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Meloni vede Trump che presto verrà a Roma per trattare con l’Ue sui dazi
L’obiettivo minimo Giorgia Meloni l’ha raggiunto: Donald Trump ha accettato l’invito a fare una visita in Italia e in quell’occasione potrebbe “considerare” di partecipare a un incontro con l’Unione Europea. Però il Presidente Usa non ha cambiato idea sui dazi che “ci stanno arricchendo”. Sono le 12.00 (le 18.00 italiane) quando la presidente del Consiglio varca il cancello della Casa Bianca. Trump la accoglie definendola “great person”. È il primo dei complimenti che rivolge a una “fantastica persona” che “sta facendo un ottimo lavoro” e con cui la “relazione è ottima”. L’incontro si apre con un pranzo di lavoro aperto alle delegazioni: dal lato americano del tavolo, oltre al presidente siedono il vice J.D. Vance, che oggi vedrà la Meloni a Roma, il consigliere per la sicurezza Michael Waltz, il segretario al Tesoro Scott Bessent, il segretario alla Difesa Pete Hegseth; per l’Italia ci sono il consigliere diplomatico Fabrizio Saggio, il consigliere militare Franco Federici e l’ambasciatrice Mariangela Zappia. A sorpresa, la stampa viene fatta entrare per delle brevi dichiarazioni.
La premier è visibilmente tesa, consapevole della posta in gioco: “Io credo che potremmo raggiungere un accordo” sui dazi, dice, “sono qui proprio per questo”. Certo, precisa, “non posso fare un accordo nel nome dell’Ue, il mio scopo è invitare il presidente a un dialogo ufficiale con l’Italia e capire se, quando verrà, ci potrà essere anche un incontro con l’Ue”, un invito che poi Trump accetta. Però, parlando dei dazi nello Studio Ovale, non rinnega la sua strategia: “No, i dazi ci stanno arricchendo, stavamo perdendo tanti soldi con Biden, miliardi di dollari sul commercio, adesso la marea è cambiata”. Con la Ue, anche se non lo dice, sembra restare grande diffidenza: quando un cronista gli chiede se conferma di considerare gli europei “parassiti”, la premier interviene dicendo che “non l’ha detto” e anche Trump fa mostra di stupore: “Non l’ho detto, non so di cosa state parlando”. Comunque, concede, “ci sarà al 100% un accordo sui dazi con l’Ue”. Altro tema al centro dell’incontro sono le spese per la difesa: la premier anticipa che al prossimo summit Nato, in programma a giugno, l’Italia annuncerà la volontà di “aumentare le spese al 2% come richiesto”, troppo poco per il tycoon che la gela: “Non è mai abbastanza”.
Per lui la richiesta è già salita al 5%. L’Europa, assicura Meloni, “è impegnata a fare di più, sta lavorando sugli strumenti per aiutare gli Stati membri ad aumentare le spese per la difesa. Siamo convinti che tutti debbano fare di più”. Nel lungo spray, le dichiarazioni congiunte allo Studio Ovale; qualche imbarazzo lo crea una domanda sull’Ucraina: ai due viene chiesto conto del fatto che Trump dia sostanzialmente la colpa dell’inizio della guerra a Volodymyr Zelensky. La Meloni mantiene il punto sulla posizione italiana: “Penso che ci sia stata un’invasione e che l’invasore fosse Putin e la Russia. Ma oggi quello che è importante è che insieme vogliamo lavorare e stiamo lavorando per arrivare in Ucraina a una pace giusta e duratura. Sono sforzi su cui abbiamo condiviso anche oggi il nostro lavoro”. Da parte sua il presidente assicura che “non do la colpa al presidente Zelensky, ma non sono un suo fan”. Sul tavolo del bilaterale, la premier mette, anche, gli interessi economici reciproci: “Le imprese italiane, come fanno da molti anni, investiranno qui nei prossimi anni circa 10 miliardi e questo mostra quanto siano interconnesse le nostre economie. Questo è molto importante, non si tratta solamente dell’Italia, si tratta dell’Europa”.
Inoltre “l’Italia dovrà aumentare le importazioni di gas liquefatto” dall’America “e anche sul nucleare stiamo cercando di svilupparci e su questo dovremo lavorare insieme”. Hanno parlato anche di collaborazione in ambito aerospaziale, “ma non di Starlink” assicura la presidente del Consiglio. Glissa invece, evitando una domanda, sui rapporti strategici con la Cina, tema quantomai spinoso nei rapporti con Washington. Piena sintonia sulla questione dei migranti, su cui il tyconn loda la sua interlocutrice. La visita si conclude quindi nel segno di quello che la premier chiama “nazionalismo occidentale”, espressione forse non “corretta”, dice, se non nel senso che occorre “lavorare e rendere l’Occidente più forte” nel segno “dell’unità dell’Occidente”: si deve parlare “francamente” e incontrarsi “a metà strada”, rafforzando “entrambe le sponde dell’Atlantico”.
