Via libera al Patto Ue sui migranti con il sì dell’Italia. Ora si va all’eurocamera
È un accordo storico quello raggiunto tra gli stati membri sul Patto Ue Migrazione e Asilo: i Ministri degli Interni dei 27, riuniti a Lussemburgo, hanno raggiunto un’intesa sul pacchetto di riforma del sistema e delle procedure di asilo, con il sì dell’Italia, il no di Polonia e Ungheria e quattro astenuti. Dopo quasi tre anni di lavoro il Consiglio Ue ha approvato la sua posizione negoziale su due regolamenti chiave del Patto, che ora servirà per avviare il trilogo con il Parlamento. Le nuove norme prevedono un meccanismo di solidarietà obbligatoria, che non significa ricollocamenti obbligatori, ma una quota di compensazione di 20mila euro a migrante da corrispondere in caso uno Stato non li accetti; la misura è contestata dalla Polonia che definisce la cifra definita “inaccettabile” per un Governo che ha già accolto oltre un milione di ucraini. Vengono poi introdotte procedure più snelle per le richieste di asilo, i rimpatri e un tetto per le quote di accoglienza in ogni Stato. L’Italia, che nella lunga giornata aveva assunto una posizione critica su diversi fronti, è riuscita a ottenere un buon compromesso che va incontro alle sue richieste.
“L’Italia ha ottenuto il consenso su tutte le proposte avanzate nel corso del Consiglio odierno”, ha rimarcato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, “Abbiamo scongiurato l’ipotesi che l’Italia e tutti gli Stati membri di primo ingresso venissero pagati per mantenere i migranti irregolari nei propri territori. L’Italia non sarà il centro di raccolta degli immigrati per conto dell’Europa”. Soddisfazione anche sul punto che aveva bloccato i lavori nel pomeriggio e l’intera intesa, ovvero la definizione di Paese terzo sicuro: ora “spetterà agli Stati membri applicare il concetto”, ha spiegato la presidenza Ue. Anche i termini di responsabilità del Paese di primo ingresso per i casi di ricerca e soccorso sono stati ridotti a 12 mesi. “Per quanto riguarda le procedure di frontiere, su cui l’Italia, a livello nazionale, ha precorso i tempi europei con le misure introdotte dal Decreto Cutro, siamo riusciti ad ottenere la creazione di un sistema efficace di controllo europeo delle frontiere esterne” ribadisce Piantedosi. Infine, ha elogiato la creazione di un nuovo fondo europeo per i Paesi terzi di origine e transito dei flussi.
Intesa Meloni-Scholz sul Piano d’azione Italia-Germania
Italia e Germania sono pronte a stringere un piano d’azione. Atteso a metà dell’anno scorso, arriverà entro la fine del 2023 la firma del patto che rinforzerà l’asse fra Roma e Berlino, rinsaldando anche la triangolazione con la Francia, già legata da accordi di cooperazione rafforzata agli altri due Paesi della locomotiva europea. L’annuncio l’hanno dato Giorgia Meloni e Olaf Scholz dopo l’incontro a Palazzo Chigi, in cui è stato confermato il perfetto allineamento sull’Ucraina ed è stato evidenziato l’interesse comune al piano di hub energetico su cui lavora l’esecutivo italiano; restano distanze sul nuovo Patto di stabilità (la premier spinge sulla flessibilità, il cancelliere tedesco non ne ha fatto proprio cenno nelle dichiarazioni congiunte) e in parte anche sul dossier migranti: Scholz ha sottolineato l’importanza di soluzioni a livello europeo, ma evidenziando che il suo Paese ha accolto “un milione di ucraini e 240 mila altri rifugiati”. Soprattutto sui temi su cui ci sono punti di vista diversi, sarà utile il Piano d’azione, che prevede fra l’altro consultazioni regolari su dossier strategici in cinque campi: crescita, competitività e occupazione; politica estera e di sicurezza; agenda verde e protezione climatica; Europa e stato di diritto; cultura e società civile. “L’Italia è per noi è un partner importante e un amico affidabile” dice Scholz, che parlando alla stampa a Palazzo Chigi esordisce con una dichiarazione di solidarietà all’Emilia Romagna colpita dall’alluvione.
