Meloni è soddisfatta del vertice nato, apre a Ursula e bacchetta Salvini
“Soddisfazione” per il summit Nato, apertura sull’Ursula bis ma anche a forme di collaborazione con i Patrioti e bacchettata a Matteo Salvini sull’Ucraina. Sono alcuni dei temi della conferenza stampa di Giorgia Meloni al termine del vertice dell’Alleanza, segnato da vari bilaterali (Ergodan, Starmer, Duda) e suggellato dall’incontro con Volodymyr Zelensky. La premier si è detta “soddisfatta” del summit e in particolare dell’inviato speciale per il fianco sud dell’Alleanza, che l’Italia aveva sollecitato e per il quale “intende presentare la sua candidatura”, discussa anche con Joe Biden. La bacchettata al leader Matteo Salvini è arrivata quando ha risposto sull’opportunità di togliere i limiti all’uso delle armi occidentali a Kiev per colpire in Russia: “Noi in Ucraina ci siamo concentrati sui sistemi di difesa aerea, che è il modo migliore per difendere una nazione aggredita. Lo dico anche a chi da varie parti dice che se si continuano a inviare armi all’Ucraina si alimenta la guerra. Dipende anche da che cosa s’invia perché, se noi non avessimo mandato i sistemi di difesa antiaerea i missili sarebbero partiti ugualmente, colpendo molta più gente, come abbiamo visto qualche giorno fa all’ospedale di Kiev”.
La premier ha poi negato che il leader della Lega sia un problema politico per la sua posizione sul conflitto rivendicando in qualche modo di aver garantito la linea: “La maggioranza è sempre stata molto compatta su questa materia, lo dimostra una linea italiana che è chiarissima in tutto il mondo”. Meloni ha anche aperto su Von der Layen, legando il suo voto al risultato che l’Italia deve ottenere “per il suo peso” e a quello che la presidente della commissione uscente dirà a Ecr, il gruppo conservatore europeo presieduto dalla stessa Meloni: “Come Presidente del Consiglio italiano il mio obiettivo unico obiettivo è portare a casa per l’Italia il massimo risultato possibile. Come presidente di Ecr, Von der Leyen incontrerà il nostro gruppo e a valle di quello che lei dirà chiaramente dialogheremo con le altre delegazioni e decideremo che cosa fare”. La premier ha ridimensionato anche le distanze politiche con gruppi di destra che in Europa hanno aderito ai Patrioti di Viktor Orban e Marine Le Pen.
Sul viaggio di Orban a Mosca e Pechino senza un mandato europeo ha chiarito: “Se fossero iniziative che possono portare qualche spiraglio di pace e di diplomazia non ci vedrei niente di male, direi ben venga. Ma se il giorno dopo si ottiene che un ospedale viene bombardato a me pare che questo dimostri purtroppo che non c’è alcuna volontà di dialogo da parte della Russia di Putin”. E sul viaggio di Orban a Mar-a-Lago da Donald Trump ha ribadito “I leader politici hanno diritto a incontrare altri leader politici”. Su Biden ha detto: “Se l’ho visto lucido? l’ho visto bene, mi ha fatto una bella impressione come presidente degli Stati Uniti d’America. Insomma, di una persona che sta lavorando, che ha organizzato un ottimo vertice”, ma poi precisa di non voler fare “ingerenze straniere” come quelle che ha subito nel voto italiano”.
La maggioranza punta all’Agricoltura ma la strada è in salita per Meloni
Tra lunedì e martedì Giorgia Meloni dovrebbe avere un confronto con Ursula von der Leyen. Si annuncia un passaggio cruciale nella trattativa per la nuova Commissione Ue, che dal punto di vista italiano si sta rivelando in salita. La premier punterà sulla necessità che l’Italia sia rispettata, che le sia riconosciuto il ruolo che le spetta, rassicurazioni che finora non sono pienamente arrivate. In attesa che la leader di FdI rientri dagli Usa, per ora i suoi europarlamentari non sono collocabili fra quelli pronti a votare a favore della conferma di von der Leyen il 18 luglio. Manca però una settimana, e nelle prossime ore entrerà nel vivo la trattativa sull’asse Roma-Bruxelles.
Il negoziato ha esiti ancora non prevedibili. Gli obiettivi di Palazzo Chigi sono un Commissario con deleghe di peso e una vicepresidenza esecutiva; il secondo è considerato ancor più complesso del primo. Nel Governo si ragiona anche sul portafoglio Agricoltura, che amministra fondi cruciali, ma c’è chi ammette il rischio di un compromesso finale al ribasso. Meloni ha già individuato in Raffaele Fitto l’uomo di fiducia da inviare a Bruxelles, anche se all’interno di FdI non manca chi continua a dubitare sull’opportunità di privarsi di un ministro chiave, responsabile di uno dei dossier più delicati per il governo, il Pnrr.