Von der Leyen punta all’intesa con gli Usa
A Bruxelles gli occhi sono tutti puntati sullo Studio Ovale dove di svolge il bilaterale tra Giorgia Meloni e Donald Trump, missione che, nell’inner circle di Ursula von der Leyen, è stata inserita nella categoria dei “facilitatori” per una distensione tra Europa e America. I segnali, da Washington, non sembrano essere stati negativi. Da Trump non è giunto il solito attacco frontale, anzi. Nelle pieghe delle dichiarazioni alla stampa sembra essersi aperto lo spiraglio per una vera trattativa e per un summit a Roma, tra il presidente americano, “il suo miglior alleato” in Europa e, forse, anche i vertici comunitari. La presidente della Commissione, a stretto giro, dovrebbe tornare a sentire Meloni per un aggiornamento su quanto accaduto alla Casa Bianca.
Nel frattempo, nessuno si è spinto a commentare il bilaterale di Washington. Dalla Commissione Ue hanno reso noto che, più probabilmente, un commento dell’esecutivo è previsto per questa mattina. A microfoni spenti nessuno, a Bruxelles, pensa che la trattativa sui dazi sia diventata improvvisamente in discesa: “Il negoziato resta lungo, l’Europa resta impegnata per un’intesa”, è il refrain che veniva ripetuto a Palazzo Berlaymont. Qualcosa, tuttavia, ora potrebbe essere cambiato perché quell’assicurazione, arrivata dal presidente americano, su un accordo sui dazi tra Ue e Stati Uniti è un passo che non è passato inosservato. E il tempo gioca dalla parte dei pontieri; mancano poco meno di 90 giorni alla fine della cosiddetta “pausa reciproca”: la scadenza cadrà quindi dopo il vertice della Nato all’Aja, quando i Paesi europei sono chiamati ad andare formalmente incontro a una delle richieste di Trump sull’aumento delle spese per l’Alleanza Atlantica. Certo, non basterà.
I tecnici della Commissione Ue sono da giorni al lavoro sui possibili binari su cui trovare un punto di incontro con la Casa Bianca. Le ipotesi sono diverse: si va dall’aumento dell’import di Gnl americano a quello degli acquisti degli armamenti a stelle e strisce. L’idea dei zero dazi reciproci su beni industriali e automobili lanciata dalla Commissione resta sul tavolo ma, dopo la missione di Meloni a Washington, sembra improvvisamente più marginale. Intanto a Bruxelles, si fa spazio l’ipotesi di un nuovo summit straordinario, tutto su dazi e difesa, da tenersi possibilmente dopo il 6 maggio, quando la Germania avrà finalmente il suo Governo.
A Parigi si riuniscono gli inviati di Usa e Ucraina al tavolo dei volenterosi
Prove di dialogo a Parigi dove si sono riuniti, su iniziativa dei “volenterosi”, europei, uomini di Trump e Ministri di Zelensky. Obiettivo: “Una tregua in tempi rapidi e una pace solida e duratura” in Ucraina. In uno scenario di grande tensione mondiale, anche tra Stati Uniti ed Europa, è stata “un’occasione importante”, ha sottolineato Emmanuel Macron. Lo scopo del cosiddetto “formato E3” (Francia-Gran Bretagna-Germania) è di riportare l’Europa in primo piano al tavolo della pace, dopo essere stata messa ai margini dall’irruzione di Donald Trump. Intanto il presidente americano, incontrando la premier Giorgia Meloni, ha chiarito il suo pensiero sulle responsabilità di una guerra e ha quindi aggiunto che “molto presto avremo notizie dalla Russia”, aprendo a una missione di pace europea in Ucraina: “Le missioni di pace sono sempre benvenute”. Nella capitale francese, intanto, si sono succeduti gli incontri, a partire dal pranzo di lavoro all’Eliseo tra Macron, il segretario di Stato americano Marco Rubio, e l’inviato per il Medio Oriente di Donald Trump Steve Witkoff.
Il pranzo è stato seguito da un vertice che ha visto intorno al tavolo Macron, Marco Rubio, Steve Witkoff, il Ministro degli esteri francese Jean-Noel Barrot, Keith Kellog, inviato speciale degli Usa per l’Ucraina e la Russia, Jonathan Powell, consigliere per la sicurezza nazionale della Gran Bretagna, quello tedesco Jens Plotner, il capo di gabinetto di Zelensky Andriy Yermak, il Ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha, e quello della Difesa Roustem Umerov. A fine pomeriggio, si è unito ai lavori David Lammy, segretario di stato britannico. “Quello di oggi è stato un lavoro eccellente” hanno commentato dall’Eliseo “uno scambio di qualità, sulla sostanza, con forte convergenza sui temi di una tregua immediata e di una pace solida e duratura, oltre che sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Continueremo a Londra la settimana prossima”.
