Key4biz

La ‘bolla’ Tax Credit sta per scoppiare?

ALESSANDRO GIULI, MINISTRO DELLA CULTURA

Secondo alcuni, si tratta di una “bomba ad orologeria”, che avrebbe giù dato i primi risultati con lo “scoppio” del “caso Boccia-Sangiuliano”… C’è chi sostiene che dietro la vicenda un po’ da “commedia all’italiana” che ha riguardato l’ex Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e la sua ex (quasi) consigliera Mara Rosaria Boccia vi sia stata una convergenza di interessi, trasversale e finanche con “fuoco amico”, tra i quali potrebbero essere annoverati anche coloro che hanno mal visto il tentativo di riforma del credito d’imposta, avviato nell’estate del 2023… Un vero piccolo grande “gomblotto”, forse?!

Un’altra vittima di questo processo in itinere potrebbe essere proprio la Sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni, che del “Tax Credit” è stata entusiasta sostenitrice fino a poco più di un anno fa, allorquando l’ex titolare del Collegio Romano Gennaro Sangiuliano (in quota Fratelli d’Italia) decise di porre un “alt” ad un meccanismo in sé valido, ma gestito male, senza controlli e senza verifiche: non si ha ancora conferma ufficiale della rinnovata delega su cinema e audiovisivo ed industrie creative da parte del neo Alessandro Giuli (già Presidente del Maxxi, anch’egli “in quota” Fratelli d’Italia).

Quel che si può osservare è che la senatrice leghista, sempre molto sotto i riflettori dei media, nell’ultima settimana non ha proprio manifestato esternazioni né sia apparsa in interviste ed iniziative del rutilante mondo dello spettacolo: questa linea comunicazionale di basso profilo potrebbe essere dettata dalla cognizione che “qualcosa” di esplosivo sia dietro l’angolo…

Per ora, è stato soltanto Pinuccio di “Striscia la Notizia”, con il servizio andato in onda mercoledì scorso 2 ottobre, dedicato al “case study” dello strano film “PapMusic (Animation for Music)”, diretto da Roberta Galli alias LeiKiè e prodotto dalla sua piccola società Not Just Music, un’opera in animazione che ha beneficiato di un significativo sostegno statale di quasi 2 milioni di euro, a fronte di un budget (dichiarato) di oltre il doppio, registrando ad oggi poco più di 1.000 spettatori…

Al “caso di studio”, abbiamo dedicato l’edizione di giovedì scorso della rubrica che IsICult cura per questo quotidiano online: vedi “Key4biz” del 3 ottobre 2024, “Tax Credit, ci voleva Pinuccio di ‘Striscia la Notizia’ per rilanciare l’interesse dei media?”.

La questione va però oltre il caso pur sintomatico di “PapMusic”: come abbiamo segnalato la settimana scorsa su queste colonne, la dimensione complessiva dello strumento “Tax Credit” è notevole: in 7 anni, il “Tax Credit” ha assegnato ben 3,2 miliardi di euro di danari pubblici, anche a molte opere… senza spettatori in sala…

Robert Bernocchi (The Big Picture): il caso del film “PapMusic” non è così sconvolgente, e si deve evitare di “massacrare il Tax Credit” in questo modo

Dopo il servizio di Pinuccio alias Alessio Giannone ed il nostro articolo su “Key4biz”, il “caso PapMusic” ha registrato l’interesse di altre qualificate testate “generaliste”, da “il Post” (vedi Gabriele Niola, “L’assurdo film di animazione italiano sulla moda al cinema in questi giorni”, pubblicato giovedì scorso 3 ottobre) a “Wired” (vedi Daniele Polidoro quest’oggi, con “Tutti i misteri di PapMusic, il film d’animazione sulla moda che non ha visto nessuno”), ed evidentemente – come dire?! – il “caso” (mediologicamente, non giudiziariamente – non almeno, ancora – inteso) sembra destinato a chiudersi presto…

La vicenda, in sé, non può essere oggetto di una “denuncia” particolarmente dura, come ha ben spiegato uno dei massimi esperti di economia del cinema e dell’audiovisivo, qual è Robert Bernocchi, nella sua sempre stimolante newsletter “The Big Picture”, nella edizione odierna, in un intervento intitolato “Perché mettiamo in discussione il tax credit?”.

