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L’Italia frena sul Patto sui migranti: intesa rinviata
Dopo il via libera arrivato dal cancelliere tedesco Olaf Scholz al regolamento sulla gestione delle crisi è l’Italia a frenare sull’intesa chiave per la finalizzazione del Patto sulla migrazione e l’asilo. La proposta di compromesso avanzata dagli spagnoli ha convinto Berlino ma, evidentemente, non ancora Giorgia Meloni, e in un punto: quello che esclude i salvataggi delle Ong da situazioni di strumentalizzazione della migrazione da parte dei paesi terzi rischia di trovare l’opposizione del Governo. Lo scontro con la Germania sulle attività delle organizzazioni non governative resta altissimo: Palazzo Chigi si è detta “sorpresa” che, proprio mentre a Bruxelles era in corso il vertice decisivo per l’ok al Patto sui migranti, nel Mediterraneo navigavano 7 navi gestite dalle ong tedesche. “È una coincidenza? Cosa c’è dietro? C’è un interesse elettorale? Di altro tipo?”, ha sottolineato Antonio Tajani. La frenata di Roma ha spento l’entusiasmo che si respirava dalle parti della presidenza di turno Ue detenuta dalla Spagna.
Ursula von der Leyen, da Spalato, aveva chiesto che ci fosse l’intesa in giornata e al Consiglio Affari Interni di Bruxelles sia la Commissione che il Ministro dell’Interno iberico Fernando Grande-Marlaska attendevano l’accordo politico tra i 27. Subito dopo, una riunione dei rappresentanti permanenti avrebbe formalizzato l’approvazione del testo del Patto sui migranti. Nella sessione della riunione dedicata al dossier la tedesca Nancy Faeser, seguendo le istruzioni di Scholz, ha scandito che Berlino “accetta la proposta di compromesso spagnola”; dopo di lei, Polonia e Ungheria hanno ribadito la loro contrarietà. L’Italia è rimasta in silenzio: il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi è intervenuto nella prima parte dell’incontro, dedicata alla dimensione esterna e al Memorandum con la Tunisia e poco dopo ha lasciato in anticipo la riunione, diretto a Palermo dove ha incontrato i suoi omologhi di Libia e Tunisia. Alla fine al Consiglio Affari Interni salta l’intesa. La commissaria Ylva Johansson e il ministro spagnolo, a microfoni aperti, non hanno puntato il dito contro l’Italia, si sono detti ottimisti e soddisfatti dei passi avanti fatti, scandendo che “non ci sono grandi ostacoli” all’intesa, attesa “nei prossimi giorni”. L’impressione, però, è che solo un chiarimento tra Scholz e Meloni al vertice di Granada della settimana prossima potrà sbloccare lo stallo.
Sulla manovra il Governo punta a natalità e ai redditi medio-bassi
Un beneficio in busta paga fino a 120 euro in più al mese per i redditi medio-bassi: potrebbe essere questo l’effetto combinato del taglio del cuneo fiscale e della nuova Irpef a tre aliquote che il Governo punta a inserire in manovra, una doppia mossa destinata ad assorbire praticamente tutti i 14 miliardi del tesoretto ricavato in deficit con la Nadef; è una direzione che la stessa premier Giorgia Meloni rivendica come una sua “scelta politica”. L’altro pilastro sono le famiglie, soprattutto quelle più numerose: il rilancio della natalità è per il Governo una priorità, così nella prossima manovra verrà tradotta in “misure concrete più strutturali” annuncia il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, sottolineando che “la denominazione del ministero di cui è titolare Roccella non è un’etichetta ma un impegno per tutto il Governo”. Sul tavolo c’è già un nuovo intervento sull’assegno unico, che nella prima legge di bilancio è stato aumentato per il primo figlio e poi dal terzo figlio in poi fino a tre anni e successivamente anche in modo forfettario e strutturale per le famiglie numerose.