Arrivano le nomine nelle partecipate a partire da Autostrade e Snam
La politica ha deciso sulle nomine delle partecipate in scadenza. Un cambio netto arriva per la guida di Autostrade per l’Italia, alla quale approda il tandem Giana-Turicchi, e per Snam nella quale si collocano Agostino Scornajenchi nel ruolo di amministratore delegato e Alessandro Zehentner come presidente. Vengono confermati invece i vertici di Fincantieri mentre per Italgas rimane l’amministratore delegato Paolo Gallo che viene affiancato alla presidenza da Paolo Ciocca, economista di lungo corso tra Bankitalia e Consob che ora ricopre lo stesso incarico in Open Fiber. La girandola di nomi e poltrone appare un cambio della guardia legato alla nuova maggioranza politica.
Questo appare evidente soprattutto nella società Trevi – Finanziaria Industriale, nella quale insieme al futuro ad Giuseppe Caselli viene indicato come presidente Antonio Maria Rinaldi, un economista euroscettico, che si dichiara sovranista e che nel passato è stato eletto con la Lega al Parlamento Ue. Come detto, Agostino Scornajenchi, che guiderà Snam, ha una lunga carriera nel settore energia; ora lascia l’incarico di amministratore delegato di Cdp Venture Capital ma ha ricoperto l’incarico di Cfo in Terna, Engie, Aceaelectrabel ed ha lavorato anche in Enel nel controllo di gestione. Prende il posto di Stefano Venier, superesperto di gas dal profilo d’ingegnere che ha guidato la società e gestito la difficile transizione dalle forniture russe a quelle dei rigassificatori, tra i protagonisti della messa in sicurezza energetica dell’Italia.
In Snam, poi, arriva come presidente Alessandro Zehntner, originario di Merano, ora nel Cda di Enel, che è vicino a FdI: si è candidato per due volte nella circoscrizione estero alla Camera e al Senato mancando però l’elezione; prende il posto di Monica De Virgiliis. Una conferma arriva ai vertici di Fincantieri, Biagio Mazzotta ex ragioniere dello Stato rimane presidente e Pierroberto Folgiero Ad, mentre per Italgas, a fianco dell’Ad Paolo Gallo che viene affiancato alla presidenza da Paolo Ciocca, economista nel passato in Bankitalia e Consob, ma già da tempo impegnato in società e attualmente è presidente di Open Fiber. Autostrade per l’Italia ha invece tenuto la propria assemblea e nominato Antonio Turicchi presidente; Arrigo Giana è invece stato inserito nel Cda che oggi lo nominerà amministratore delegato. Lascerà quindi la guida di Atm Milano.
È scontro tra Governo e Regioni sulle liste d’attesa
È scontro aperto tra il Governo e le Regioni sulle liste di attesa nella sanità e poco conta che entrambe le parti, al termine della riunione della Conferenza Stato-Regioni, utilizzino lo stesso termine, “rammarico”, per la mancata intesa. Lo scontro si gioca sui poteri sostitutivi, quelli che lo Stato farebbe scattare nel momento in cui le Regioni si dimostrassero inadempienti. Nella riunione i presidenti delle Regioni, all’unanimità, hanno chiesto un rinvio per capire quando scattano quei poteri, quali sono le condizioni per attuarli e come si esce da quello che alcuni governatori non esitano a chiamare commissariamento, richiesta alla quale il Governo, rappresentato dal sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, ha risposto negando la proroga. Si apre adesso una finestra di 30 giorni affinché le parti trovino una mediazione. Passato questo mese, in caso di mancato accordo, il Governo potrà varare il Dpcm annunciato nei giorni scorsi e le Regioni potranno ricorrere al Tar.
La rottura non ha solo un sapore tecnico ma anche politico, considerato che a presiedere la Conferenza delle Regioni è il leghista Massimiliano Fedriga, pronto al muro contro muro su questo tema. Dal canto suo il dicastero di Orazio Schillaci ricorda che il decreto “è stato trasmesso alle Regioni il 6 novembre scorso. In questi mesi c’è stata un’interlocuzione costante” e le osservazioni “sono state recepite con spirito di collaborazione”. Dunque “i poteri sostitutivi sono una soluzione estrema in caso di gravi inadempienze” e una “garanzia in più” per i cittadini, non “un’ingerenza nelle competenze delle Regioni”. Dal canto suo la Conferenza delle Regionis ottolinea però che tra i governatori non ci sono state divisioni e che all’unanimità è stata data l’ampia disponibilità al confronto e a trovare soluzioni, anche diverse rispetto alle prime osservazioni inviate al Ministero della Salute. Inoltre mercoledì, nella lettera inviata dalla Commissione Salute della Conferenza, veniva ribadita la richiesta di “definire insieme” i criteri con cui l’esecutivo poteva esercitare i poteri sostitutivi.