Scontro Tajani-Sanchez; Wilders non sarà a Firenze con Identità e Democrazia
È scontro aperto tra Antonio Tajani e il premier spagnolo Pedro Sanchez sull’estrema destra in Italia e il ruolo del Ppe, mentre Geert Wilders non sarà a Firenze domenica al ritrovo di Identità e democrazia. Il leader sovranista olandese dà forfait alla reunion dei partiti alleati della Lega in Europa perché impegnato nelle trattative esplorative per un nuovo governo in Olanda. Matteo Salvini perde un ospite importante ma la Lega non si scompone e prende atto dell’assenza. Del resto, Salvini aveva già messo le mani avanti martedì, ipotizzando un cambio di programma per cause di forza maggiore interne. La Lega ribadisce l’auspicio che “l’amico” Wilders “riesca a formare un governo di centrodestra” e poi sposta i riflettori sulla “strategia della sinistra che alimenta tensioni in vista dell’evento di Firenze”, riferendosi alle contromanifestazioni previste nel capoluogo toscano nel weekend. Per la Lega, dietro quelle tensioni ci sono “esponenti di sinistra, perfino con cariche istituzionali” che “stanno aizzando la piazza contro partiti democraticamente eletti”. Domenica si troveranno i rappresentanti di 13 delegazioni straniere: dall’Afd tedesca rappresentata da Tino Chrupalla al belga Gerolf Annemans, fino ai partiti dei paesi dell’Est. Assente annunciata Marine Le Pen, che manderà un videomessaggio e non si esclude che farà lo stesso Wilders.
Ci saranno inoltre i Ministri della Lega, i governatori e i sindaci del partito. E chissà che l’assenza dell’ultradestra olandese alla fine non contribuisca a rasserenare gli animi dei leghisti dei territori, da sempre ostili agli alleati più estremi a Bruxelles, da Afd al Rassemblement francese, gli stessi partiti da cui Forza Italia e il Ppe restano distanti. A ribadirlo, indirettamente, è Antonio Tajani; al premier spagnolo che sentenzia “In Italia governa l’estrema destra: noi qui l’abbiamo fermata”, il segretario forzista e Ministro degli Esteri ribatte: “In Italia governa il Partito popolare europeo, in Spagna i secessionisti e l’estrema sinistra”. La presa di posizione trova il plauso degli europarlamentari italiani di centrodestra e del Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, e sembra dare virtualmente il la alla visita di Roberta Metsola, che da domenica sarà in varie città del sud Italia. La missione della presidente del Parlamento europeo ed esponente di punta del Ppe rappresenta lo start alla campagna elettorale per le Europee di giugno; la visita mercoledì si concluderà con un faccia a faccia con la premier Giorgia Meloni.
Arriva lo stop dell’Ue: il mercato libero è target del Pnrr
La proroga del mercato tutelato dell’energia non sarà possibile. L’Ue spegne gli ardori dell’opposizione e della Lega e limita nettamente un eventuale intervento correttivo del Governo. Il tema è che la graduale liberalizzazione del mercato dell’energia è un obiettivo che l’Italia stessa ha messo nero su bianco nel Pnrr, non solo, è incluso nella terza rata, per la quale Bruxelles ha già erogato, lo scorso ottobre, i 18,5 miliardi previsti. Un cambio in corsa, sebbene la Commissione abbia dimostrato flessibilità, questa volta è quasi impossibile. Per l’Ue il mercato libero dell’energia, non è così dannoso: “La graduale eliminazione dei prezzi regolamentati dell’energia elettrica, che mira ad aumentare la concorrenza sul mercato, è una pietra miliare che fa parte del più ampio pacchetto di leggi sulla concorrenza incluso nel Pnrr”, ha spiegato una portavoce della Commissione, secondo la quale inoltre “i prezzi dell’elettricità sul mercato libero sono significativamente più bassi rispetto al mercato regolamentato, a vantaggio dei consumatori e delle imprese”, una posizione che era chiara a Palazzo Chigi: “Il governo si farà comunque carico della tutela dei soggetti vulnerabili”, ha spiegato il senatore di Fdi Andrea De Priamo.