Sostiene Bernocchi (che pure cita anche alcuni interventi IsICult su “Key4biz”, in particolare il nostro Dossier del 30 settembre 2024, “Dossier. A proposito di “Tax Credit” cine-audiovisivo, di decreti direttoriali e di commissioni di esperti…”), contestualizzando il “caso PapMusic” nell’economia del complessivo funzionamento del “Tax Credit”: spiega brutalmente che il credit di imposta è “un cavolo di contributo automatico e in cui nessuno deve selezionare nulla, se non dei parametri oggettivi di investimenti, dai quali uno calcola un 40 % di spese eleggibili (non tutti i costi lo sono, per esempio non lo è la producer’s fee). Nessuna scelta, nessuna decisione”. Di fatto è un contributo giustappunto meccanico, anzi “automatico”.

E continua: “tutto questo non è un modo per difendere il film in sé e di sicuro non da un punto di vista artistico, ma per far capire che le sue caratteristiche economiche non sono particolarmente sconvolgenti. Insomma, se ci vedete necessariamente qualcosa di sospetto (non posso escludere che lo sia, ma ricordo sempre la presunzione d’innocenza, almeno fino a quando uno non viene condannato), forse dovreste studiare meglio i budget di questi anni, sia quelli di oscure case di produzione, che quelli di importanti società (con registi prestigiosi)”.

In sostanza il dotto Bernocchi sostiene che non si tratta di un caso “isolato”, e che forse, se si vuole cercare del “marcio”, si deve esplorare (indagare) in altre direzioni: “quindi, ricapitolando, anche in questo caso abbiamo il tax credit che viene massacrato ingiustamente e su cui si fa una grande confusione, senza che nessuno intervenga a contestare questa comunicazione. E ci sono i selettivi, in cui come solito si dice “la commissione ha sbagliato!”, non rendendosi conto che il problema è essere in grado di sapere cosa funzionerà o meno (e se credete che la nuova commissione potrà, in queste condizioni, fare meglio, magari solo perché viene pagata – poco -, ne riparliamo quando vi sveglierete)”.

Bernocchi suggerisce di orientare il cannocchiale (o il microscopio?!) su altre produzioni, oltre alla specifica vicenda di “PapMusic”, scrivendo, rivolgendosi agli “accusatori”: “insomma, se ci vedete necessariamente qualcosa di sospetto (non posso escludere che lo sia, ma ricordo sempre la presunzione d’innocenza, almeno fino a quando uno non viene condannato), forse dovreste studiare meglio i budget di questi anni, sia quelli di oscure case di produzione, che quelli di importanti società (con registi prestigiosi)”.

E qui l’appassionato ricercatore tocca un nervo scoperto, sul quale ancora poca attenzione è stata posta, anche a livello di giornalismo specializzato (prima che investigativo): chi sono stati e chi sono ancora i maggiori beneficiari del credito d’imposta?

Prevalentemente società di produzione che hanno nel capitale azionario maggioritario gruppi mediali stranieri: qui si tratta di decine e decine di milioni di euro… E su queste una “indagine” (giornalistica o giudiziaria) dovrebbe anzi deve concentrarsi…

Il “Tax Credit” è cresciuto troppo (dai 40 milioni di euro nel 2008 ai 541 milioni nel 2023), ma i “Contributi Selettivi” non sono necessariamente la… panacea

E, ancora, scrive giustamente il curatore di “The Big Screen”: “ovviamente, si può discutere se il tax credit non sia cresciuto troppo, sia a livello di quota percentuale (dal 15 % iniziale al 40 % attuale), sia per quanto riguarda i numeri assoluti (40 milioni nel 2008 per arrivare ai 541 milioni dell’anno scorso, come ricorda sempre IsICult). Ma basta confonderlo con i selettivi, sono due cose completamente diverse!”.

In sostanza, Bernocchi ci dice: prudenza nel criticare il “Tax Credit”, che è nato come strumento per “liberare” i produttori dal rischio che procedure di selezione eccessivamente discrezionali escludessero molti aspiranti produttori dall’accesso al sostegno pubblico; ma anche, al contempo, prudenza nel credere (illudersi) che l’incremento dei fondi per i “contributi selettivi” determini meccanicamente l’eliminazione del rischio di usi impropri, abusi e distorsioni nel sostegno pubblico…

Chi redige queste noterelle è convinto che debba essere lo Stato, e non il mercato (anzi, ormai, ahinoi, il Mercato) ad orientare l’intervento pubblico in materia di sostegno alle industrie culturali: l’Istituto italiano per l’Industria CulturaleIsICult è convinto che comunque nessuna opera/attività possa essere sostenuta in assenza di un minimo criterio di selezione.

Assegnare il “Tax Credit” a qualsiasi postulante (il filtro è squisitamente formale-burocratico, una sorta di autodichiarazione di cosiddetta… “eleggibilità culturale”) significa consentire che ci siano abusi e distorsioni, e finanche operazioni criminali.

