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La Giornata Parlamentare. Da Israele Tajani ribadisce la soluzione dei due stati. È allarme in Ue sul caro gas. L’Italia spinge sul nucleare

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Da Israele Tajani ribadisce la soluzione dei due stati. È allarme in Ue sul caro gas. L’Italia spinge sul nucleare. Tensione nella maggioranza dopo il caso delle chat di FdI.

La Giornata Parlamentare è curata da Nomos, il Centro studi parlamentari, e traccia i temi principali del giorno. Ogni mattina per i lettori di Key4biz. Per leggere tutti gli articoli della rubrica clicca qui.

È scontro tra Governo e Cpi sul caso Almasri

Il caso Almasri è tutt’altro che chiuso. Dopo l’informativa dei Ministri in Parlamento, stavolta lo scontro si consuma tra il Governo italiano e la Corte penale internazionale; la nuova miccia è una comunicazione giunta via mail ai magistrati dell’Aja: a puntare il dito contro MeloniNordio e Piantedosi è un cittadino sudanese, vittima del comandante libico; secondo la segnalazione, non consegnando Almasri alla Cpi la premier e i ministri “hanno abusato dei loro poteri esecutivi per disobbedire ai loro obblighi internazionali e nazionali”. La missiva è stata protocollata dalla Corte e secondo il quotidiano Avvenire sarebbe stato aperto un fascicolo all’Aja. Il Governo smentisce: “Non esiste ad oggi nessun procedimento aperto contro l’Italia dalla Corte penale internazionale. Il rifugiato sudanese ha inviato una mail all’indirizzo mail dedicato dell’ufficio del procuratore e questi, spiegano le stesse fonti, non ha ufficialmente inviato la denuncia né al cancelliere né ai giudici. 

“Le comunicazioni sono moltissime, ognuna viene vagliata e solo se ritenuta fondata può originare un procedimento, che richiede mesi. Il tutto viene di solito tenuto riservato, salvo che lo stesso denunciante non lo riveli al pubblico”. La stessa Cpi, attraverso un suo portavoce, tenta comunque un chiarimento: “Secondo lo Statuto di Roma qualsiasi individuo o gruppo di qualsiasi parte del mondo può inviare informazioni al Procuratore della Corte”: si tratta di “comunicazioni”. Il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa dopo aver incontrato il presidente della Cpi Tomoko Akane sottolinea “l’indipendenza e l’imparzialità della Corte”. A caldo erano intanto già arrivate le dure parole del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani: “Forse bisogna aprire un’inchiesta sulla Corte penale, bisogna avere chiarimenti su come si è comportata. Comunque, confermo, l’atto inviato all’Italia era nullo, condivido al cento per cento quello che ha detto il ministro Nordio”. 

Non a caso il ministero della Giustizia ha già allo studio un documento con cui potrebbe già a breve formalizzare ai giudici dell’Aja una richiesta di spiegazioni sulle incongruenze nelle procedure attivate per il mandato di arresto del generale libico. L’opposizione non resta ai margini della bufera ed è pronta a scendere nuovamente in campo, stavolta all’Eurocamera. Il Parlamento dell’Ue ha inserito in calendario, per martedì 11 febbraio a Strasburgo, un dibattito sulla “protezione del sistema di giustizia internazionale e le sue istituzioni, in particolare la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia” e M5S e Sinistra Italiana promettono di usarlo per portare in Europa il caso del generale libico rilasciato. 

Da Israele Tajani ribadisce la soluzione dei due stati

Antonio Tajani vola in Israele per consegnare al Pam 15 camion e le ultime 15 tonnellate di aiuti umanitari raccolti per la popolazione palestinese con l’iniziativa Food for Gaza. E con sé porta la posizione dell’Italia sul futuro di Gaza e il piano di Trump sul controllo americano della Striscia: “La nostra posizione è chiara, due popoli e due Stati” e “ogni altra mossa sarebbe velleitaria, sbagliata e direi controproducente”, ha detto chiaramente il vicepremier pochi minuti prima di incontrare al porto di Ashdod il suo omologo israeliano Gideon Sa’ar, che invece vorrebbe spingere Roma a sposare l’iniziativa del tycoon. “Israele e Italia sono stretti alleati degli Usa e i nostri Governi sono vicini a Trump e alla sua amministrazione. Oggi credo sia importante ascoltare attentamente le nuove idee che sono state proposte e pensare fuori dagli schemi”, ha detto il Ministro israeliano che ha poi ribadito: “Gaza è un esperimento fallito” e “ha certamente fallito sotto il regime di Hamas. La Striscia nel suo stato attuale non ha futuro. Dobbiamo cercare di trovare una soluzione diversa”, è la posizione del suo Governo. 

