La manovra deve tornare in Commissione. Poi il voto dell’Aula
Rischia di incartarsi ancora il percorso della manovra in Parlamento. Quasi certamente, infatti, dopo l’approdo in Aula questa mattina sarà necessario un ritorno in Commissione bilancio per aggiustamenti che la maggioranza liquida come “tecnici” ma che le opposizioni, invece, temono possano essere “di sostanza”. Per questo gli occhi sono puntati sul lavoro che, dopo due nottate di voti a raffica, gli uffici tecnici della Camera e del Mef stanno portando avanti per comporre il testo. Nella settimana di votazioni sono andati in scena stop and go, riunioni di maggioranza e confronti con l’opposizione, maxi-emendamenti ritirati e poi spacchettati e una decina di riformulazioni di Governo e relatori, e il testo iniziale, in effetti, ha subito una decisa metamorfosi. E ora, nelle 36 ore canoniche dal via libera in commissione all’Aula, le norme vanno ricomposte con la verifica di votazioni e tabelle. Su tutto questo pesa un timing ormai decisamente stretto e complicato: la maggioranza mantiene l’obiettivo dell’approvazione finale della Camera entro la mezzanotte di venerdì ma non è escluso, se il lavoro in Commissione non fosse meramente tecnico, che possa slittare a sabato mattina, solo per le dichiarazioni di voto e il voto finale, in tempo per la chiusura dell’Aula e la sua preparazione al concerto di Natale che si terrà nel pomeriggio alle 16.00.
I tempi, fissati in una capigruppo nella quale si sono registrati nervi tesi tra maggioranza e opposizione, prevedono l’approdo questa mattina alle 8.00 e poi un eventuale ritorno in Commissione prima della richiesta della fiducia che, propone provocatoriamente la premier Giorgia Meloni in Aula al Senato, potrebbe essere evitata. “So che la fiducia è stata prevista in accordo con le opposizioni, se ci fosse un accordo sui tempi senza voto di fiducia sarebbe preferibile”. “Com’è umana lei…”, è la replica ironica e di fantozziana memoria di Matteo Renzi. Insomma, il clima non è affatto dei migliori. E ad ogni modo un passaggio in Commissione viene dato abbastanza per scontato sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Ed è una procedura che ha comunque dei precedenti. La palla passerà poi all’Aula della Camera e poi al Senato per l’approvazione definitiva.
Al Consiglio Ue le priorità di Meloni sono migranti e auto
È ancora il tema dei migranti la priorità di Giorgia Meloni nel primo Consiglio europeo della nuova legislatura, in programma oggi a Bruxelles. Gli sherpa italiani hanno lavorato per far inserire nelle conclusioni del summit un riferimento alle “soluzioni innovative” (modello Albania) per la gestione della migrazione irregolare e un riferimento alla normativa sui rimpatri che la Commissione si è impegnata a presentare al più presto, assieme ad un invito a procedere “speditamente” alla sua approvazione. Allo stesso tempo, a margine dei lavori di oggi, è stato convocato un nuovo incontro dei Paesi interessati a discutere informalmente delle cosiddette “nuove soluzioni”, dopo quello che si era svolto all’ultimo vertice Ue in ottobre per iniziativa dei capi di governo di Italia, Olanda e Danimarca, aperto a tutti gli altri colleghi disposti a partecipare. Questa volta, secondo quanto hanno riferito fonti diplomatiche a Bruxelles, a ospitare l’incontro sarà la delegazione olandese, mentre in ottobre era stata quella italiana.
