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La giornata parlamentare: Tensione al Parlamento Ue dopo gli attacchi a Orban. Fdi e Lega lo difendono

VIKTOR ORBAN PRIMO MINISTRO UNGHERESE

La Lega apre a Truzzu in Sardegna. Tensione con FI sulla Basilicata

La Lega spiana la strada alla candidatura di Paolo Truzzu in Sardegna e punta ora sulla Basilicata. Dopo settimane di tensioni tra FdI e Carroccio, si va verso il passo indietro del governatore uscente, Christian Solinas coinvolto in un’indagine per corruzione. Oggi il Partito sardo d’Azione si riunirà a Oristano e deciderà il da farsi, anche perché il tempo stringe e le liste sull’isola dovranno essere presentate entro lunedì. Matteo Salvini sostiene che “un sindaco e un governatore uscenti, se hanno ben lavorato, debbano essere ricandidati”, ma “per me l’unità del centrodestra, la coalizione unita che hanno scelto gli italiani viene prima di logiche di partito personali e, quindi, decideremo tutti insieme”; un via libera implicito, insomma, al sindaco di Cagliari di FdI. Intanto è partito il pressing su FI sulle regionali in Basilicata, governata attualmente dall’azzurro Vito Bardi. Il vicesegretario del partito di via Bellerio, Andrea Crippa, parla chiaro: “La Lega in Sardegna ha fatto uno sforzo per fare in modo che il centrodestra andasse unito, ed è uno sforzo per noi importante perché continuiamo a pensare e a credere che la squadra di Solinas abbia governato bene in questi 5 anni. E credo che adesso ci sia un altro partito che dovrebbe fare lo stesso sforzo; se vale la regola che contano le percentuali dei partiti, in questo momento la Lega è in credito”. 

FI per ora non cede: un passo indietro di Bardi “non esiste. Già il segretario Antonio Tajani ha detto che non è in discussione. Poi gli accordi li prenderanno i vertici. Ma non esiste”, dice a chiare lettere il capogruppo azzurro alla Camera Paolo Barelli. Il rebus delle regionali, quindi, si risolve da un lato ma resta irrisolto su un altro fronte. Nessun vertice fra i leader per il momento e Giorgia Meloni avrebbe sentito separatamente Tajani e Salvini. Ancora aperto, invece, il dossier sul terzo mandato su cui la Lega non ha alcuna intenzione di cedere. Salvini porta anche l’esempio del Veneto a guida Luca Zaia e segnala: “Sul terzo mandato è una questione di democrazia, di libertà e di buonsenso. Se uno ha un sindaco bravo o ha un governatore bravo perché, dopo due mandati deve mandarlo a casa? Non c’è il limite dei mandati per i parlamentari e per i Ministri. Per legge mettere un limite alla possibilità dei cittadini di scegliere un sindaco o un governatore è sbagliato. La Lega su questo non cambierà mai idea”. 

Tensione al Parlamento Ue dopo gli attacchi a Orban. Fdi e Lega lo difendono

Un attacco frontale a Viktor Orban in vista del Consiglio europeo ma anche un segnale politico a Ursula von der Leyen: sui fondi europei all’Ungheria la Commissione non deve cedere ai ricatti dell’uomo forte di Budapest. L’Eurocamera, prima in un report sullo stato di diritto poi con una risoluzione non vincolante sulla questione dei fondi Ue congelati, ha mandato un chiaro avvertimento: l’eventualità di sbloccare i finanziamenti a ridosso del vertice dei 27 non deve ripetersi. Nella risoluzione, approvata con 345 voti a favore, 104 contrari e 29 astenuti, il Pe non si è limitato a condannare gli “gli sforzi sistematici del governo ungherese per minare i valori fondanti dell’Ue” e a “deplorare la mancata applicazione da parte del Consiglio Ue della procedura dell’articolo 7 dei Trattati” (ovvero la sospensione dei diritti di adesione all’Ue), ma ha anche evocato una causa presso la Corte di Giustizia europea contro lo sblocco dei 10 miliardi avvenuto a dicembre. A nulla è servita la difesa di Ursula von der Leyen che, mercoledì in Aula, ha assicurato come quei soldi siano stati scongelati perché Budapest aveva soddisfatto i criteri richiesti: il Pe “esaminerà la possibilità di intraprendere un’azione legale per rovesciare la decisione”, è stato messo per iscritto nella risoluzione. 