Ci rendiamo conto che, di fatto, al Ministero della Cultura nessuno legge le sceneggiature dei film che richiedono l’accesso al Tax Credit e che lo Stato allarga comunque simpaticamente i cordoni della borsa?!

Assegnare il “Tax Credit” senza effettuare valutazioni e controlli – a tappeto e non “a campione” (come mette in atto talvolta la Direzione Cinema e Audiovisivo) – è semplicemente una follia.

Alessandro Giuli (Ministro della Cultura): “la stagione dei contributi a pioggia per produzioni cinematografiche è finita”, così come il rischio di “reddito di cittadinanza cinematografica”

L’argomento merita essere approfondito e ci torneremo presto su queste colonne, ma qui merita essere sottolineato quel che il neo titolare del Ministero della Cultura ha dichiarato in questi giorni: in occasione di una “chiacchierata” (pubblica) durante la kermesse di Fratelli d’Italia in quel di Brucoli (ad Augusta, nella provincia di Siracusa), Alessandro Giuli si è raccontato a trecentosessanta gradi, ed ha affrontato anche il dossier “scottante”, ovvero giustappunto la riforma della “Legge Franceschini” e l’ormai sempre più controverso “Tax Credit”: come riportato in un lungo articolo firmato da Christian Campigli sul quotidiano romano “Il Tempo” di ieri 7 ottobre, il Ministro ha sostenuto che “la stagione dei contributi a pioggia per produzioni cinematografiche è finita. C’è un accordo tra il governo, il Mic, e società di produzioni e registi che non ne potevano più di vedere risorse disperse in troppi rivoli di produzione che se non erano clandestine, quasi lo erano. Quindi si è deciso di comune accordo di stabilire delle regole più rigide e soprattutto misure di controllo affinché la buona reputazione del cinema italiano non venga sporcata da una dispersione di soldi in rivoli che non conducono da nessuna parte”.

Commenta Campigli, simpatizzante, che si tratterebbe di “un’idea innovativa di cinema, meno legato alla mammella statale e più all’ingegno dei creativi, nel solco di una battaglia iniziata già dal suo predecessore Gennaro Sangiuliano. E ricita l’intervento di Alessandro Giuli: “l’idea è di rendere più semplice e trasparente l’accesso al credito. Dobbiamo evitare che cittadini pensino: superbonus, reddito di cittadinanza cinematografica. Non esisteranno privilegi. Chi sa fare cinema non ha alcunché da temere”.

Questo pensiero del Ministro consente di comprendere che “dietro” la riforma ci sarebbero le (più) grosse società di produzione, e che vi sarebbe addirittura un “accordo”: questo accordo – si ha ragione di pensare – è stato definito dalla sua Sottosegretaria Lucia Borgonzoni con i “big player” del sistema?!

Ovvero le due maggiori lobby del settore, la cinematografica Anica (presieduta ancora per poche settimane da Francesco Rutelli, che la guida da molti anni, cui subentrerà tra poco Alessandro Usai, ceo della Colorado controllata da uno dei pochi gruppi cine-audiovisivi mediali restati in mano a capitale italiano ovvero Rainbow) e la televisiva Apa (presieduta da Chiara Sbarigia, che è anche Presidente della pubblica Cinecittà spa) e verosimilmente anche “player” del livello di Netflix piuttosto che Amazon

Secondo alcuni, i veri “privilegiati” sarebbero proprio questi, però…

Il problema è che questa “pulizia” corre il rischio di riprodurre – come abbiamo metaforicamente evocato su queste colonne – la dinamica del “bambino” sano che viene buttato via assieme all’“acqua” sporca: da mesi, si assiste ad una diffusa crescente e comprensibile agitazione da parte dei piccoli imprenditori e dei produttori indipendenti, che vedono nella prima fase della riforma l’innalzamento di “paletti” che impediranno loro – sostanzialmente – l’accesso al credito di imposta…

Il “sistema” (inteso come “sistema pubblico” di sostegno al settore cine-audiovisivo) si sta rimettendo in moto, dopo un anno di stasi, anzi stagnazione, durante il quale hanno continuato a lavorare soltanto le grosse imprese, proprio quelle controllate dai gruppi mediali stranieri

Buona parte dei “piccoli” ovvero dei produttori indipendenti sono alla canna del gas, qualcuno è già fallito…

In questa “scrematura” – che sembra dettata più da una logica liberal-mercantile che da una lungimirante correzione di rotta dell’intervento pubblico – si corre il rischio di fare di tutta l’erba un fascio, e di lasciare sul campo di battaglia di una riforma necessaria anche coloro che sono del tutto incolpevoli di pratiche basse se non di nefandezze para-criminali (in alcuni casi, proprio criminali, ma su questo sta indagando la Procura di Roma, e non è dato sapere se “PapMusic” rientra in questa schiera di malfattori).