Solida è l’intesa sul sostegno dell’Ucraina e deciso è anche l’impegno a portare avanti il progetto SoutH2 corridor, che collegherà in futuro i flussi di idrogeno verde di Italia, Germania e Austria. C’è poi l’accordo Ita-Lufthansa, una “testimonianza di quanto gli interessi nazionali” di Roma e Berlino “possano essere convergenti anche sul piano strategico”, nota Meloni dopo il bilaterale. Sui migranti la Germania è preoccupata soprattutto della gestione dei ricollocamenti: “Non aiuta puntare il dito gli uni contro gli altri, dobbiamo cooperare”, dice Scholz sottolineando la necessità di “corridoi legali per il personale qualificato” e rimpatri per chi non ha diritto a restare. “Il tema dei movimenti secondari si risolve unicamente gestendo i movimenti primari”, è la ricetta su cui insiste Meloni, che chiede “attenzione alle rivendicazioni dei Paesi maggiormente sotto pressione”. La necessità di rafforzare l’Ue spingendo per il voto a maggioranza e la difesa comune, e quella di stimolare la crescita controllando il rientro dal debito senza tornare all’austerità, sono stati poi fra i temi del faccia a faccia fra Sergio Mattarella e Scholz. Nel frattempo, la Meloni ha ricevuto Shavkat Mirziyoyev, primo presidente uzbeko in visita ufficiale in Italia dal 2000: un appuntamento storico, in cui i due Paesi hanno rilanciato le relazioni al livello di partenariato strategico.
Sulle riforme istituzionali spunta l’ipotesi del premier indicato
Prosegue il lavoro della Ministra Maria Elisabetta Casellati sulle riforme costituzionali, e con il passare delle settimane, l’obiettivo sembra farsi sempre più chiaro: “Sarà un premierato all’italiana”. Ma ad allungare ancora di un miglio il tragitto verso l’elezione diretta del premier è l’intervento di alcuni costituzionalisti in primis, quello di Giuliano Amato: “Davanti a un primo ministro che ha la legittimazione popolare diretta, la figura del capo dello Stato perderebbe la sua autorevolezza”, avverte l’ex presidente della Corte costituzionale. Sul premierato, secondo Amato, starebbe prevalendo una “linea più morbida”, che va verso “la possibilità di indicare nella scheda il leader che si vuole come presidente del Consiglio, con in più la fiducia parlamentare solo a lui e non anche ai ministri”; indicazione del premier, dunque, e non elezione diretta: per il costituzionalista “sarebbe una riforma probabilmente condivisa da buona parte del centrosinistra, e che non andrebbe così al referendum”. La Ministra per le Riforme istituzionali, di fronte a questa ipotesi, non chiude né apre: “L’indicazione di una persona così autorevole come Amato va comunque tenuta in considerazione. Ritengo però che il coinvolgimento del popolo restituisca quella centralità alla sovranità popolare prevista dalla Costituzione”.
Casellati continuerà ad ascoltare. Poi, però, arriverà il momento di decidere e, a oggi, la linea non sembra arretrare. “Restiamo dell’idea di un’elezione diretta”, non c’è una “ricetta precostituita”, sottolinea Casellati, ma il “perimetro” è stato individuato. Tra le opposizioni, però, c’è chi fa seguito all’ipotesi di Amato e rilancia. “L’indicazione del premier funziona meglio dell’elezione diretta”, dichiara il leader di Azione Carlo Calenda, “Se Giorgia Meloni percorrerà la strada dell’indicazione e della sfiducia costruttiva – aggiunge l’ex ministro – potrebbe avere il sostegno di una larga parte delle opposizioni che condivide da tempo questa proposta”. La Ministra tiene a ribadire che la porta a Pd e M5S è ancora aperta, anzi “spalancata”. Ma nè dai Dem nè dai pentastellati sono giunti finora segnali di apertura sul perimetro tracciato. Il tempo, però, stringe: l’idea, che circola da giorni, sarebbe quella di arrivare a un testo definitivo entro la fine di giugno.
