Il Ppe candida ufficialmente von der Leyen ma è allarme franchi tiratori
Ursula von der Leyen sarà la candidata ufficiale del Ppe alla presidenza della Commissione Ue. A favore dell’ex Ministra tedesca, unica in campo nel Ppe, hanno votato 400 delegati, in 89 si sono espressi contro, mentre 10 sono state le schede nulle o non valide, 92 si erano registrati per la votazione ma hanno preferito marcare visita. Lo scrutinio segreto ha di fatto smascherato lo spettro dei franchi tiratori, rendendo l’investitura di von der Leyen meno sontuosa. Dal palco, nel suo discorso da candidata, la presidente della Commissione ha provato a scaldare i cuori dei delegati facendo ampi riferimenti a suo padre e a un’infanzia trascorsa a pane ed Europa. Ha elencato, uno per uno, i capi di Stato e di Governo in carica che fanno parte del Ppe, sottolineandone ora il sostegno all’Ucraina ora la fermezza nella protezione dei confini. Ha promesso un’Europa “sicura, prospera e democratica”, in linea con il manifesto del Ppe. Ha assicurato che il nuovo Green Deal sarà “pragmatico” e non “ideologico”, tendendo la mano a destre e agricoltori.
Ma von der Leyen è andata oltre, dipingendo una Ue assediata da dittatori, disinformazione, guerre. “Gli amici di Putin diffondono odio. La nostra Europa unita e pacifica non è mai stata così minacciata da nazionalisti, populisti, demagoghi, che siano di destra o di sinistra. I nomi possono essere diversi ma gli obiettivi sono simili. E noi non lo permetteremo”, ha sottolineato, facendo i nomi del Rassemblement Nationale di Marine Le Pen, dei tedeschi di Afd, dei polacchi di Konfederacia. Il copione, del resto, era stato già scritto da Manfred Weber: arrivare a una maggioranza Ursula allargata alle destre non euroscettiche (Fdi su tutte) e ai nuovi partiti agricoli, con il Ppe come volano e un ridimensionamento dei poteri in mano a socialisti e liberali. La presidente della Commissione è stata applaudita dalla platea in piedi, ma lo scrutinio ha raccontato i malumori che si nascondono nelle fila del Ppe: gli 89 voti contrari non hanno un volto, tranne che gli oltre 20 delegati dei Republicains francesi che hanno annunciato il no alla “candidata di Emmanuel Macron”.
Anche la delegazione slovena, giorni fa, aveva espresso riserve. Ma il gruppo dei franchi tiratori è più ampio e, secondo i rumors interni al Ppe, potrebbe comprendere austriaci, maltesi e spagnoli. Lontano da Bucarest i segnali non sono stati migliori: i socialisti, a poche ore dal voto del Congresso del Ppe, hanno rimarcato che “il sostegno a von der Leyen non è garantito”. Il ministro delle Finanze tedesco, il liberale Christian Lindner, ha atteso l’ufficializzazione della candidatura per sferrare il suo strale: “L’Europa ha bisogno di meno von der Leyen e di più libertà”. In conferenza stampa la candidata ha difeso uno dei punti più contestati nel manifesto del Ppe, l’utilizzo di Paesi terzi sicuri per ospitare chi chiede asilo in Ue e anche chi poi riesce a ottenerlo: “E’ in linea con il diritto europeo”, ha rimarcato von der Leyen; tra i suoi più fermi sostenitori c’è Fi, con il vicepremier Antonio Tajani.
Meloni incontra Letta e chiede di assicurare più autonomia all’industria Ue
Cambiare rotta per non restare a rincorrere Stati Uniti e Cina e assicurare all’industria europea l’autonomia nei settori chiave per il futuro, difesa e tech in testa. Gli input del Governo per rilanciare la competitività dell’Europa corrono paralleli tra Roma e Bruxelles. La premier Giorgia Meloni ne ha parlato con il presidente dell’Istituto Jacques Delors, Enrico Letta, che il prossimo 17 aprile presentare ai leader Ue il suo report sul mercato unico. A farle da sponda sulla scena europea è il ministro Adolfo Urso, impegnato a esortare i vertici comunitari a mettere in campo “fondi comuni” per aiutare le capitali e i privati a “reggere la sfida” della marea di sussidi elargiti da Washington e Pechino a favore delle loro imprese. E, per non restare intrappolata in vincoli troppo rigidi, l’appello all’Europa è anche a “rivedere le priorità” della svolta green, a partire dal regolamento sugli imballaggi, sul quale Roma preannuncia nuova battaglia. Davanti alle sfide geopolitiche ed economiche globali, nei precetti trasmessi dalla premier a Letta è necessario “eliminare il divario in termini di crescita e innovazione tra l’Europa e i suoi principali concorrenti”, alleggerendo “il peso burocratico” per le Pmi e dando “attenzione” a industria e occupazione.