Quel che ci sembra interessante è che comunque – “Striscia” e “PapMusic” – il tema stia crescendo, nell’attenzione dei media e forse, quindi, anche nella gerarchia della politica.

A fronte dell’agitazione settoriale crescente (va precisato: da parte dei piccoli e degli indipendenti, non degli altri), si registra una maggiore sensibilità giornalistica.

In occasione della audizione di fronte alle Commissioni Cultura di Camera e Senato, riunite assieme ieri pomeriggio nella Sala del Mappamondo di Montecitorio, il neo Ministro Alessandro Giuli ha confermato la sua linea, in materia di sostegno al settore cinematografico e specificamente sul “Tax Credit”, ribadendo che non nutre alcun “pregiudizio ideologico” nei confronti del settore cinematografico: “come ho già avuto modo di dire e sento di ripetere, abbiamo il dovere di schivare due rappresentazioni estreme e false al contempo. Da una parte, che il tax credit possa essere il super bonus per un mondo assistito da un reddito di cittadinanza cinematografico: non è così e non può essere così. L’altro estremo è che il Ministero della Cultura abbia dei pregiudizi ideologici verso una catena del valore culturale che dà lavoro, prestigio e reputazione globale all’Italia. Tutt’altro, l’idea è di rendere più semplice e trasparente l’accesso al credito, nella consapevolezza che non esiste una norma che non sia perfettibile una volta misurata la sua efficacia sul campo”.

Apprezzabile e condivisibile l’intendimento del Ministro, ma purtroppo, finora, nessuno ha mai veramente “misurato l’efficacia” del Tax Credit ed anche la “riforma” in gestazione da oltre un anno è stata approntata con assoluta carenza di strumentazioni conoscitive e valutative adeguate.

I maggiori beneficiari del “credito d’imposta” sono società di produzione controllate da multinazionali mediali straniere: Fremantle, Vuelta, Banijay… Endemol, Mediawan, Itv Studios…

Citiamo – tra gli altri – l’articolo di Lorenzo Menichini su “Prima Comunicazione” in edicola da giovedì scorso 3 ottobre, intitolato efficacemente “A caccia di soldi”. Sottotitolo: “iI mondo dei produttori cinematografici e televisivi, silenziosi dalla nomina del governo di centrodestra, si è risvegliato furibondo di fronte alla rivoluzione delle regole del tax credit. I nodi da affrontare per un settore che dà segni di crisi”. Ormai – commentiamo scherzosamente – la “caccia” rischia di divenire veramente sanguinaria… Anche perché nel 2024 – causa “stallo” – di soldi se ne son visti quasi niente, e per il 2025 saranno certamente meno rispetto a quelli del 2023…

Secondo le elaborazioni di “Prima” (che cita come fonte: “Db aiuti / Sito istituzionale / Dati aggiornali all’11 dicembre 2023”; si ha ragione di ritenere che si tratti del “Database Opere” della Dgca del Mic): nel “rank” delle prime 5, sono ben 4 le società di produzione che hanno beneficiato dei più elevati crediti di imposta nel biennio 2021-2022 per la produzione di film cinematografici che sono controllate ormai da gruppi mediali stranieri:

(1.) Wildside: ovvero Fremantle, 31,3 milioni di euro

(2.) Indiana Productions: ovvero Vuelta Group, 23,7 milioni

(3.) The Apartment: ovvero – ancora – Fremantle, per 18,4 milioni

(4.) Groenlandia:ovvero Banijay, 17,8 milioni

(5.) Iervolino & Lady Bacardi: 15,2 milioni (da segnalare che quest’ultima società è entrata in crisi acuta in queste settimane, ed i due partner Andrea Iervolino e Monika Bacardi si sono separati)…

(…)

Si ricordi che il 7 luglio 2023, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) ha reso pubblico un parere al Governo (che era stato deliberato il 27 giugno) nel quale segnalava la distorsione per la quale una buona parte dei danari del credito di imposta va a vantaggio di società controllate da multinazionali multinazionale (vedi “Key4biz” del 7 luglio 2023, “La Rai alla deriva e il ‘sovranismo culturale’ tra cinema e musica e digitale”): ed è stata Agcom a denunciarlo in via istituzionale (e non i sovversivi di IsICult, ci piace precisare). E fino ad allora – evidentemente – il Ministero della Cultura non se ne era accorto?!