Al centro della discussione dovrebbero esserci la nuova proposta legislativa sui rimpatri che von der Leyen ha annunciato per il mese di marzo e soprattutto la possibilità di utilizzare i trattamenti preferenziali nel commercio e la liberalizzazione dei visti con i Paesi terzi sicuri che non intendono riprendersi i propri cittadini, emigrati illegalmente nell’Ue, cui è stato rifiutato l’asilo e che dovrebbero essere rimpatriati: “Dobbiamo fornire incentivi ai paesi d’origine affinché si riprendano i loro migranti”. Altro tema che sta a cuore alla premier è quello della competitività europea e in particolare la crisi dell’automotive. Italia e Repubblica Ceca hanno presentato un “non-paper” in cui si chiede, tra le altre cose, di bloccare le multe per le emissioni alle case costruttrici e di rivedere lo stop ai motori endotermici nel 2035. Oggi sia Meloni sia il ceco Petr Fiala torneranno a porre la questione nel corso della sessione dedicata al ruolo globale dell’Ue. Dal Senato la Premier ha ribadito: “Abbiamo contestato la corsa all’elettrico non molto sensata. Non abbiamo la tecnologia e le materie prime, quindi non è una strategia efficace. Sono soddisfatta e ottimista perché molti Paesi ci stanno seguendo su questa strategia, bisogna continuare a lavorare. Si tratta di difendere una filiera fondamentale dell’industria”.
Il maggiore fattore d’incertezza per l’Ue resta comunque il ritorno di Donald Trump, in primo luogo per la guerra in Ucraina. Ieri a Bruxelles c’era il presidente Volodymyr Zelensky, che ha partecipato all’incontro a cena convocato dal segretario generale della Nato Mark Rutte, presenti la stessa Meloni, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, i ministri degli Esteri di Francia e Gran Bretagna (in rappresentanza di Emmanuel Macron e Keir Starmer), Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. Sul tavolo proprio il sostegno a Kiev, in vista di un possibile disimpegno degli Usa, compreso l’eventuale invio di una forza d’interposizione in caso dell’avvio di un processo di pace. “Non possiamo rinunciare ai nostri territori, la Costituzione ucraina lo proibisce”. De facto” Crimea e Donbass “sono attualmente sotto il controllo russo, ma non abbiamo la forza di reclamarli. Possiamo solo contare sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a venire al tavolo delle trattative”, ha ammesso il leader ucraino. A lui i 27, anche oggi, ribadiranno pieno sostegno, ma nessuno nasconde la preoccupazione di fronte alla prospettiva di dover fare a meno dell’impegno, fin qui determinante, di Washington.
Tensione in Senato tra Meloni e le opposizioni
Quello che è certo è che Giorgia Meloni non sa resistere alle provocazioni e quando prende la parola a Palazzo Madama, prima calma e poi in un crescendo d’irritazione, si “difende” (“potrò farlo se mi attaccano no?”) e ne ha per tutti. Per il senatore a vita Mario Monti che le imputa di “imporre un protettorato all’Italia” nei rapporti con Elon Musk, e per Matteo Renzi che “si metteva il cappotto uguale a Obama”, per i Cinque Stelle che la chiamano “serva delle lobby delle banche” e pure per il Pd che, tra le altre cose, ha “tenuto in ostaggio” la nomina di Raffaele Fitto per “difendere il commissario spagnolo”. Ma “c’è una differenza fra noi e voi”, traccia una linea la premier, perché “io parlo con tutti ma non prendo ordini da nessuno”. Aprendo la replica alle consuete comunicazioni in vista del Consiglio europeo, la premier la prende larga e parte dal leitmotiv dell’Europa che deve cambiare passo e abbandonare l’approccio “ideologico” al green che rischia di portare alla “deindustrializzazione” senza difendere l’ambiente. Bisogna ingranare un’altra marcia, pragmatica, per sostenere il sistema produttivo in crisi, a partire dall’automotive. E sulla stessa falsariga ribadisce che il sì italiano all’accordo Ue-Mercosur arriverà solamente con le dovute “compensazioni” in particolare per gli agricoltori.
Quando piovono in Aula le accuse delle opposizioni, la premier prende appunti, che consulta mentre parla a braccio. Le scintille vere arrivano proprio nei confronti del Movimento. Non ci sta a sentirsi descrivere come “serva delle lobby delle banche” visto che il suo Governo, rivendica, è quello che a Istituti di credito e Assicurazioni ha chiesto tre miliardi e mezzo a copertura della manovra. Il suo, ripete anche in Senato dopo averlo urlato dal palco di Atreju pochi giorni fa, è il Governo che ha “buttato fuori la mafia” dalla gestione dei migranti legali e da Caivano. “Inutile che fate ooh, i camorristi dalle case occupate li abbiamo cacciati noi”, risponde alle reazioni di disappunto delle opposizioni che al termine del suo intervento parleranno a vario titolo di “arroganza”. A Renzi che “sorride” in Transatlantico sulla norma ad hoc “contro di me” in manovra, una “misura sovietica che mostra una deriva sudamericana”, Meloni risponde poi sui centri in Albania e pure sui rapporti con Javier Milei, “la persona giusta per l’Argentina” ma non per questo “mi faccio crescere le basette come lui”, ripete la battuta Meloni.