Sono tutti elementi messi in rilievo a più riprese anche dal ministro Urso durante il confronto con gli omologhi Ue a Bruxelles: unire “mercato interno, competitività e autonomia strategica è l’unica strada”, nella visione del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, per rispondere alla politica avviata da Joe Biden con l’Inflation Reduction Act e dal presidente XiJinping con la sua politica economica sempre più assertiva. “O l’Europa si muove nella stessa direzione” delle rivali, “o non regge”, è il monito di Urso rivolto anche al Commissario europeo per il Mercato interno Thierry Breton, condividendo l’allarme lanciato nei giorni scorsi dall’ex premier Mario Draghi nell’incontro a porte chiuse all’Europarlamento. Per Urso, tutti gli investimenti di cui l’Europa ha bisogno dovranno essere sostenuti dai ventisette insieme, nel solco di quanto giù fatto con il Recovery fund e il RePowerEu, una richiesta in linea con l’urgenza messa in rilievo da Draghi di “500 miliardi d’investimenti l’anno per i prossimi dieci anni” e anche con l’indicazione di Letta sulla centralità della Banca europea per gli investimenti “per finanziare l’economia reale”.
Meloni attacca sul caso dossieraggio. Conte difende De Raho
Sul caso dei presunti dossieraggi a danno di politici, imprenditori e vip s’infiamma il dibattito politico. La premier Giorgia Meloni parla di situazione “molto brutta” e “gravissima”: “Non basta sapere chi era il funzionario che violava una banca dati riservata, bisogna capire anche quali erano i mandanti” con “nome e cognome. Quello che m’indigna più del fatto in sé è che qualcuno provi a difendere quello che è accaduto trincerandosi dietro la libertà di stampa. Che è sacra ma proprio perché è sacra non prevede che si usino metodi illegali per gettare fango su chi non ci fa simpatia. Quello accade nei regimi e non nelle democrazie”. Nel tentativo di ricostruire la vicenda, la Premier dice: “Ci sono alcuni funzionari dello Stato italiano pagati con i soldi dei cittadini che accedono a banche dati con dati sensibili dei cittadini, che dovrebbero essere utilizzate per combattere la mafia, per passare informazioni sensibili su segnatamente politici considerati non amici ad alcuni giornali, particolarmente al giornale di De Benedetti, tessera numero uno del Pd, e anche alcune all’attuale responsabile della comunicazione del Pd per lanciare campagne di fango particolarmente su politici ma non solo considerati avversari”.
Intanto, da FI ad Azione e Iv è forte il pressing su Federico Cafiero De Raho, deputato del M5S, vicepresidente della commissione Antimafia ed ex capo della Dna. Giuseppe Conte, non ci sta: “Stanno attaccando Cafiero De Raho, il procuratore dell’epoca. In questo momento un campione dell’antimafia viene messo sotto accusa con delle strumentalizzazioni indegne da parte del centrodestra, un attacco indegno alle istituzioni”. Di buon mattino, invece, prima dell’audizione appunto in Antimafia del procuratore capo di Perugia Raffaele Cantone, sentito poi nel pomeriggio al Copasir con l’attuale procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, il leader di Italia viva Matteo Renzi non le manda a dire: “Quello che sta emergendo dallo scandalo dossieraggio è solo la punta dell’iceberg”. La Lega con una nota attacca: “Lo scandalo spioni conferma che si tratta di un vero e proprio attacco alla democrazia”.
Dal canto suo, il leader di Azione Carlo Calenda si rivolge direttamente all’esecutivo: “Chiediamo che il Governo riferisca in Parlamento”. Poi aggiunge: “Altra cosa che non si può fare è che i procuratori antimafia finiscano in Parlamento e nella Commissione che ha il compito di verificare. De Raho era a capo della struttura che non ha funzionato e oggi dovrebbe verificare in Commissione come è andata”. Non usa mezzi termini, ancora, il deputato Pd e membro dell’Antimafia Andrea Orlando lasciando Palazzo San Macuto dopo l’audizione di Cantone: “Chi pensa che il Pd sia in qualche modo collegato a questa vicenda è semplicemente un cretino”. Tra gli spiati “ci sono anche esponenti non del centrodestra. Io penso che sarebbe matura una maggiore unità delle forze politiche”. Da Forza Italia il capogruppo a Palazzo Madama Maurizio Gasparri chiede che “Cafiero De Raho lasci con immediatezza la Commissione Antimafia”.
