La Consulta rende illegittime alcune disposizioni dell’Autonomia differenziata
Stop della Consulta a sette profili della legge sull’Autonomia, dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) alle aliquote sui tributi. Al secondo giorno di Camera di consiglio arriva la decisione della Corte che accoglie parzialmente i ricorsi delle quattro Regioni guidate dal centrosinistra (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) che hanno impugnato la legge Calderoli. I giudici hanno ritenuto “non fondata” la questione di costituzionalità dell’intera legge considerando invece “illegittime” alcune specifiche disposizioni. Da qui l’invito al Parlamento a “colmare i vuoti”. Tra i sette profili della legge ritenuti incostituzionali c’è la previsione che sia un Dpcm a determinare l’aggiornamento dei Lep; bocciato anche il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei Lep sui diritti civili e sociali senza idonei criteri direttivi con la “conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”.
Stop, inoltre, alla possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito perché “potrebbero essere premiate proprio le Regioni inefficienti che non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”. Ma al di là delle bocciature, comunque importanti, la Corte rimette al centro il principio di sussidiarietà. E sottolinea che la distribuzione delle funzioni legislativa e amministrative tra Stato e Regioni “non” deve “corrispondere all’esigenza di un riparto di poteri tra i diversi segmenti del sistema politico” ma deve avvenire “in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione”. È, dunque, “il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni”, e per questo l’Autonomia “deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”.
“Sono esattamente gli obiettivi che vogliamo realizzare e che realizzeremo”, osserva il Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli sottolineando che la Consulta “ha chiarito in maniera inequivocabile che la legge sull’autonomia differenziata nel suo insieme è conforme alla Costituzione. Su singoli profili della legge attenderemo le motivazioni della sentenza, per valutare gli eventuali correttivi da apportare”. La sentenza verrà depositata nelle prossime settimane e peserà inevitabilmente anche sui quesiti referendari, non tanto su quello abrogativo della legge ma sugli altri che la Cassazione stessa potrebbe riformulare oppure dichiarare superati.
La sentenza ha scatenato le reazioni della politica. Le opposizioni in blocco esultano sostenendo che la riforma è stata “demolita” e che la “secessione non ci sarà”. “Bastava leggere meglio la Costituzione per evitare questo ennesimo flop con una legge che ha dei profili d’incostituzionalità” commenta la segretaria del Pd Elly Schlein. Per il leader M5S Giuseppe Conte “la Corte Costituzionale frena il progetto di autonomia con cui Meloni, Salvini e Tajani volevano fare a pezzi il tricolore e la nostra unità”. Da Forza Italia, invece, sostengono che “il rilievo della Consulta va nella direzione già indicata” dal partito che ha “sempre sottolineato l’importanza di mettere in sicurezza e definire i Lep. Il percorso della riforma non si arresta”.
Mattarella fa l’endorsement a Fitto. In Ue sarà tutto fermo fino al 20
Slitta alla prossima settimana la decisione sulla nomina dei vicepresidenti della nuova Commissione europea, compresa quella di Raffaele Fitto, che ieri ha avuto il “supporto” del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il Capo dello Stato ha ricevuto al Quirinale il Ministro cui ha “formulato gli auguri per l’affidamento dell’incarico, così importante per l’Italia, assegnatogli dalla presidente Von der Leyen nell’ambito della Commissione dell’Ue”. Per il momento però la nomina di Fitto resta congelata, perlomeno fino al 20, quando Teresa Ribera si presenterà al Parlamento spagnolo per riferire sui danni provocati dalla Dana in Spagna e sui presunti errori e ritardi nella gestione dell’emergenza. Non è escluso un ulteriore rinvio, alla settimana successiva, prima che si arrivi al voto di fiducia del nuovo esecutivo comunitario, a Strasburgo mercoledì 27 novembre. Per il capo delegazione di Fi nel Ppe Fulvio Martusciello “c’è una landing zone, una zona di atterraggio: la settimana prossima si troverà un accordo, probabilmente. Si aspetta, il 20 novembre, che Teresa Ribera renda delle spiegazioni al Parlamento spagnolo, poi presumo che si possano approvare le nomine di tutti i vicepresidenti esecutivi” designati per la nuova Commissione. Teresa Ribera, socialista spagnola, è una dei sei vicepresidenti esecutivi, con gli importanti portafogli della Transizione giusta e della concorrenza.