“Altrettanto faremo in questa nuova finanziaria”, annuncia la Ministra: “In particolare l’intervento sull’assegno unico sarà focalizzato sul terzo figlio, mentre per il secondo è allo studio un pacchetto di altre misure più articolato”. Si studiano anche una serie di altre misure, dagli aiuti con le famiglie con tre figli, che potrebbero passare attraverso un azzeramento dell’Irpef per i nuclei più numerosi, alle agevolazioni per chi assume le mamme. L’altro pilastro della manovra sarà la conferma anche per il 2024 del taglio del cuneo fiscale già in vigore da luglio (7 punti in meno per i redditi fino a 25mila euro e 6 per quelli fino a 35mila), che il Governo punta ad associare alla rimodulazione dell’Irpef da 4 a 3 aliquote. Si partirà dai redditi più bassi, accorpando i primi due scaglioni con un’unica aliquota al 23%. I calcoli sono ancora in corso, ma l’obiettivo è “agire in modo congiunto”, spiega il viceministro dell’Economia Maurizio Leo che stima “un vantaggio mensile di circa 120 euro”. Una doppia mossa necessaria, per evitare che i benefici del taglio del cuneo vengano poi erosi dalle tasse.
Giorgetti richiama i ministri sulla spendig. Salvini rilancia il ponte
La Lega alza i toni nella maggioranza, Giorgia Meloni rivendica di aver fin qui “concentrato le risorse sui redditi medio bassi” mentre con cadenza quotidiana Matteo Salvini rilancia lo stanziamento per il Ponte sullo Stretto. I due piani non sono tecnicamente inconciliabili, ma non è chiaro ancora quanto spazio finanziario sarà dedicato al collegamento fra Sicilia e Calabria in una cornice che al momento la maggioranza stima attorno ai 20 miliardi. Nel calcolo per le coperture sono inclusi i 14 in deficit portati in dote dalla Nadef e i 2 che i ministeri hanno il mandato imperativo di tagliare. “Con la Nadef si certifica che la propaganda del Governo è finita da un pezzo”, attacca il leader del M5S Giuseppe Conte; per Elly Schlein il centrodestra “non riuscirà a mantenere le promesse che ha fatto”. La principale di Salvini è proprio il Ponte: alla luce anche della freddezza con cui gli alleati in questi giorni ne parlano, c’è da scommettere che su questo tema si giocherà una delle partite più calde della manovra. Giancarlo Giorgetti ha confermato che un primo stanziamento ci sarà, “connesso all’effettivo allestimento dei cantieri”. Ma la sua entità ancora non è chiara.
Per avviare i lavori basterebbero un centinaio di milioni in spesa corrente, il resto dovrebbe rientrare nel capitolo investimenti. Una fonte di Governo riferisce che alla fine sarà il titolare del Mef a decidere come procedere, visto che l’accordo fin qui era di utilizzare parte dei Fondi per lo sviluppo e la coesione di Sicilia e Calabria e poi risorse nazionali. Giorgetti ha ribadito ai Ministri la necessità che tutti partecipino ai tagli previsti dalla spending review attesa per il 10 settembre: solo tre ministeri avrebbero rispettato quella scadenza, gli altri hanno una ventina di giorni di tempo, altrimenti, ha chiarito il Ministro, quando sarà l’ora sarà lui a procedere al posto loro, con l’obiettivo di risparmiare 2 miliardi di euro nel 2024. “Mi avete fatto richieste per 82 miliardi”, ha inoltre contestato la premier ai ministri, evidenziando la sproporzione fra i desiderata e le risorse disponibili, poche e da indirizzare con attenzione. Il messaggio è quello di puntare a soluzioni concrete senza inseguire il consenso.