In caso di condanna di Salvini la Lega è pronta alla piazza
La Lega è con il suo leader. E se Matteo Salvini venisse condannato nel processo Open arms che domani si chiuderà a Palermo, il partito scenderà in piazza. Di sicuro il vicepremier sarà a Palermo venerdì, dove è accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver impedito, da Ministro dell’Interno, lo sbarco di 147 migranti soccorsi dalla ong Open Arms e rimasti in mare 19 giorni, nell’agosto 2019. Per lui il pm ha chiesto sei anni di carcere. Sul verdetto non circola ottimismo nel partito. A bassa voce molti temono comunque una condanna, anche se più lieve di 6 anni. E reagiscono con amarezza al pensiero, per il segnale di debolezza che l’eventualità darebbe al Governo più che al partito. Lo spirito più battagliero è incarnato dai ‘colonnelli’ del segretario; in testa Andrea Crippa, uno dei vice di Salvini: fedele al suo stile agguerrito e senza peli sulla lingua rimarca che “Un’eventuale condanna sarebbe un fatto gravissimo, una condanna all’intero popolo italiano, al Parlamento e quindi al Governo eletto direttamente dai cittadini”. Crippa annuncia: “Tutto il partito è pronto alla mobilitazione in caso di condanna”.
Niente di più, ma finora è esclusa un’iniziativa a Palermo anche per ragioni di collegamenti con l’isola e complice il clima natalizio. Ma la preoccupazione risuona anche al Senato. Se ne fa portavoce Marco Dreosto; con un inciso, parlando di immigrazione e forse approfittando della presenza della premier Giorgia Meloni in Aula, il senatore attacca: “È scandaloso, lo ripeto scandaloso, che un ministro della Repubblica sia portato a processo per aver fatto il proprio dovere. Difendere i confini non è un reato, è un dovere e un atto di responsabilità”. E la vicinanza non è solo come leghisti, ma come italiani. Poco dopo, la premier si associa e ribadisce “la solidarietà di tutto il Governo” provocando l’applauso del centrodestra.
Tutti in piedi, senatori e i ministri presenti. A fare il tifo per lui anche Andrea Delmastro di FdI: “Sono convinto che terminerà con un’assoluzione, una condanna sarebbe un fatto molto grave”. E il sottosegretario alla Giustizia aggiunge: “Ho sentito una requisitoria del pm e mi è sembrata un proclama da centro sociale più che una requisitoria”. Salvini non è in aula al momento degli applausi. Arrivato a inizio seduta, ci è rimasto pochi minuti. Ma l’abbraccio dei suoi l’ha testato a Bruxelles, con il sostegno degli eurodeputati leghisti e dei Patrioti che si sono messi in posa con la maglietta Colpevole in stile Wanted. E a Roma, incontrando parlamentari e collaboratori la sera prima, cena per i tradizionali auguri di Natale in un’enoteca a pochi passi dal Pantheon: clima tranquillo, ma stavolta l’umore è meno festaiolo e incerto.
Alla Camera
L’Assemblea della Camera tornerà a riunirsi alle 8.00 per l’esame, in prima lettura, del Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025 e del bilancio pluriennale per il triennio 2025-2027 e dell’eventuale Nota di variazioni. Per quanto riguarda le Commissioni, nella giornata di oggi non si riuniranno.
Al Senato
Nella giornata l’Assemblea del Senato non si riunirà. L’Aula di Palazzo Madama tornerà a riunirsi lunedì prossimo per le comunicazioni del Presidente in ordine ai lavoro per l’esame della legge di bilancio. Anche le Commissioni non terranno seduta.