L’Italia rallenta e si fa strada l’ipotesi di una manovra correttiva
L’economia italiana rallenta rispetto alle previsioni. Dopo che anche la Commissione Ue ha limato le proprie stime, portandole ai livelli degli altri principali istituti, gli obiettivi della Nadef appaiono ormai superati. Il dossier è già sul tavolo del Governo, che deve anche fare i conti con i paletti e gli effetti del nuovo Patto Ue. E un Pil più basso complica le cose non solo per il percorso di rientro del debito, che a dicembre torna a rialzare la testa, ma soprattutto per il deficit. Per il Mef la situazione è sotto controllo e per ora non si ritiene necessaria una manovra aggiuntiva. Le nuove stime di Bruxelles abbassano l’asticella della crescita italiana 2024, portandola allo 0,7% (dallo 0,9% indicato a novembre), mentre per il prossimo anno è confermato un +1,2%. L’Ue si allinea dunque alle recenti previsioni dei principali istituti: il Fmi prevede un +0,7% quest’anno e +1,1% il prossimo; l’Ocse +0,7% nel 2024 e +1,2% nel 2025; l’Upb, che proprio la scorsa settimana ha rivisto al ribasso le proprie previsioni, stima +0,8% quest’anno e +1,1% il prossimo. Ben più ottimistici sono invece gli obiettivi indicati a fine settembre dal governo nella Nadef: +1,2% nel 2024 e +1,4% nel 2025.
Negli ultimi mesi però l’aggravarsi dello scenario geopolitico internazionale ha complicato il quadro. Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che già a novembre apriva alla possibilità di “correggere al ribasso” la stima sul Pil 2023 (+0,8%), un mese fa a Davos faceva capire che anche il 2024 traballa: “Se scoppia una guerra al mese sarà difficile” raddoppiare la stima di crescita. Sarà il Def ad aprile a mettere nero su bianco le nuove previsioni, che terranno conto degli ultimi dati aggiornati dell’Istat, che il primo marzo diffonderà il dato definitivo sul Pil 2023. Intanto il debito riprende il proprio percorso di crescita: a fine dicembre 2023, secondo i dati della Banca d’Italia, è salito a 2.862,8 miliardi, ben 105,3 miliardi in più rispetto all’ammontare del 2022. Bruxelles deciderà a fine giugno sull’avvio delle procedure per deficit eccessivo se non venisse fatta una manovra correttiva; il Commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni è cauto: “Non è mai modo di agire della Commissione parlare di manovre correttive tanto meno di fronte a cambiamenti dello zero virgola”. Le previsioni italiane sono “largamente nella media Ue” e si può archiviare l’idea che il nostro Paese sia fanalino di coda; si può dunque avere fiducia in una “ripresa”, assicura, per la quale “molto importanti” saranno le riforme e gli investimenti del Pnrr.
Il terzo mandato agita la maggioranza. La Lega non cede
È ancora tensione tra Lega e FdI sul terzo mandato per i governatori. È il Ministro Luca Ciriani a smontare l’urgenza del tema e, con riferimento al Veneto, storica roccaforte leghista tallonata dai meloniani e al voto nel 2025, precisa: “Senza peccare di modestia, noi vogliamo giocare tutte le partite. Per Zaia, che è stato un ottimo governatore, sarebbe il quarto mandato. L’alternanza potrebbe essere possibile”, dice, aggiungendo: “Nessuno è eterno, neanche Zaia”. Immediata la replica del governatore: “Mi sento un po’ come San Sebastiano con le frecce che arrivano”. Convinto che “l’eternità non è di questo mondo” ma anche sorpreso che “l’unico dibattito di questo Paese sia sul sottoscritto”. Tace Matteo Salvini, concentrato sul ponte sullo Stretto e l’aggiornamento del progetto definitivo, ma anche sulla sfida per le Europee di giugno. E nel question time al Senato, punzecchiando Matteo Renzi che lo interroga, rassicura: “Questa maggioranza arriverà alla fine del suo mandato, nel 2027, coesa e compatta, al di là di quello che scrive qualche giornale”.
