Sono perplesso Mamma, papà potete risolvere questo dilemma: perché e lo chiedo a voi, un dispositivo che è nato per permettervi di avere più tempo per stare con me viene utilizzato per togliervi del tempo da me, per assentarvi e per farmi assentare quando invece dovremmo stare insieme. Soprattutto ora che sono così piccolo ho voglia di avere ricordi con voi, solo con voi senza voci digitali in campo. Mamma perché le fiabe della buonanotte le devo ascoltare da Alexa e non dalla tua voce?
Il pensiero del bambino immaginario, Joe che l’intuito geniale di Daniel Stern ha reso voce narrante nel testo “Diario di un bambino” (1999), assumerebbe oggi, nell’era digitale, un tono di monito verso genitori distratti dalla tecnologia che la utilizzano come alleato genitoriale sbagliando tempi e modalità di inserimento, destrutturandola del valore di risorsa a vantaggio di un tempo relazionale pieno. Monito che si potrebbe caricare delle voci di illustri esponenti che hanno contribuito a dare forma alla moderna psicologia dello sviluppo a partire da Anna Freud, Donald Winnicott, Selma Fraiberg, John Bowlby solo per citarne alcune, che nell’uso maldestro della tecnologia da parte di adulti poco consapevoli, vedono quotidianamente calpestati assunti cardine del loro contributo scientifico. Anni di ricerche, di elaborazioni teoriche, di messe in evidenza, di sperimentazioni che hanno sistematizzato linee guida scientificamente fondate per crescere i bambini su una traiettoria di sviluppo sana e funzionale. Il benessere delle nuove generazioni, è il benessere della società, del futuro che traghetta nell’hic et nunc, tutti i bambini che non sono stati visti, che hanno sofferto, che si sono fatti depositari di sofferenza per far aprire gli occhi agli adulti e risvegliarli rispetto alla loro istintiva necessità di essere oggetto di cure, d’amore, di attenzioni, di bisogni. Voci di bambini, e di scienziati che mettono in primo piano l’affettività e non la materialità di un tempo in cui l’artificio affettivo deve essere lasciato fuori. Non si può e non si deve delegare presenza affettiva e impegno genitoriale, funzionale all’espressione e alla modulazione della stessa, ai dispositivi digitali prima ancora che si cementino, nel corso della ripetizione dell’esperienza, circuiti di presenza affettiva consolidata. L’essere connesso all’altro nei social con consapevolezza e responsabilità si struttura dapprima nella palestra di vita della famiglia, nell’essere in relazione con, che permette di utilizzare il digitale come estensione affettiva in caso di assenza fisica. Lo sanno bene i genitori e figli all’estero ad esempio, che hanno assoggettato le videochiamate a baluardo affettivo di rassicurazione e incoraggiamento e che riconsolidano ogni volta connessioni primarie distanti nel tempo. Bacio della buonanotte che si ripete a distanza da adulti con messaggi e videochiamate.
Un prima affettivo che permette di utilizzare lo strumento a vantaggio del sé e del noi relazionale.
Il bambino apprende dalla voce del genitore, con la mamma, con la figura affettiva di riferimento che gli insegna a sintonizzarsi, a riconoscere stati emotivi, a viverli, a sperimentarli. Il bambino ha la necessità di essere pensato, visto, riconosciuto, aiutato a conoscere e riconoscere e nell’acquisizione di questo vocabolario affettivo, sul quale si plasmeranno il suo modo di comunicare e di essere in relazione, non si possono delegare compiti che in realtà sono veri e propri imprinting affettivi.
La buonanotte, il rituale dell’addormentamento, in cui ci si lascia per ritrovarsi, è un terreno esperienziale di acquisizione affettiva che non può, e non deve essere inficiato da una presenza robotica che mima rassicurazione e calore. Il bacio della buonanotte con il quale sono cresciute tante generazioni non può essere sostituito da un bacio robotico perché si ha poco tempo o nella scusa, baluardo di inconsapevolezza digitale, si fa familiarizzare subito il bambino con la tecnologia.
Gli occhi attenti e sbarrati del bambino ci ricordano che il contatto diretto degli sguardi è il canale primario di sintonizzazione e i bambini, da abili rilevatori della stessa, sanno ben discriminare presenza da assenza affettiva. Lo fanno con le mamme, figurarsi con le voci metalliche.
Il bambino inoltre si fa carico di questa assenza pensando che è colpa sua se la mamma o il papà fanno cose, agiscono senza quel quid affettivo che fa la differenza tra l’esserci e quell’esserci davvero necessario a dare l’avvio alla traiettoria di sviluppo sana.
La voce del genitore, della nonna, della mamma che raccontano le favole, non è solo narrazione, non è un copione da recitare, ma una vera e propria palestra affettiva che fornisce le note sinfoniche della melodia che il bambino svilupperà nel suo percorso di vita. Si cerca armonia, e si possono invece creare disarmonie evolutive quando il fare non riflette un essere autenticamente in relazione. Autenticità affettiva che fornisce il più potente parental control (che potremmo definire parental protection) quando da grandi di dovranno esplorare ambienti digitali in cui regna sovrana la connettività.
Non possiamo permettere che applicazioni digitali ci derubino della vitalità e dell’impegno necessario al fare bene delle nuove generazioni.
A volte il monito è esemplificativo soprattutto se viene dalla voce dei bambini.
Bibliografia
Stern D., (1999), Diario di un bambino, Oscar Mondadori.