Il primo passo, comunque, è individuare la casella della Commissione destinata all’Italia, un elemento che dovrebbe essere definito dopo il voto di giovedì prossimo al Parlamento Ue. Il Commissario proposto, oltre che il programma su cui von der Leyen intende impostare la legislatura (in particolare sui dossier green deal e immigrazione), misureranno la distanza fra Meloni e la tedesca. Che sia a favore o contro, a quanto assicurano i meloniani, la premier sarebbe intenzionata a rivendicare in ogni caso il voto dei suoi europarlamentari. E si muoverà, assicurano, “solo ed esclusivamente in base all’interesse dell’Italia, non certo in base agli affondi di Salvini”, che dopo le Europee a più riprese ha espresso la contrarietà della Lega a “ogni inciucio” e al bis di von der Leyen. La tensione fra alleati è da qualche tempo a livelli significativi e a breve è atteso in maggioranza anche un confronto ad ampio raggio.
In Ue c’è l’accordo tra i gruppi sulle presidenze delle Commissioni
Un accordo politico di massima, raggiunto oggi fra i gruppi politici del Parlamento europeo, ha stabilito a quali gruppi verranno assegnate le presidenze e vicepresidenze delle Commissioni parlamentari, tenendo conto dei nuovi equilibri tra i numeri di seggi determinati dalle elezioni di giugno e della chiave di ripartizione delle cariche basata sul “metodo D’Hondt”. Le assegnazioni delle cariche dovranno comunque essere confermate dai voti nelle diverse Commissioni, la settimana successiva alla prima plenaria di Strasburgo che inizia martedì prossimo. Inoltre, sono state cambiate le attribuzioni di quattro presidenze rispetto alla bozza iniziale; innanzitutto, per evitare che l’Ecr avesse la presidenza della commissione Libe (Libertà pubbliche) che si occupa di controllo dello stato di diritto e delle politiche migratorie, il Ppe ha offerto uno scambio: ha ceduto all’Ecr la presidenza dell’ambitissima commissione Agri (Agricoltura) e questa ha accettato lo scambio, visto il valore della contropartita in termini di visibilità e riferimento alla base elettorale. La seconda modifica riguarda le commissioni Trans (Trasporti e Turismo) e Cult (Cultura e istruzione), che teoricamente erano destinate al nuovo gruppo di estrema destra dei “Patrioti”. In applicazione del cosiddetto “cordone sanitario” contro i partiti anti europei e della destra estrema, le presidenze di queste due Commissioni saranno assegnate ad altri gruppi, ancora da decidere.
L’accordo prevede che il Ppe (188 seggi) abbia la presidenza della commissione Itre (Industria, Ricerca ed Energia), della Libe(invece della Agri), e poi di Afet (Affari esteri), Afco (Affari costituzionali), Pech (Pesca), Cont (Controllo di bilancio) e della sottocommissione Sant (Sanità). Il gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D, 136 seggi) avrà la presidenza della Commissione Econ (Affari economici e monetari), della Envi (Ambiente), che dovrebbe invece andare a un europarlamentare italiano, della Inta (Commercio internazionale), e poi di Regi (Politica regionale) e Femm (Diritti delle donne e Uguaglianza di genere). All’Ecr, diventato terzo gruppo per numero di seggi (78) andranno le presidenze della Commissione Agri (Agricoltura), della e Budget (Bilancio Ue) e della Peti (Petizioni). A Liberali di Renew (77 seggi) saranno assegnate le presidenze delle Commissioni Juri(giuridica) e Deve (Sviluppo) e della sottocommissione Sede (Sicurezza e Difesa). I Verdi (53 seggi) avranno le presidenze della Commissione Imco (Mercato interno e Consumatori) e della sottocommissione Droi (Diritti umani). Alla Sinistra (The Left, 46 seggi, compresi gli otto del M5S) verranno assegnate infine la presidenza della Commissione Empl (Lavoro e Affari sociali) e quella della sottocommissione Fisc (Materie fiscali).
È ufficiale: Malpensa sarà intitolata a Berlusconi. L’opposizione insorge
L’aeroporto milanese di Malpensa è ufficialmente intitolato a Silvio Berlusconi. Con un’ordinanza di Enac a effetto immediato, lo scalo ha acquisito il nome del fondatore di Fi ed ex premier. L’annuncio è arrivato con una nota del ministero dei Trasporti guidato dal segretario della Lega Matteo Salvini che ha espresso “grande soddisfazione”. Dure le opposizioni: per il M5S “Il governo Meloni restaura perentoriamente la repubblica delle banane. Se frodi il fisco e vieni condannato in via definitiva, una volta passato a miglior vita ti intitolano persino un aeroporto internazionale”. Ha festeggiato il centrodestra, ovviamente FI: “Dobbiamo esserne tutti orgogliosi” e anche FdI: “È il giusto riconoscimento nei confronti di uno dei protagonisti della storia della nostra Nazione”, ha commentato il viceministro ai Trasporti Galeazzo Bignami. Maurizio Lupi non ha nascosto i dubbi: “Siamo fieri di questo riconoscimento a un uomo che per tanti anni ha servito le istituzioni del nostro Paese. Rimane qualche perplessità sul modo in cui si è arrivati a questa decisione che, secondo noi, andava costruita con un percorso più condiviso”.