Il Governo ha siglato il Patto antinflazione
Prende vita il Patto antinflazione, con 32 associazioni e oltre 20mila punti vendita aderenti in tutto il territorio nazionale. L’intesa, siglata a Palazzo Chigi dalla premier Giorgia Meloni, dai ministri Adolfo Urso e Francesco Lollobrigida, riunisce imprese della distribuzione e industrie dei beni di largo consumo per offrire ai consumatori un paniere di beni a prezzi calmierati. Un “carrello della spesa tricolore”, al via da domenica, ispirato a una logica di mutualità tra istituzioni e tessuto produttivo, come ha sottolineato la premier. “Questa è un’iniziativa che mi rende orgogliosa, il segnale che questa Nazione è ancora in grado di tenersi per mano lavorando per lo stesso obiettivo: non c’è provvedimento, Governo o persona che possa davvero risolvere il problema se poi la Nazione non ti dà una mano”. Dal 1° ottobre al 31 dicembre i negozi che hanno deciso di aderire al Patto proporranno quindi una serie prodotti a prezzi scontati o bloccati, determinati dalle aziende e dalle catene distributive. Le adesioni starebbero continuando ad arrivare e, secondo le stime delle sigle, i punti vendita che aderiranno al Patto, alla fine, dovrebbero essere tra i 20 mila e i 25 mila.
Secondo le stime dei consumatori, i risparmi generati per i cittadini potrebbero essere fino a 4 miliardi, anche se, ha avvertito Assoutenti, sono ancora troppe le incognite che pesano sul protocollo firmato a palazzo Chigi, a partire dal ruolo dell’industria. In ogni caso, il messaggio che arriva, secondo il Governo, è “potentissimo”: “Troppo spesso ci siamo comportati come fossimo delle monadi, come se dalle scelte di ciascuno di noi non dipendesse anche il destino di tutti gli altri”, ha ribadito la Meloni. Ma questo Governo “sa ascoltare” e “ha l’umiltà di chiedere una mano quando deve affrontare situazioni complesse come quella nella quale ci troviamo”. Entusiasta anche il ministro Adolfo Urso, principale promotore dell’intesa: l’unità d’intenti alla base del trimestre “è un modello da perseguire in ogni contesto ed è la forza dell’Italia, che tutti gli altri attori europei avvertono. È un passo decisivo nella strategia che il Governo si è dato sin da inizio legislatura”.
L’Ue aspetta il Dpb per esprimersi sui conti italiani
La Commissione Ue non si esprime sulla Nadef e dà appuntamento al 21 novembre per un parere ufficiale sul Documento programmatico di bilancio che l’Italia dovrà presentare entro il 15 ottobre a Bruxelles. C’è da dire che la revisione al rialzo delle attese sul deficit italiano per il 2024, passato al 4,3% rispetto al 3,7% indicato in aprile, o le proiezioni sul debito non sembrerebbero una sorpresa per Palazzo Berlaymont. La Commissione Ue ha seguito passo passo la discussione politica a Roma sulla Nadef e si tende a ricordare che nelle raccomandazioni date in primavera all’Italia, e approvate dal Consiglio in estate, non c’era una indicazione sul deficit in termini nominali. Nessun numero per il disavanzo scritto a penna rossa per l’Italia, salvo quello previsto dai Trattati del limite del 3% del deficit sul Pil. Ma con la clausola di salvaguardia attiva dall’inizio della pandemia le regole del Patto sono di fatto sospese e lo resteranno fino alla fine dell’anno. Quello che la Commissione guarderà nel Dpb dell’Italia sarà soprattutto il rispetto della raccomandazione che chiede “una politica di bilancio prudente”, che limiti all’1,3% l’aumento della spesa primaria netta nel 2024. Entro il 15 ottobre andrà presentato il Dpb, ha detto la portavoce della Commissione Ue Veerle Nuyts; valuteremo “la conformità di questi piani con i pertinenti requisiti fiscali, comprese le raccomandazioni specifiche per Paese” e “pubblicheremo quindi il nostro parere” il 21 novembre.