Lo scenario di fondo resta il vertice del 1° febbraio sulla revisione del bilancio comune, che prevede un’assistenza finanziaria da 50 miliardi in 4 anni per l’Ucraina. Il sì dell’Ungheria è più che mai lontano e una soluzione a 26 appare ormai come l’unica via d’uscita possibile. “Gli eurodeputati vogliono dare soldi all’Ucraina per 4 anni, mentre mancano solo 5 mesi alle Europee. In sostanza, vogliono privare i cittadini del diritto di decidere del proprio futuro. Che posizione antidemocratica!”, ha tuonato Viktor Orban. E questa volta, con la sua maggioranza in ebollizione, i margini di manovra per Von der Leyen sembrano più stretti. A difendere Orban sono stati FdI e Lega, in linea con i loro gruppi di appartenenza, Ecr e Id. Il capodelegazione di Fdi Carlo Fidanza è netto: “Non sempre abbiamo condiviso le posizioni ungheresi in politica estera ma questo accanimento della sinistra è stucchevole, a maggior ragione se paragonato al vergognoso silenzio di fronte alle gravi violazioni dello stato di diritto in corso in Spagna e Polonia”. Il tema, certamente, sarà uno dei principali della campagna per le Europee, anche perché dal primo luglio sarà l’Ungheria a prendere la presidenza di turno. E, sul tema dei diritti, i Socialisti stanno già preparando la trincea, pronti a puntare il dito contro il Ppe per il suo avvicinamento alle destre. Nel frattempo, S&d ha nominato il suo Spitzenkandiadt, ovvero il candidato alla presidenza della Commissione, il lussemburghese Nicolas Schmit, l’uomo del salario minimo nella squadra dell’esecutivo europeo, e i principali partiti del Pse, incluso il Pd, lo sostengono.

Il Governo potrebbe decidere di cedere fino al 4% di Eni

Dopo Fs e Poste c’è anche Eni tra gli osservati speciali per il piano di privatizzazioni del Governo. Il Mef non commenta, ma è certo che l’incasso stimato aggiungerebbe un tassello utile nell’ambizioso piano di vendere ai privati fino all’1% del Pil, pari a circa 20 miliardi, in un orizzonte pluriennale. Il progetto del Governo è di vendere fino al 4% di Eni dopo che la compagnia petrolifera avrà completato il piano di buyback da 2,2 miliardi, in scadenza ad aprile, così da poter incassare circa 2 miliardi e ridurre il debito. Dal Mef, che è oggi azionista di controllo della società con una quota del 32,4%, arriva un no comment ma i rumors bastano a portare il titolo del Cane a Sei Zampe sulle montagne russe in Borsa, dove chiude poco mosso a -0,3%. Certo è che il tema delle privatizzazioni è in cima alle priorità del Mef e il Ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti ne ha parlato proprio con gli investitori istituzionali al forum di Davos: “Le operazioni che abbiamo avviato, dal Monte dei Paschi a operazioni anche molto complesse come la Netco di Tim, hanno registrato ampia soddisfazione”, così come “molto interessati” si sono detti anche del piano di privatizzazioni. “Questi sono i primi step di un piano che noi confermiamo molto ambizioso, ma come ho ribadito più volte ai nostri interlocutori, dalla nostra abbiamo un Governo stabile, una maggioranza forte che probabilmente è un unicum in Europa”. Eni era stata al centro di rumors già a novembre. Se le voci troveranno riscontro lo diranno le prossime settimane. 