Meloni rilancia Marsilio in Abruzzo e attacca il campo largo
A pochi giorni dal voto, Giorgia Meloni torna a parlare di Abruzzo e dichiara che il principale merito che Marco Marsilio è quello di aver tolto l’Abruzzo dall’isolamento. Ospite di Dritto e Rovescio, la presidente del Consiglio risponde alla prima domanda di Paolo Del Debbio con il sorriso, ribadendo il concetto dell’elmetto in testa di cui ha parlato nell’ultimo comizio a Pescara: “Ci dormo anche, perché si sta vedendo un po’ di tutto”. I suoi avversari, dice, hanno perso scommettendo sul fallimento dell’esecutivo e ora “sta uscendo la loro natura risentita, un po’ livorosa che mi fa immaginare che accadrà un po’ di tutto da qui alle Europee. Ma l’unica cosa che mi preoccupa è il consenso dei cittadini”. La prossima prova sarà appunto in Abruzzo e allora Meloni difende l’operato del suo fedelissimo Marsilio: “Ha lavorato sulle infrastrutture, ha costruito nuovi ospedali, si è occupato di problemi reali. La sinistra lo sa e per questo lo accusa anche di non essere abruzzese perché è cresciuto a Roma. Ma lui è abruzzese da sette generazioni, si è dimesso da parlamentare per andare in Abruzzo”. In attesa della prova sulla tenuta della sua coalizione, la leader di FdI definisce “bizzarro” il campo largo che ha preso forma in Abruzzo, sottolineando che la “diverte” vedere Giuseppe Conte e Matteo Renzinegare di essere alleati mentre lo sono.
In Abruzzo Pd ed M5S rilanciano il salario minimo
A poche ore dalla chiusura della campagna elettorale in Abruzzo, la disputa tra i due schieramenti in corsa diventa incandescente. Per il centrodestra scendono in campo i Ministri e la stessa Giorgia Meloni mentre nel centrosinistra è il momento della partita unitaria con i due pesi massimi del Pd sul palco di Pescara a suonare la carica. “Uniti si vince” è lo slogan della segretaria Elly Schlein e del presidente Stefano Bonaccini, di nuovo insieme in un evento pubblico: “E quando il Pd è unito è più forte anche il centrosinistra”, rilancia il presidente dell’Emilia-Romagna. Ed è proprio il cosiddetto “campo largo” che decide di calare l’asso a poche ore dal voto. Mentre si incrociano comizi e traiettorie elettorali tra le quattro province della Regione, da Roma arriva l’affondo: le opposizioni lanciano “insieme una legge di iniziativa popolare per riproporre il Salario minimo in Parlamento”. A firmare la nota sono i leader di Pd, M5S, Avs, Azione, +Europa e Psi, che lanciano la sfida al Governo: Vvediamo se avrà il coraggio di affossare anche una legge firmata da centinaia di migliaia di cittadine e cittadini”.
All’iniziativa comune manca solo Italia Viva, che tuttavia è in corsa nel campo larghissimo in versione abruzzese. Schlein, dal palco di Pescara, parla con soddisfazione di un “fatto importante”: “Abbiamo deciso di rilanciare la nostra battaglia unitaria”, un concetto sostenuto da Giuseppe Conte che afferma “non molliamo”. La parola unità è il fil rouge che ha attraversato tutta la campagna elettorale del centrosinistra a sostegno di D’Amico e viene rilanciata con forza dai due vertici del Pd che posano accanto al candidato che in Abruzzo è riuscito a mettere insieme tutte le forze di una coalizione che al livello nazionale non c’è. A ribadirlo è il leader di Azione Carlo Calenda: “Non credo che queste coalizioni riescano a governare l’Italia”; per l’ex Ministro, “non esiste il campo largo”, ma solo la convergenza su un “candidato ottimo”. Il leader del M5S, però, sembra aprire: “Stiamo costruendo un’alternativa di governo, andremo al governo con il Pd”. Anche per Schlein, il voto in Regione “è degli abruzzesi per gli abruzzesi”. Tuttavia, la leader democratica non rinuncia a gettare lo sguardo più in là: “Noi continueremo a essere testardamente unitari”.