Sin dall’annuncio del tycoon, l’esecutivo Netanyahu ha spinto l’iniziativa americana per una Gaza a controllo americano e un trasferimento dei palestinesi in Egitto e Giordania: “Penso che gli Usa siano un ottimo candidato per ripristinare la Striscia dopo la guerra, e penso che ciò dimostri solo l’impegno per un futuro migliore in questa regione”, ha detto Sa’ar in conferenza stampa. Accanto a lui, Antonio Tajani ha ribadito che ora “è il momento di lavorare per il futuro, ci sono molte idee ma l’Italia crede nella soluzione dei due Stati”, seppure “al momento per noi è impossibile riconoscere uno Stato palestinese perché non c’è”. L’orizzonte resta comunque, secondo l’Italia,  quello di una riunificazione della Palestina sotto la guida dell’Anp ed è pronta a sostenere le autorità di Ramallah per realizzare le dovute riforme e ottenere credibilità agli occhi di Israele che la accusa di dare sostegno ai terroristi. 

Quello che è chiaro per Tajani e per Sa’ar è che Hamas non potrà mai tornare a governare Gaza. E in questa direzione va anche la decisione di Roma di smarcarsi dalle attività dell’Unrwa nell’enclave: “Le Nazioni Unite per noi a Gaza sono rappresentate dal Pam, noi preferiamo questa organizzazione”, ha detto Tajani, trovando il plauso delle autorità israeliane. “Unrwa non è parte della soluzione, è parte del problema”, gli ha fatto eco Sa’ar, secondo cui “chi vuole sostenere gli sforzi umanitari a Gaza dovrebbe investire risorse in organizzazioni alternative. Quindi ti ringrazio Ministro Tajani per la leadership mostrata da te e la premier Meloni col progetto Food for Gaza”. 

È allarme in Ue sul caro gas. L’Italia spinge sul nucleare

prezzi del gas quest’anno saranno più alti rispetto al 2024. L’allarme lo ha lanciato la Commissione Ue, spiegando che sul mercato pesa la fine delle forniture dalla Russia. I prezzi del gas, scrive la Commissione Ue in un documento inviato ai Paesi membri, resteranno “leggermente più alti in media nel 2025” rispetto all’anno scorso. Nel corso dell’anno si prevede che i prezzi all’ingrosso si mantengano tra i 40 e i 50 euro al megawattora. Secondo la Commissione, i mercati del metano saranno “fragili” per alcuni mesi, dopo la fine dell’accordo per il transito del gas tra Russia e Ucraina. Ma il problema è più profondo: i prezzi del gas per l’industria europea rimangono “quasi cinque volte più alti” rispetto agli Stati Uniti. 

Il 26 febbraio, la Ue rivelerà il suo piano per far scendere i costi dell’energia. Di fronte ai rincari previsti per il 2025, la Commissione Ue ha ripreso in considerazione l’ipotesi di sganciare il costo dell’elettricità da quello del gas, oggi legati. Col “disaccoppiamento”, la corrente prodotta con le rinnovabili costerebbe meno, e farebbe abbassare le bollette. È un provvedimento che in Italia viene chiesto a gran voce da Confindustria. Nel nostro Paese intanto va avanti il processo per tornare al nucleare, anche se a lungo termine visto che si parla di una decina d’anni per riavere le centrali. Il piano nazionale per l’energia, il Pniec, prevede che al 2050 l’atomo fornisca almeno l’11% dell’elettricità italiana, fino al 22%. 
EnelAnsaldo Energia Leonardo hanno raggiunto l’intesa per costituire una società per produrre i reattori nucleari di terza generazione avanzata (gli small modular reactor, motori di sommergibili dentro cilindri di metallo) e per studiare quelli di quarta generazione (gli advanced modular reactor, raffreddati a piombo liquido e alimentati con le scorie delle vecchie centrali). Il futuro “campione nazionale” dell’energia atomica è stato promosso dal ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti, che ha messo insieme le tre grandi aziende pubbliche. Enel avrà il 51%, Ansaldo Energia il 39% e Leonardo il 10%. 