Nella mappa delle possibili privatizzazioni ci sono poi Fs e Poste, citate qualche settimana fa dalla stessa premier Giorgia Meloni nella conferenza d’inizio anno: per Poste, che a dicembre è stata oggetto d’indiscrezioni che parlavano di un processo di privatizzazione già in corso ma prontamente smentito dal Mef, si punta a ridurre la quota senza ridurre il controllo pubblico; mentre per Fs l’idea è di aprire il capitale a privati con quote minoritarie. E invece partita e si punta a chiudere entro l’anno la privatizzazione di Mps: l’uscita del Tesoro è iniziata a novembre con la vendita del 25% per 920 milioni e il Ministro Giancarlo Giorgetti si è già detto fiducioso.

Meloni e Bill Gates si sono confrontati sull’intelligenza artificiale

Giovedì la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha incontrato Bill Gates a Palazzo Chigi. Al centro dell’incontro, durato oltre un’ora, c’era la necessità condivisa di “governare i cambiamenti futuri” dell’intelligenza artificiale. La premier nel ruolo di capo di Governo che ha messo il tema in cima all’agenda del G7 italiano e da mesi sottolinea l’esigenza di una disciplina globale dei sistemi informatici in grado di simulare il pensiero umano. Il magnate vede nel 2024 un “punto si svolta”, dall’osservatorio privilegiato di fondatore di Microsoft, il colosso che ha investito 13 miliardi di dollari in OpenAI cui fa capo la popolare ChatGPT. Gates è in arrivo dal Forum economico mondiale di Davos, dove si è imposta la discussione sul potenziale impatto dell’IA sulle elezioni che nel 2024 a livello globale coinvolgeranno 4 miliardi di persone. OpenAI ha già annunciato che non consentirà di usare la sua tecnologia per generare testi e immagini per campagne elettorali. 

Il timore di operazioni di disinformazioni di massa è diffuso, al pari di quello dell’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro. Giorgia Meloni ha sottolineato quest’ultimo pericolo in varie occasioni, nel lungo ciclo di incontri cominciato con il suo discorso all’Onu e poi proseguito al G20, al vertice internazionale di Londra organizzato da Rishi Sunak e nel confronto con Elon Musk. Per la premier servono “meccanismi di governance multilaterali per garantire barriere etiche all’AI”, che rappresenta “la più grande sfida intellettuale, pratica e antropologica di quest’epoca”, con rischi che vanno dalla vita privata alla produzione di armi. Concetti la cui sostanza sarebbe stata ribadita a Gates nell’incontro cui ha preso parte anche padre Paolo Benanti, nuovo presidente della commissione AI per il Dipartimento informazione ed editoria, in dialogo esteso anche alle priorità sanitarie globali, alle tecnologie verdi innovative e alla centralità dell’Africa per la presidenza italiana del G7. 

Conte parla davanti al Giurì d’onore sul caso Mes: voglio giustizia

Un’ora e mezza di audizione davanti al Giurì d’onore per chiedere “giustizia” dopo le accuse rivolte dalla premier Giorgia Meloni nei suoi confronti sul Mes. All’appuntamento con la Commissione d’indagine presieduta da Giorgio Mulè, che oggi alle 12.00 ascolterà la presidente del Consiglio, il leader del M5S Giuseppe Conte si è presentato portando con sé un corposo dossier per smontare la tesi della Meloni in occasione delle comunicazioni al Parlamento rese a metà dicembre sul Consiglio Ue. Nell’Aula della Camera e in quella del Senato Meloni dichiarò che il Governo Conte si era impegnato alla ratifica del trattato del Mes “quando era in carica solo per gli affari correnti, senza mandato parlamentare, con il favore delle tenebre”. Ricostruzione subito negata dall’ex premier e ora contestata. “L’attività presso il Giurì d’onore è secretata, quindi le dichiarazioni rilasciate rimangono segrete da parte mia” ha spiegato Conte al termine dell’audizione. “Però ho chiesto l’attivazione di questo giurì d’onore perché ritengo che sia un istituto parlamentare di salvaguardia in ipotesi estreme in cui ci siano dichiarazioni false e menzognere che oggettivamente offendono l’onore e la reputazione non solo mio personale ma anche del mio Governo rispetto a tutta l’attività di confronto trasparente, puntuale, fatto con il Parlamento quindi con tutti i cittadini”. 