Uno spazio di manovra i Paesi membri ce l’avrebbero, ma solo per le aziende: solo pochi giorni fa la Commissione, dopo aver consultato i 27, ha approvato una proroga di sei mesi del Quadro temporaneo di aiuti di Stato, per consentire agli Stati membri Ue di continuare a concedere aiuti limitati contro gli elevati prezzi dell’energia. In via generale, tuttavia, per le categorie cosiddette non vulnerabili si va verso il mercato libero. “La nostra idea, dati alla mano, è che la liberalizzazione farà diminuire i prezzi. Mi pare che il Ministro Gilberto Pichetto Fratin abbia lavorato bene. Poi bisogna rispettare gli impegni presi con l’Europa, con il Pnrr”, ha spiegato il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani poco prima che si pronunciasse Palazzo Berlaymont. “Lavori in corso, lavori in corso. È un momento di difficoltà economica per tante famiglie”, ha invece spiegato Matteo Salvini puntando il dito sugli esecutivi precedenti a quello Meloni: sull’energia elettrica è stata “una scelta, ahimè, fatta da governi di sinistra precedenti cui stiamo cercando di porre rimedio”. E anche nell’opposizione l’intervento di Bruxelles è arrivato come una doccia fredda: “Nel caso delle bollette la responsabilità è del M5S”, ha attaccato Carlo Calenda.
Gianni Letta interviene sul premierato. Tajani rassicura sul sì di Forza Italia
Due giorni fa in Commissione Affari costituzionali al Senato era toccato ai presidenti emeriti della Consulta, Gaetano Silvestri, Gustavo Zagrebelsky, Marta Cartabia e Ugo De Siervo, esprimere giudizi sul premierato. Ieri sono stati auditi i giudici costituzionali Nicolò Zanon e Oreste Pollicino, che hanno promosso la riforma costituzionale ma sottolineato anche alcune le criticità; va bene il principio della elezione diretta del premier, ma rimandando la norma antiribaltone e frenando sul premio di maggioranza del 55%. Il cammino “della riforma delle Riforme” è ancora lungo, mancano una quarantina di audizioni, ma intanto si registrano le osservazioni di Gianni Letta che ha rimarcato come la riforma costituzionale presentata dal Governo “fatalmente” ridurrebbe i poteri del presidente della Repubblica, “Secondo la figura del PdR così com’è disegnata e l’interpretazione così come è stata data dai singoli presidenti nel rispetto della Costituzione, come tutti i costituzionalisti oggi riconoscono, sta bene così. Non l’attenuerei, non la ridisegnerei, non toglierei nessuna delle prerogative così come attualmente sono state esercitate”. Immediata la precisazione del vicepremier Antonio Tajani: “Fi sostiene convintamente la riforma sul premierato. Non vanno interpretate in direzione contraria alcune frasi di Gianni Letta”.
A poco meno di un mese dall’approvazione del Cdm della riforma costituzionale si cominciano a delineare i primi input che arrivano dagli esperti, inviti a prevedere modifiche alla possibilità di evitare di specificare nel disegno di legge il premio di maggioranza del 55% e a tornare allo schema originario, ovvero puntando al meccanismo del “simul stabunt simul cadent” che porterebbe allo scioglimento delle Camere in caso di dimissioni del presidente del Consiglio. Cambierebbe così il comma, spinto della Lega, secondo cui “in caso di cessazione dalla carica del presidente del Consiglio eletto, il PdR può conferire l’incarico di formare il Governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del presidente eletto ha ottenuto la fiducia”. FdI starebbe poi pensando all’eventualità di inserire la possibilità per il premier di nominare e revocare i Ministri. Il primo step della riforma costituzionale si concluderà con la fine delle audizioni al Senato, poi si convocherà un tavolo tra i membri della maggioranza della Commissione. L’obiettivo del Governo è quello di arrivare al primo semaforo verde sulla riforma entro le Europee, così come per quella sull’autonomia. L’esecutivo è comunque impegnato a preparare anche una proposta di legge elettorale, ma una bozza di riforma arriverà solo dopo che si capirà la forma di Governo.