Asse Tajani-Weber, ricucito lo strappo tra Ppe e Fi. Tensione con la Lega
I nostri comuni valori cristiani sono alla base dell’identità europea: Antonio Tajani e Manfred Weber usano le stesse parole per sancire la definitiva ricucitura tra il Ppe e Forza Italia, archiviando lo strappo di febbraio generato delle critiche di Berlusconi a Zelensky. “Grazie Antonio, per il tuo servizio nel Ppe, alla guida di FI che è il pilastro solido che noi abbiamo in Italia”, esordisce il dirigente tedesco, tra gli applausi. Ma la sintonia tra i due va oltre: l’obiettivo comune è riproporre “il modello italiano” anche in Ue. La prospettiva è condivisa da tutti. Tuttavia, tra Fi e Lega, scoppiano scintille. Al voto europeo manca un anno, ma nel centrodestra è già clima di campagna elettorale; Tajani è netto nel segnare i confini politici dell’intera operazione: “La possibile alleanza può essere fatta tra conservatori, liberali e popolari. Non è possibile fare un’alleanza con il gruppo di ID (il gruppo cui è iscritto il partito di Salvini). La Lega è molto diversa da Afd e deciderà cosa fare, se rimanere in quella famiglia politica o meno. Rispetto la volontà di quel partito e toccherà a loro decidere cosa fare. Siamo alleati in Italia, e le questioni europee riguardano le famiglie europee”.
Anche Weber punta un paletto contro ogni deriva euroscettica: “Il Ppe combatte per un’Europa più forte. Chiunque sarà nostro alleato in futuro dev’essere convinto di voler partecipare a un progetto comune di rafforzamento dell’Europa”. Immediata arriva la replica piccata del partito di Matteo Salvini: “I Popolari, quelli che da decenni mal governano in Ue a braccetto con socialisti e sinistra? No, grazie”, dichiarano gli europarlamentari della Lega Marco Zanni, presidente gruppo Id, e Marco Campomenosi, capo delegazione Lega. “Dobbiamo prendere atto, forse, che il Ppe preferisce continuare il cammino con Macron e le sinistre e la maggioranza Ursula. La Lega è al lavoro per cambiare questa Ue che non funziona, partendo proprio da quelle regole che colpiscono l’Italia che socialisti e popolari hanno promosso e votato in questi anni”. In questo clima s’inserisce la notizia che una delegazione di Id a Madrid ha incontrato i vertici di Vox, partito alleato di Meloni. Ma al di là di quello che accadrà, la notizia è che Manfred Weber e Antonio Tajani, aprendo la due giorni di studio dal titolo “Con i valori cristiani al centro”, archiviano i dissapori tra i vertici della famiglia popolare europea e Silvio Berlusconi, dell’inverno scorso.
Intesa alle battute finali fra Ita e Lufthansa
Si arriva alle battute finali per l’ingresso di Lufthansa in Ita. L’accordo tra le due compagnie sarebbe vicinissimo e, dopo la conferma degli snodi principali avvenuta due settimane, sarebbero stati messi a punto anche quasi tutti gli ultimi piccoli dettagli tecnici, che sempre accompagnano un’intesa di questo genere. E c’è chi ipotizza che potrebbe mancare pochissimo all’annuncio. Il clima politico è decisamente positivo: del valore dell’intesa ha parlato anche la premier Giorgia Meloni incontrando il cancelliere tedesco Olaf Scholz a Palazzo Chigi. La presidente del Consiglio ha portato Ita ad esempio di “testimonianza di quanto gli interessi nazionali” di Italia e Germania “possano essere convergenti anche sul piano strategico”. Il dossier era stato illustrato ai colleghi dal Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in un’informativa durante l’ultimo Cdm; dunque, manca solo l’ultimo tassello, l’ufficialità, anche se la vicepresidente della Commissione europea Margrethe Vestager ha detto che “non ci sono ancora stati contatti” sulla notifica, atto che comunque spetta alle aziende.
