti da riservatezza, Grillo ha espressamente rinunciato ad ogni contestazione relativa all’utilizzo del simbolo come modificato e come in futuro modificabile”. 

Ma non è solo una questione di tribunali. Per Grillo “Ormai è chiaro come il sole che a ottobre vi troverete davanti a un bivio, costretti a scegliere tra due visioni opposte di cosa debba essere il M5S. La prima è di una politica che nasce dal basso, e non da politici di professione, la seconda è quella di Giuseppe Conte. Ad oggi non mi sembra si stia compiendo un’opera di rinnovamento, ma un’opera di abbattimento”. Parole che nella sede del M5S sono state lette con una certa sorpresa, vista l’evocazione della spaccatura proprio mentre si sta per concludere la prima fase della costituente, un momento di partecipazione, con 15 mila contributi. Ad ogni modo da Campo Marzio ricordano che il primo obiettivo è “tutelare l’unità della comunità”. 

Il fondatore ha trascorso la due-giorni romana nel suo solito albergo, in zona Fori Imperiali. Chi ha presidiato l’ingresso non ha notato un particolare via vai. Unico volto riconosciuto, quello dell’ex senatore Elio Lannutti, espulso dal M5S nel 2021: “Ho trovato Grillo in forma, con Beppe siamo d’accordo”, si è limitato a commentare uscendo dall’incontro. Di sicuro Grillo non ha visto Conte. Per il resto, il programma e gli obiettivi del soggiorno nella Capitale del garante non sono stati diffusi, anche se il clima è parso molto diverso da quello del passato, quando all’albergo c’era il pellegrinaggio di parlamentari e vertici del Movimento per faccia a faccia, summit collettivi, indicazioni sulla strategia e qualche rimprovero mascherato con l’umorismo. Le prossime settimane ci diranno se la scontro interno tra Grillo e Conte si ricompatterà, per ora l’impressione è che lo scontro sia molto forte e difficilmente sanabile senza un reale chiarimento fra i due leader.

Renzi incalza Schlein e la riconosce come unica guida del centrosinistra 

Matteo Renzi torna a Roma e rilancia Italia Viva come ala riformista e blairiana nel centrosinistra. Ma a condizioni chiare, e senza nessuna abiura sul passato. Il leader di Iv ripete una sorta di aut aut lanciato già nei giorni scorsi ai dem. “Vogliamo dialogare con il Pd e con Elly Schlein, dopodiché, non è che ce l’ha ordinato il dottore. Se prevalgono i veti, che scelga Conte o scelga Grillo, vuol dire che il centrosinistra non è governato dal Pd ma dal M5S”. Pressing che Iv tiene alto sulla segretaria dem, che viene riconosciuta come unica guida del centrosinistra nel tentativo di marginalizzare il ruolo pentastellato nella coalizione. Per Renzi “Se vince la linea Schlein andiamo a fare l’analisi dei contenuti. Se vince la linea Travaglio, noi ci facciamo la nostra bella lista riformista”. E se la strada per l’accordo in Liguria pare ancora in salita, sorge un caso sul posizionamento di Iv nelle elezioni provinciali di Matera. Poco prima che Renzi salga sul palco del Tempio di Adriano, da Matera arriva il comunicato di FdI che lancia la candidatura alla provincia di Matera di Arturo De Filippo

In calce, ci sono le firme dei cinque segretari provinciali dei partiti che già governano la Lucania: FdI, Fi, Lega, Azione e IV. Nella nota congiunta si specifica che “i partiti si presenteranno uniti e coesi alle prossime elezioni”. Entrando all’evento-intervista, però, Renzi dice di non saperne nulla. Iv con il centrodestra a Matera? “Non mi risulta”, risponde ai cronisti. In serata arriva la smentita della coordinatrice nazionale del partito Raffaella Paita. “Non c’è nessun accordo di Iv con la destra per le provinciali a Matera”, afferma. Insomma, dai vertici nazionali la scelta locale viene vista come una fuga in avanti. Renzi sul palco, rimanendo in tema di test per il campo largo al livello amministrativo, non le manda a dire al candidato in pectore del campo largo in Liguria Andrea Orlando. Critica l’accostamento fatto dal dem tra neoliberismo e Blair. “Blair ha fatto vincere il centrosinistra, con i veti sui riformisti si perde. Se al Pd piace perdere, ognuno per fatti suoi”.

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