Oggi la Commissione Bilancio chiude il decreto anticipi
Viene prorogato di tre mesi lo smart working nel privato per i lavoratori con figli under14; raddoppia la dote di quest’anno per il bonus psicologo; niente Iva per i ritocchi estetici; ridotta al 10% per gli integratori alimentari. Parte a pieno ritmo il voto in commissione Bilancio al Senato sugli emendamenti al decreto anticipi. Governo e maggioranza puntano a un iter veloce che dia un segnale di compattezza in vista della manovra. Nella prima giornata di votazioni spunta quasi a sorpresa la proroga dello smart working nel privato per i genitori di minori under 14: con l’ok della Commissione a due emendamenti presentati da Pd e M5S, la modalità di lavoro agile viene estesa fino al 31 marzo 2024. Niente proroga invece per i fragili e nella Pa, misura che richiede coperture. Arriva anche l’atteso via libera al bonus psicologo, con l’ok all’unanimità ad un emendamento che riformula due modifiche presentate da Pd e Fi. Per quest’anno i fondi raddoppiano con lo stanziamento di altri 5 milioni.
Arriva poi l’esenzione dall’Iva sugli interventi di chirurgia estetica a fini terapeutici. Per gli integratori alimentari, indipendentemente dalla forma in cui sono presentati e commercializzati, l’imposta si riduce al 10% nonostante diverse perplessità. Arrivano anche più garanzie per i contribuenti soggetti a verifiche fiscali, mentre viene concesso più tempo al Gse per la vendita del gas stoccato. Il lavoro della Commissione procede spedito, sotto la regia del Ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani e alla presenza del sottosegretario all’Economia Federico Freni. Oggi dalle 9.00 si riprende: restano un centinaio emendamenti tra accantonati e proposte del Governo e dei relatori, tra cui anche la norma sugli affitti brevi. Ancora da votare anche l’emendamento che consente a Strada dei Parchi Spa di tornare ufficialmente concessionaria delle autostrade laziali e abruzzesi A24 e A25, subentrando ad Anas. Una volta approvato in Commissione il decreto sarà discusso la settimana prossima dall’Aula del Senato.
Si è aperta a Dubai la Cop 28. Oggi parlerà la Meloni
Si è aperta con un accordo definito da molti “storico” la Conferenza delle Parti-Cop28 a Dubai. Il primo atto delle 198 Parti (197 nazioni più l’Ue) partecipanti è stato di rendere operativo il fondo Loss & damage presso la Banca mondiale, aiuti ai Paesi più poveri e vulnerabili, in genere i più colpiti da eventi meteorologici sempre più estremi. Il fondo era stato approvato come principio l’anno scorso nella Cop27 a Sharm-El-Sheikh, in Egitto. I primi contributi dichiarati sono per circa 280 milioni di dollari. Pur riconoscendo l’importanza dell’accordo per la “giustizia climatica”, la presidente del Gruppo dei 46 paesi meno sviluppati Madeleine Diouf Sarr ha osservato che “un fondo vuoto non può aiutare la nostra gente”: “Il lavoro è lontano dall’essere completato”, ha commentato l’alleanza dei piccoli Stati insulari (Aosis). E Rachel Cleetus, del gruppo americano Union of Concerned Scientists (Ucs), ha sottolineato che “sono attese promesse in miliardi non in milioni”.
Al fondo L&D sono arrivati i primi impegni (100 milioni di dollari dal Paese ospitante la Cop28, gli Emirati Arabi Uniti, altri 100 dalla Germania, 17,5 milioni dagli Usa, 10 milioni dal Giappone, 60 milioni di sterline dalla Gran Bretagna), gli altri dovrebbero essere dichiarati tra oggi e domani dai capi di Stato e di Governo negli interventi di alto livello. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è intanto arrivata a Dubai e interverrà domani. Si vedrà cosa metteranno sul piatto Cina (il più grande inquinatore assieme agli Usa), India e Arabia Saudita, Russia e Brasile. Il giorno inaugurale della Cop, dedicato a definire l’agenda dei lavori che dureranno fino al 12 dicembre, è stato aperto con un minuto di silenzio per le vittime del conflitto a Gaza. Intanto l’Onu, attraverso l’Organizzazione mondiale della meteorologia, ha confermato che il 2023 sarà l’anno più caldo di sempre. Un obiettivo centrale della Cop28 sarà il bilancio dei progressi di ciascun Paese nel taglio dei gas serra, come previsto dall’Accordo di Parigi del 2015.