In ogni caso, il nodo veneto riaccende lo scontro tra alleati. Archiviato apparentemente quello sulla protesta degli agricoltori, il match nella maggioranza si sposta al Senato. Qui l’arma brandita è un emendamento della Lega che chiede di portare da 2 a tre i mandati dei presidenti di Regione. Nei corridoi di Palazzo Madama, al momento, il ritiro non è contemplato, anzi. E nonostante la proposta abbia spiazzato e irritato il resto della maggioranza, anche perché presentata al decreto elezioni all’esame della Commissione Affari costituzionali, Ciriani non nasconde le riserve sullo strumento: “Io non ho pregiudizi ma non mi sembra il caso di decidere di questo tema usando un decreto”. Il rischio è che, messo al voto, l’emendamento venga bocciato da FdI e FI. In ogni caso il round è rimandato a giovedì prossimo: allora la Commissione potrebbe votare l’emendamento sui mandati dei governatori. Giorni preziosi per trovare un accordo, considerando anche che il 21 febbraio Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani saranno insieme a Cagliari per chiudere la campagna elettorale di Paolo Truzzu, candidato di coalizione faticosamente trovato in Sardegna. Quello che è certo è che la Lega sembra non aver nessuna intenzione di fare un passo indietro.
La protesta trattori si sgonfia. FdI punta il dito sull’Ue
La manifestazione degli agricoltori a Roma alla fine si è sgonfiata. Al Circo Massimo, infatti, arrivano 1.500 persone per aderire alla protesta indetta da Cra-Agricoltori traditi, con 10 trattori e 1 minivan che hanno sfilato dal presidio di Cecchina fino alle strade della Capitale. Trecento circa, invece, i partecipanti al presidio in Campidoglio di Altra Agricoltura e Popolo produttivo; lontana la cifra di 5mila stimata da Danilo Calvani e gli altri membri del movimento che da settimane gridano per ottenere dal governo interventi a favore del settore, prendendosela anche con le regole stabilite dall’Ue. Dal palco molti gli interventi dai toni accesi contro il Governo e le associazioni degli agricoltori; più di uno se la prende con Coldiretti che lo scorso mese di ottobre in tre giorni aveva riempito proprio lo spazio del Circo Massimo con circa 2 milioni di persone per il Villaggio con gli stand dei coltivatori diretti. Il Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida però, respinge le accuse. “Abbiamo fatto tutto il possibile per la categoria”, e sulla scelta di ripristinare le esenzioni sull’Irpef agricola rivela di averlo “già proposto quando abbiamo scritto la manovra, ma con senso di responsabilità ho accettato la linea del ministro Giancarlo Giorgetti: non c’erano risorse”.
Lollobrigida ricorda, poi, che questa “non è certo la richiesta principale di chi protesta, la partita vera è europea, in particolare va rivista la Pac. Questo Governo è diventato un modello per gli agricoltori di tutto il continente per le norme sulla carne sintetica, quelle sul carburante agricolo e per le risorse del Pnrr che abbiamo messo in campo”. E sull’Ue insiste: “L’Europa deve tornare ad essere competitiva per garantire la sovranità alimentare e scegliere quale modello produttivo seguire”. Sulle proteste in piazza si apre anche il fronte politico. Per FdI è tutt’altro che un trionfo: “Ai roboanti annunci televisivi si contrappone la realtà dei fatti: come previsto, si rivela un autentico flop la manifestazione contro il Governo organizzata da piccoli gruppi di sobillatori, coadiuvati da militanti politicizzati, che nulla hanno a che fare con il mondo dell’agricoltura e i suoi reali problemi”, commenta il capogruppo alla Camera Tommaso Foti. E rincara la dose: “Doveva esserci un’ondata di trattori pronta a invadere Roma, con al seguito migliaia di persone e invece, anche questo come previsto, solo poche centinaia, comprese nel numero le forze dell’ordine, hanno raggiunto il Circo Massimo. Chiunque ha parlato in questi giorni con gli agricoltori sa bene che il vero problema sono le politiche che l’Ue impone al settore, politiche che l’esecutivo cerca di contrastare in ogni modo”. Sulla stessa lunghezza d’onda è anche FI: per Alessandro Cattaneo, infatti, dall’esecutivo c’è stato un “impegno sincero nell’ascolto” per intavolare un dialogo con chi protesta.