Poi Bruxelles procederà con la sua “analisi”. Ma come è ovvio servono le firme finali prima di notificare l’operazione a Bruxelles. Molte le voci che circolano in questi giorni e che vedono comunque Ita ancora al 100% del Mef nel prossimo cda. Lufthansa potrà infatti nominare i propri membri nel board di Ita solo dopo il closing dell’operazione. Ma non è escluso che possa esserci comunque un meccanismo di transizione morbida, visto il clima positivo attorno all’operazione. L’acquisto della quota avverrà attraverso un aumento di capitale. Dal canto suo il Mef si è impegnato a un aumento di capitale di 250 milioni di euro, versando la terza e ultima tranche del finanziamento complessivo da 1,35 miliardi di euro autorizzato dall’Ue. L’acquisizione di tutte le ulteriori quote da parte di Lufthansa dipenderà poi dalla performance di Ita, e su questo proprio Spohr si era detto “fiducioso: possiamo trasformare Ita in una compagnia redditizia entro il 2025”; il piano prevede “uno sviluppo di Roma Fiumicino e poi consolidare Linate”.
Domenica Von der Leyen, Meloni e Rutte saranno a Tunisi
Di nuovo in Tunisia, ma questa volta con al suo fianco Ursula von der Leyen e Mark Rutte. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni domenica tornerà nel Paese nordafricano a soli cinque giorni dalla sua prima missione a casa di Kais Saied. L’obiettivo resta lo stesso: arrivare a un’intesa con Tunisia che da un lato sblocchi i sostegni finanziari europei e del Fmi e dall’altro preveda il rigoroso impegno del Paese nordafricano su riforme e stabilità del Mediterraneo. La strategia di Roma è giungere a un compromesso il prima possibile: il dossier tunisino da settimane preoccupa il Governo italiano e se il Paese tornasse nel caos l’allarme flussi migratori sarebbe una naturale conseguenza. La missione di domenica prossima è stata concordata da von der Leyen, Meloni e Rutte a margine del summit della Comunità politica europea del primo giugno in Moldavia. Per tutti una Tunisia stabile è necessaria e, allo stesso tempo, un accordo con il Paese nordafricano farebbe da pivot a quella strategia della dimensione esterna della migrazione che, a Bruxelles, finora ha stentato a decollare. È difficile che già domenica si arrivi a un accordo.
Ma dagli Stati Uniti l’Fmi, che finora non aveva dato segnali di apertura di fronte alle resistenze alle riforme di Saied, ha sottolineato di essere “un forte partner della Tunisia. Il nostro impegno continua ed è pronto a sostenerla nei suoi sforzi di riforma economica”, ha spiegato il direttore del dipartimento comunicazione Julie Kozack. La proposta di compromesso formulata dall’Italia di fatto prevede che a favore della Tunisia ci sia una prima tranche di fondi e poi, a riforme attuate, un’eventuale seconda. Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ne parlerà anche con il suo omologo Antony Blinken nel corso della sua missione negli Usa. L’Ue sul dossier tunisino si è mossa dapprima con il commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni ma le posizioni del presidente Saied, restio ai diktat dell’Fmi, nel tempo non si sono ammorbidite. Ora, ha sottolineato Meloni, la missione di domenica “è un segnale importante e può essere propedeutica a chiudere l’accordo con l’Fmi”.