La proposta di intitolare lo scalo a Berlusconi aveva fatto parlare il sindaco di Milano Giuseppe Sala di “tempi barbari. È pazzesco che una decisione del genere venga presa da un presidente di Enac” senza confrontarsi con Sea, la società che gestisce gli aeroporti milanesi partecipata dal Comune. Il Pd ha già presentato un’interrogazione che chiede al Governo di chiarire quale sia stata la procedura, visto che la legge “richiede un periodo di 10 anni dalla morte della persona prima di intitolare un luogo pubblico”. Amaro Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi e deputato di Avs: l’intitolazione dello scalo al cavaliere è “una scelta che farà ridere il mondo, una scelta arrogante di chi pensa di comandare l’Italia imponendo con la forza un nome che invece divide il Paese”. Per Azione è stata “un’operazione insensata”. Il senatore di Iv Ivan Scalfarotto ha chiesto a Forza Italia di togliere “il nome del suo fondatore dal simbolo del partito. Perché o si è parte del patrimonio di un intero Paese o si è campioni di una parte sola”.
Giorgetti è per la revisione dei tempi del Pnrr. Critiche le opposizioni
Passato il voto europeo il Governo torna sul Pnrr e sulla necessità di una scadenza meno rigida. A parlare è il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che, lasciando l’assemblea generale di Unione Vini, la mette così: sulla richiesta, non solo italiana, di far slittare la scadenza posta dalla Commissione europea al 2026 “hanno già detto di no. Ne riparliamo fra un anno, vedremo”. Da fonti Ue trapela che una proroga ad oggi non è sul tavolo, ma potrebbe prendere slancio, appunto, l’anno prossimo. Solo lo scorso aprile Giorgetti puntava sulle elezioni europee e sulla nuova Commissione per sbloccare il dossier proroga: se l’attuale Commissione europea uscente non lo ha capito, la prossima “forse valuterà diversamente”. Ora, con la precedente maggioranza europea che ha retto nell’Europarlamento, il Ministro sembra fiducioso che sarà l’avvicinarsi del 2026 a far uscire allo scoperto altri Paesi, oltre all’Italia e la Polonia che hanno chiesto apertamente uno slittamento.
“Sarebbe più realistica una determinazione delle tempistiche che sia utile per i Paesi, per le imprese e per l’Europa stessa”, dice Giorgetti. Se, ad oggi, le fonti Ue confermano la necessità di un’attuazione puntuale del Pnrr col termine ultimo del 2026 previsto dal regolamento del Recovery (scadenza “fissa” aveva risposto il Commissario all’Economia Paolo Gentiloni al pressing italiano), un confronto potrebbe esserci l’anno prossimo quando si apriranno i negoziati per il bilancio comune 2028-2035; non una chiusura netta, dunque. Potrebbe avere un peso il ruolo che assumerà FdI rispetto alla ricerca di una maggioranza da parte di Ursula Von Der Leyen. Forse non è un caso che proprio Giorgetti, assieme a una crescita “perfettamente in linea” con le stime del Governo e con un obiettivo di “pareggio del saldo primario” nel solco di obiettivi “realistici e sostenibili”, rivendichi un ruolo “determinante” in Ue per l’Italia, grazie a un governo “paradossalmente fra i più stabili, sicuramente il più stabile fra i grandi Paesi”.
Resta il fatto che il riaffiorare del tema dopo le elezioni ridà fiato all’opposizione: “La richiesta del Ministro Giorgetti di rivedere le scadenze del Pnrr è un’ammissione ufficiale di ciò che tanti dicono ufficiosamente: l’Italia è in ritardo e, nonostante la revisione del Piano, non rispetterà la tempistica prevista. Con tanti saluti ai proclami trionfalistici della premier Meloni e del suo collega Fitto”, scrive sui social il senatore Antonio Misiani, responsabile economico del Pd. Immediata la replica del Ministro Matteo Salvini: “Abbiamo 39 miliardi da mettere a terra e conto che li spenderemo tutti e li spenderemo bene. Il problema del Pnrr non è spenderli tutti ma spenderli bene e fruttuosamente perché sono soldi a debito che poi i nostri figli dovranno restituire”.