È lei, molto più degli altri due candidati bloccati, il vicepresidente esecutivo designato italiano, Raffaele Fitto e il commissario designato ungherese Oliver Varhelyi, il vero “casus belli” che ha bloccato il processo di approvazione delle audizioni. Come Ministra per la Transizione verde del suo paese è stata accusata in modo durissimo dal Partido Popular e dall’estrema destra in Spagna di avere delle responsabilità nella cattiva gestione dell’emergenza durante la catastrofica inondazione di Valencia, che ha causato oltre 200 morti; il Ppe ha appoggiato le accuse. La sensazione a questo punto è che, una volta sbloccato dal Ppe il via libera per l’audizione di Ribera, i Socialisti e Democratici (S&D) e i liberali di Renew rinunceranno a chiedere a von der Leyen di togliere a Fitto il ruolo di vicepresidente esecutivo, se la presidente della Commissione assicurerà che non intende cambiare la sua “maggioranza europeista” di riferimento, che l’ha sostenuta a luglio. Perché il maggior potere affidato all’italiano nel nuovo Esecutivo Ue non è legato a un ingresso nella maggioranza del suo gruppo di destra, l’Ecr, ma è piuttosto un gesto di riguardo per l’importanza del suo Paese di provenienza.
Intanto sulla nomina di Fitto Giorgia Meloni, da Perugia, torna ad attaccare il Pd: “Da giorni chiedo alla segretaria del Pd di dire quale sia la posizione ufficiale del Pd e non riesco ad avere una risposta. Dice: Non devo rispondere alla Meloni. Non deve rispondere a me ma ai cittadini italiani, le persone serie fanno così. Rimango basita. Penso che ciascuno si debba assumere la responsabilità delle proprie scelte”. Pronta la replica Dem con il vicecapogruppo alla Camera Toni Ricciardi: “Con che coraggio Meloni mette in discussione la serietà del Pd sul voto a Fitto? La prima domanda dovrebbe farla al suo vice premier Salvini che non voterà la Commissione e il Commissario Fitto. Non prendiamo lezioni di serietà da chi si arrampica sugli specchi ogni giorno per nascondere le proprie divisioni. Quelle sì che fanno male all’Italia”.
Meloni chiarisce: rispetto i ruoli ma sui migranti vado avanti
Il botta e risposta fra Elon Musk e Sergio Mattarella non l’ha citato ma dello stop dei giudici al trattenimento dei migranti in Albania ha parlato eccome. Dal palco di Perugia per la chiusura della campagna elettorale in Umbria, la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha ribadito la sua posizione: “Io tengo al rispetto dei ruoli e dico che intendo andare avanti sull’immigrazione e fare tutto il possibile per fermare l’immigrazione irregolare, piaccia o non piaccia alla sinistra”. Per la premier sono “irragionevoli alcune decisioni di una parte della magistratura”.
Poi, l’acqua sul fuoco: “Non m’interessa nessuno scontro con la magistratura. Non perseguo alcuno scontro, ho rispetto per le istituzioni della Repubblica ma devo poter fare il mio lavoro e mantenere l’impegno che mi sono assunta con il popolo italiano. Bisognerebbe darci tutti una mano. Il governo sbaglia? Ha interpretato male qualcosa? Ok, diamoci una mano. Bisogna correggere, ma non impedire, perché è un’altra cosa”. Poco prima, dallo stesso palco, era stato il vicepremier Matteo Salvini a ribadire: “C’è gente che parla di scontro fra poteri, con la magistratura, ma non abbiamo tempo da perdere per scontrarci o polemizzare con nessuno, noi facciamo il nostro e sarebbe bene se ognuno facesse il suo. Rimandare a casa i delinquenti stranieri è un dovere di ogni governo”.
È rush finale per le regionali in Umbria ed Emilia Romagna
La politica nazionale ora è concentrata sulle regionali in Umbra ed Emilia-Romagna. Il centrodestra si è presentato a Perugia con tutti i leader insieme sul palco: Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Salvini e Murizio Lupi. D’altronde, la sfida per la guida della Regione Umbria fra la candidata di centrodestra Donatella Tesei e quella di centrosinistra Stefania Proietti è sul filo di lana, serve un di più. Per il centrosinistra, invece, nessun comizio tutti insieme. Anche se Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli alla fine sono riusciti a trovare un appuntamento comune, il presidio all’Azienda Ospedaliera “Santa Maria” di Terni. La difesa della sanità pubblica è un tema che unisce le opposizioni. Dal palco di Perugia, la premier non ha perso l’occasione per attaccare: “Non si sono ancora visti insieme. Si vergognano uno dell’altro e si vergognano a farsi vedere”.