“Ovviamente siamo in contatto con tutti gli Stati membri, inclusa l’Italia, nel corso dell’anno nell’ambito del ciclo del semestre europeo” per il coordinamento delle politiche economiche, ha aggiunto la portavoce. Che in merito alle parole del ministro Giancarlo Giorgetti (“Bruxelles comprenderà la situazione”) si è limitata a dire: “Non commentiamo i commenti”. Anche molti osservatori tendono a scommettere su una certa benevolenza della Commissione Ue verso l’Italia: in vista delle elezioni europee del prossimo anno e del rinnovo delle cariche istituzionali Ue la presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen, per ottenere un secondo mandato, avrà bisogno dell’appoggio di Giorgia Meloni sia in Consiglio e sia soprattutto in qualità di leader del partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei (Ecr). Sul fronte della riforma del Patto di Stabilità e crescita, intanto, sembra muoversi ancora poco, anche se all’Ecofin di Santiago gli spagnoli alla presidenza di turno dell’Ue hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo dando per possibile, oltre che auspicabile, un’intesa entro fine anno. Lunedì 2 e martedì 3 il tema potrebbe arrivare sul tavolo del Comitato economico e finanziario che si riunirà a Madrid.
Sulla prescrizione la maggioranza punta a un azzeramento della Cartabia
Il Guardasigilli Carlo Nordio lo aveva annunciato a febbraio e ora la maggioranza passa dalle parole ai fatti dando il via alla Camera all’ennesima riforma della prescrizione, che diventerebbe la quinta negli ultimi 18 anni. Ora la maggioranza, con il sostegno di Azione e IV, si appresta a modificarla nuovamente, tornando alla disciplina introdotta con l’ex Cirielli, la legge voluta dal governo Berlusconi. “Come se fossimo in un gigantesco Gioco dell’oca” ironizza il capogruppo del Pd in Commissione Giustizia Federico Gianassi “vogliono tornare alla casella di partenza”. E il via alla riforma lo si dà in Commissione Giustizia della Camera, presieduta da Ciro Maschio (FdI), adottando come testo base la proposta di legge che ha come primo firmatario Pietro Pittalis (FdI). Il testo, come spiegano lo stesso Pittalis e uno dei relatori Andrea Pellicini (FdI), “punta a tornare alla prescrizione sostanziale”, superando di fatto le riforme Bonafede e Cartabia bloccano la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, tornando a tutti gli effetti all’ex Cirielli. Tale provvedimento supera il sistema dell’improcedibilità dell’azione penale per decorso dei termini di durata massima dei giudizi d’impugnazione. Ma abolire l’improcedibilità, in piena fase di attuazione del PNRR, si osserva nelle opposizioni, “sarebbe un vero suicidio”.
Visto che la legge Cartabia del 2021, alla quale si deve la riforma della prescrizione e l’introduzione dell’improcedibilità, è un provvedimento adottato nell’ambito del PNRR, “sotto la lente di Bruxelles”. “Lo Stato così facendo rinuncia a celebrare i processi”, commenta il leader M5S Giuseppe Conte che annuncia l’opposizione del Movimento. Ciro Maschio, però, butta acqua sul fuoco osservando che il 9 ottobre scadrà il termine per gli emendamenti ed entro tale data “tutti, maggioranza e opposizione, avranno modo di presentare ognuno le proprie proposte, che saranno senz’altro ascoltate”. Pittalis, intanto, esprime soddisfazione “per il risultato conseguito”. Soddisfatto è anche l’altro relatore, Enrico Costa (Azione), visto che è stato proprio lui a proporre di adottare la pdl Pittalis come testo base. L’Aula della Camera, intanto, ha approvato con 164 voti favorevoli e 68 contrari, il decreto omnibus che contiene anche norme sulle intercettazioni aggiungendo un nuovo tassello alla riforma della giustizia targata Giorgia Meloni.