Tensione nella maggioranza dopo il caso delle chat di FdI

Matteo Salvini è “un cialtrone”, “ridicolo”, “incapace”, “un Renzi di destra”, un politico che fa “accordi sottobanco con Renzi per il cognato Denis Verdini”. Non erano alleati all’epoca, ma ora che il Fatto quotidiano pubblica commenti tutt’altro che teneri verso il leader leghista comparsi nelle chat interne di FdI ai tempi del governo Conte I sono inevitabili le fibrillazioni fra il partito di Giorgia Meloni e quello del vicepremier. Anche perché uno degli affondi più sferzanti viene attribuito al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, braccio destro della premier: “Il ministro bimbominkia colpisce ancora”, il commento scritto su WhatsApp dopo la visita in Israele dell’allora Ministro dell’Interno, che definì gli Hezbollah “terroristi islamici” aprendo uno scontro diplomatico con il Libano. Sono “battute di diversi anni fa fatte in una chat ristretta, in periodo in cui i rapporti tra FdI e Lega non erano granché” minimizza Fazzolari. Il suo dispiacere, spiega, è per il tentativo di “creare tensioni all’interno della maggioranza quando i rapporti umani e politici sono in realtà eccellenti. Provo stima e amicizia per Matteo Salvini, è anche grazie a lui che il centrodestra è tornato al governo e sta ottenendo grandi risultati per l’Italia”. 

Molti, non solo a destra, sono ansiosi di spulciare le 336 pagine del libro del giornalista del Fatto Giacomo Salvini, “Fratelli di chat, storia segreta del partito di Giorgia Meloni”. Alla vigilia dell’uscita, le anticipazioni hanno prodotto una significativa irritazione da parte della premier e ai piani alti di FdI, anche perché qualcuno dall’interno ha fornito il materiale. In ogni caso l’ordine di scuderia in FdI è “silenzio” e lo stesso vale nella Lega. Intanto però Matteo Renzi attacca “Questa è l’Italia oggi: un Paese che è governato dai bimbominkia e da persone senza onore per loro stessa ammissione. Chi si dimette oggi? Salvini o Fazzolari? O, meglio, tutti e due?”. 

Malumori nel M5S per il tardano sulle regole sui mandati 

Sembra esserci del malumore diffuso all’interno del M5S per il ritardo nella formalizzazione della proposta di nuove regole sui mandati elettivi nelle istituzioni. Il famoso limite dei due mandati è stato abolito dal voto degli iscritti lo scorso novembre, ma i quesiti erano multipli, un sondaggio più che una decisione: mentre è certo che potrà candidarsi a sindaco o presidente di Regione anche chi avrà già completato i due mandati parlamentari, per le altre norme da inserire nel Codice etico il presidente del Movimento Giuseppe Conte si è confrontato per ben due volte a gennaio con il Consiglio nazionale ed ha promesso di depositare una proposta al Comitato dei Garanti. Per ora tutto sembra fermo e nulla finora è stato formalizzato all’organismo presieduto dall’ex presidente della Camera Roberto Fico. Se ci sono state interlocuzioni “probabilmente hanno viaggiato informalmente solo sull’asse Conte-Fico”, oltre che su quello fra Conte e il fedelissimo deputato-notaio Alfonso Colucci, “forse l’unico che viene consultato davvero sulla materia” è l’indiscrezione. 

Fonti vicine al leader garantiscono che il taglia e cuci giuridico “è prossimo al deposito”, ma cosa è andato storto, allora? Il punto è che soprattutto la seconda riunione del Cn è stata alquanto vivace ed ha lasciato emergere diffuse perplessità sugli orientamenti espressi da Conte. Chi c’era, però, racconta che molti fra parlamentari e dirigenti “davano per scontato che il limite dei due mandati, sconfessato dagli iscritti, fosse superato almeno in Direzione di un terzo giro nei palazzi”, mentre Conte ha frenato sia internamente che all’esterno, facendo filtrare la sua ferrea volontà di non consentire la trasformazione del Movimento in una fabbrica di carriere politiche. L’assemblea gli ha restituito, se non un “no” franco, quantomeno una diffusa insoddisfazione rispetto alla sua idea di impedire la liberalizzazione del terzo mandato elettorale, filtrandola attraverso il sistema delle deroghe al limite di due elezioni, ma il nodo resta ancora uno e uno solo: che decide?

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