“Mi rimetto ovviamente alle valutazioni che faranno i colleghi deputati, verso i quali ho pieno rispetto e piena fiducia” ha quindi aggiunto riferendosi al presidente Mulè e al resto dei membri della commissione (Fabrizio Cecchetti per la Lega, Alessandro Colucci per Nm, Stefano Vaccari del Pd e Filiberto Zaratti di Avs) che dovrà riferire alla Camera entro il 9 febbraio. Secondo quanto si apprende, con l’ausilio della memoria preparata e illustrata nell’audizione al Giurì Conte ha ripercorso l’iter parlamentare del dossier sul Mes mostrando di non aver agito “con il favore delle tenebre”. Questo perché da presidente del Consiglio è passato alle Camere 14 volte, tra comunicazioni e informative urgenti, sul tema del Mes e del procedimento di rafforzamento dell’unione bancaria e monetaria; e il numero lievita tra 30 e 40 se si considerano anche le audizioni in commissione e in Aula fatte dai Ministri competenti, prima Giovanni Tria e poi Roberto Gualtieri. E all’interno di tutti questi passaggi, viene fatto notare, la Giorgia Meloni era presente. 

Il Pd si riunisce a Gubbio. Primi contatti per il confronto Tv tra Meloni-Schlein

La notizia che giovedì sono state avviate le interlocuzioni tra i rispettivi staff per il confronto Tv in vista delle elezioni europee tra la premier Giorgia Meloni e la segretaria del Pd Elly Schlein arriva mentre ha preso il via il conclave, a porte chiuse, dei deputati Dem nel Park hotel ai Cappuccini Gubbio. Un momento per “fare squadra e per confrontarci”, ha spiegato la capogruppo Chiara Braga, che si ferma il tempo di una battuta con i giornalisti: “Se lo facesse anche il Governo forse farebbe meno fesserie e capirebbe meglio il mondo che abbiamo davanti, il Paese reale”. Ma la domanda che continua a rimbalzare, in vista delle elezioni europee, è se Elly Schlein si candiderà o meno. Lei non ha sciolto la riserva e sul punto il silenzio è massimo. Certamente peserà anche la decisione della premier Giorgia Meloni sulla sua candidatura come capolista di FdI. Chissà se Schlein scioglierà la riserva il 27 gennaio quando sarà a Cassino, per il Giorno della Memoria, prima tappa della campagna elettorale. 

Sulla decisione della Schlein, Matteo Orfini non risponde e sulla decisione di riunirsi a Gubbio rimarca: “Si poteva fare anche a Montecitorio ma quello non è un clima che consente il dialogo, lo spirito di gruppo e lo stare insieme è sempre utile”. Ieri, in un’intervista Andrea Orlando l’ha sollecitata: “I pro e i contro sono ormai chiari”, dunque, “decida”. E sempre di giovedì è la lettera di un nutrito gruppo di donne del partito, tra cui le senatrici Valeria Valente e Simona Malpezzi, che hanno evidenziato le “molteplici conseguenze negative” che l’ipotesi avrebbe sulle “candidature femminili e sull’immagine complessiva del Pd”. Due i panel della giornata di oggi: “Dove va il mondo. Tra guerre e pace, l’Europa di Ventotene” e “La destra al potere: tra propaganda e sogni di egemonia”. Domani la terza sessione “Un patto tra generi e generazioni, un’altra idea di futuro” con il commissario Ue al Lavoro e ai Diritti sociali Nicolas Schmit. La segretaria è attesa questa mattina e parlerà alle 11.30, ma ha già in programma di rimontare in macchina per andare a Cantiano, nelle Marche, dove alle 12.30 incontrerà il sindaco del Paese colpito dall’alluvione del 2022. Dei 69 deputati del gruppo a Montecitorio, ne mancano circa una decina, “tutti giustificati per impegni istituzionali o parlamentari” assicurano dal gruppo: Enrico Letta è all’estero e Stefano Vaccari impegnato con il gran Giurì della Camera sullo scontro Meloni-Conte in merito al Mes; tra gli assenti l’ex Ministro Lorenzo Guerini, l’ex Ministra Paola De Micheli e Chiara Gribaudo

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