Meno incerto il voto in Emilia-Romagna dove il centrosinistra corre con Michele de Pascale e il centrodestra con Elena Ugolini. In giornata, la regione è stata battuta da Conte, Fratoianni e Bonelli, mentre Schlein era in Umbria. “Continueremo a insistere per difendere la sanità pubblica dai tagli e dalla privatizzazione di questa destra” ha detto la segretaria Pd ribadendo che “Il voto che ci sarà domenica e lunedì sarà cruciale perché gli umbri si possano riprendere in mano il proprio futuro e il proprio diritto costituzionale a curarsi”. Meloni spera nel colpaccio: “Mancano poche ore alla fine della campagna elettorale. Chissà che l’Umbria non sia la 12esima vittoria su 13 da quanto il Governo ha iniziato il suo lavoro”. Antonio Tajani ha attaccato la candidata di centrosinistra in Umbria: “Quando si strappa il programma del candidato del centrodestra vuol dire che qualcosa non funziona. Strappare il programma significa che non hai argomenti, se non l’insulto e mortificare chi non la pensa come te. Strappare significa: non ti rispetto, è spazzatura”. E la premier, sferzante: “Noi il loro programma non lo strapperemmo neanche se ne avessero uno”.
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Il M5S è quasi pronto per la Costituente. Rebus quorum
Tra poche ore, ci sarà la pubblicazione ufficiale dei quesiti che saranno messi ai voti dell’Assemblea costituente del M5S. Gli iscritti si esprimeranno su questioni centrali per il futuro del Movimento, dalla modifica del ruolo del garante, alla revisione del tetto dei due mandati, fino al tema delle alleanze. Nella stesura finale dei quesiti s’infittiscono le riflessioni sulle parole più equilibrate da usare e sull’impalcatura delle procedure di voto, dettagli non da poco, che potrebbero determinare il successo o l’insuccesso dell’intera operazione. I timori, che cominciano a diffondersi nelle fila pentastellate, sono legati soprattutto al raggiungimento del quorum della metà più uno degli iscritti, necessario per validare al primo turno la votazione dei quesiti sulle modifiche allo Statuto. Meticolosità e prudenza, dunque, sono riservate soprattutto ai cosiddetti quesiti statutari. Sul ruolo di Beppe Grillo, è andato in scena un ampio dibattito al tavolo di lavoro: Giuseppe Conte avrebbe invitato a non estremizzare la scrittura, con l’intenzione di non proporre all’Assemblea uno scontro personale tra presidente e fondatore. Difficile, però, non tenere conto di una consistente fetta della base favorevole all’abolizione della carica, che potrebbe così finire tra i quesiti.
Insieme a modifiche intermedie, che vanno dal ruolo a tempo determinato alla carica onorifica. Sul simbolo, invece, il quesito sarebbe orientato sulla revisione delle regole per modificarlo. Lo Statuto, infatti, prevede una proposta concertata tra presidente e garante, difficilmente raggiungibile con la guerra in corso tra Conte e Grillo. Invece, tra i cosiddetti quesiti di indirizzo, che non necessitano di quorum, ci saranno quello sulla collocazione politica del Movimento, con opzioni che potrebbero oscillare tra il divieto di alleanze e il posizionamento nel campo progressista, e quello che prevede diverse opzioni per superare il limite dei due mandati. Lo sforzo delle ultime ore è riservato a rendere facilmente intellegibili e snelle le operazioni di voto per gli iscritti, con l’ipotesi di aprire a votazioni selettive e rinunciare dunque a un voto obbligatorio sull’integrità dei quesiti. Quorum o meno, la sfida per Conte resta quella di ottenere un mandato forte dalla Costituente, che passa anche dal numero di iscritti che voteranno online. Nelle ultime consultazioni, la partecipazione ha oscillato tra il 15 e il 20%. Ora, dal dato dell’affluenza dipenderà anche la forza dell’annuncio finale all’evento Nova a Roma.