Via libera al progetto del Ponte sullo Stretto. Esulta Salvini
Il Ponte sullo Stretto compie un piccolo passo verso la realtà: il Cda della società Stretto di Messina ha approvato la Relazione di aggiornamento al progetto definitivo. “Confermo che l’intenzione è aprire i cantieri entro l’anno 2024 e aprire al traffico stradale e ferroviario il Ponte nel 2032”, ha detto il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini al question time al Senato, esprimendo la propria soddisfazione per il via libera all’opera. In particolare, la Relazione “ha attestato la rispondenza del progetto definitivo al progetto preliminare”; è stato, fra l’altro, approvato l’aggiornamento della documentazione ambientale, l’analisi costi-benefici, l’aggiornamento del piano degli espropri, il programma di opere anticipate da avviare dopo l’approvazione del progetto definitivo da parte del Cipess. Confermate, quindi, tutte le caratteristiche tecniche dell’opera e dei suoi collegamenti a terra. Il Ponte, il cui costo è salito a 13,5 miliardi dagli 8,5 miliardi del 2011, sarà lungo 3,3 km e sarà progettato per avere una vita di 200 anni. Sarà in grado “di garantire” tempi medi di attraversamento “di circa 15 minuti” per i servizi ferroviari e di “circa 10/13 minuti su gomma”.
Le opere stradali e ferroviarie di collegamento del Ponte al territorio comprendono 40 km di raccordi viari e ferroviari (circa l’80% sviluppati in galleria) che collegheranno, dal lato Calabria, l’autostrada del Mediterraneo (A2) e la stazione di Villa San Giovanni e, dal lato Sicilia, le autostrade Messina-Catania (A18) e Messina-Palermo (A20) nonché la nuova stazione di Messina. Sul fronte occupazionale, per tutta la durata del cantiere (7 anni) si avrà un impatto occupazionale diretto di circa 30.000 unità lavorative per anno cui aggiungere l’impatto occupazionale indiretto e indotto, stimato in 90.000 unità, per un totale di 120.000 unità lavorative generate dell’opera, spiega la società. Per Salvini il Ponte sullo Stretto è un’opera che “porterà sviluppo e crescita non solo in due regioni affamate di infrastrutture e di lavoro ma in tutta Italia”.
La campagna elettorale in Sardegna è al rush finale
Comincia con l’arrivo del leader del M5S Giuseppe Conte il rush prima delle elezioni regionali in Sardegna che dovranno decidere chi tra Alessandra Todde per il campo largo Pd-M5S, Renato Soru per la Coalizione sarda, Paolo Truzzu per il centrodestra o l’outsider Lucia Chessa con Sardegna R-esiste, dovrà guidare l’Isola per i prossimi cinque anni. Test nazionale prima delle Europee, soprattutto per la coalizione guidata da Giorgia Meloni, le consultazioni sarde hanno convinto la premier alla trasferta per chiudere la campagna elettorale mercoledì 21 febbraio alla Fiera di Cagliari insieme ai due leader alleati di Lega e Fi, Matteo Salvini e Antonio Tajani. Ma non solo: da oggi e fino al 25 febbraio sarà quotidiano l’arrivo nell’Isola di Ministri; tra i più presenti proprio il vice premier Salvini, che è già stato in Sardegna tre volte e tornerà ancora prima della chiusura a tre, il prossimo fine settimana, quando è atteso nel Medio Campidano, a Cagliari e Oristano.
Dopo Alfonso Urso (Made in Italy) e Marina Calderone (Lavoro) di Fdi e Giuseppe Valditara (Pubblica istruzione) della Lega, arrivano gli esponenti del governo di Fi, oggi con Gilberto Pichetto Fratin (Ambiente) nella sede di Confindustria a Cagliari ed Elisabetta Alberti Casellati (Riforme) a Sassari. Sabato 17 è la volta di Anna Maria Bernini (Università) a Lula, sede dell’Einstein Telescope, con chiusura a Cagliari, e dopo una settimana sarà il turno di Paolo Zangrillo (Pubblica Amministrazione). Giuseppe Conte, in campo per la Todde, è partito ieri da Sassari per un tour che toccherà i principali centri sardi e terminerà sabato a Cagliari. E sull’eventualità che ci possa essere una chiusura della campagna con la segretaria del Pd Elly Schlein, già volata in Sardegna per due volte, Conte risponde: “Adesso ci ragioniamo, assolutamente. Io sono sempre a disposizione”. In ogni caso le elezioni in Sardegna del 25 febbraio saranno importanti per dare una prima indicazione nazionale sulla tenuta della maggioranza e su quanto costruito dai partiti delle opposizioni.