Secondo la tabella proposta nel parere del 27 giugno 2024 di Agcom, le prime cinque società che hanno beneficiato di Tax Credit nell’esercizio 2021 (cinema + audiovisivo non cinematografico) sono state le seguenti: si noti bene: tutte e 5 controllate da gruppi stranieri:

(1.) Endemol Shine Italy (alias gruppo Endemol): 108,3 milioni di euro

(2.) Banijay Italia (alias gruppo Banijay) 44,1 milioni

(3.) LuxVide (alias gruppo Fremantle): 44,0 milioni

(4.) Palomar (alias gruppo Mediawan): 20,3 milioni

(5.) Cattleya (alias gruppo Itv Studios): 18,0 milioni

(…)

A livello di partiti, merita essere segnalata la denuncia di uno dei pochi (pochissimi) esponenti del Partito Democratico che si interessano di cultura, qual è Matteo Orfini (già nei “giovani turchi” del Pd e promotore di Left Wing), il quale ha rilasciato una intervista al quotidiano “La Notizia” giovedì scorso 3 ottobre (firmata da Sara Manfuso), intitolata “Il cinema italiano vive una crisi drammatica. Ed è colpa del governo”, nel quale affronta i danni enormi e parla di “attentato alla produzione indipendente”…

Quel che si conferma comunque è la perdurante assenza di dati e studi, di analisi e ricerche, che possano consentire di comprendere meglio alcune “numerologie” che pure sono state rivelate dallo stesso Ministero della Cultura in occasione di alcune sortite della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni e del Direttore Generale Nicola Borrelli durante l’ultima edizione del “Festival di Venezia”: ci limitiamo a segnalare – esemplificativamente – che in due diverse presentazioni, rispettivamente il 29 ed il 31 agosto 2024, la Dgca ha sostenuto che i film che hanno richiesto il Tax Credit e sono usciti in sala cinematografica nel 2023 sarebbero stati 54 (slide della presentazione ministeriale del 29 agosto), cresciuti poi a livello di 140 titoli (presentazione ministeriale del 31 agosto)… Difficile comprendere quale sia il dato “vero”.

Basti questa “contraddizione” (sicuramente frutto dell’utilizzazione di diverse, ma inspiegate, “metodologie” di quantificazione) per avere coscienza di come lo stato dell’arte delle conoscenze in materia sia ancora enormemente confuso (= elegante eufemismo).

E, nella confusione, alligna sia la parzialità interpretativa sia anche la vocazione al crimine

Su 1.354 film che hanno richiesto il Tax Credit dal 2017 alla 2023, ben il 44 % ovvero 598 film non è (non sarebbe) mai uscito nelle sale cinematografiche. Qual è il senso di questa “manna” statale trasformatasi in “droga” di Stato?

Come commentare quindi la tabella proposta nella presentazione veneziana del Mic Dgca del 31 agosto 2024, che qui di seguito riproduciamo?!

Secondo questa tabella, dall’anno 2019 all’anno 2023 sarebbero state “presentati” (ovvero avrebbero richiesto il Tax Credit al Ministero) ben 1.354 film complessivamente, di cui sarebbero “usciti” nelle sale cinematografiche soltanto 756 titoli (56 % del totale), a fronte di 598 titoli “non usciti” (44 % del totale).

Il dato – che abbiamo già segnalato su queste colonne (unici a commentarli, finora, almeno livello giornalistico) – è in sé preoccupante, anzi allarmante…

Se è vero che il “Tax Credit” ha come obiettivo l’incremento della produzione cinematografica nazionale (perché, sulla carta, ciò incrementa il pluralismo culturale oltre che espressivo, e naturalmente la pluralità del tessuto imprenditoriale, ovvero – in senso lato – la “democrazia culturale”) e ciò è effettivamente avvenuto grazie alla “Legge Franceschini” (attiva dal 2017), che senso ha che lo Stato sostenga una simile (gran) quantità di opere, se ben il 44 % del totale non vede la luce (il buio) di un cinematografo?!

Qual è il senso di questi… film “invisibili”?! Peraltro, non entrando nelle sale cinematografiche, i film che richiedono il credito di imposta non ne possono beneficiare, e quindi il “sistema” del sostegno pubblico entra in cortocircuito…

E che dire della “quota di mercato” dei film italiani in sala?! È forse cresciuta a seguito della grande “manna” ovvero della terribile “droga” provocata dal Tax Credit e dalla sua (mala) gestione?! No.

Purtroppo non esiste ad oggi (a distanza di sette anni dall’avvio della Legge Cinema n. 220 del 2016) una “valutazione di impatto” che consenta di comprendere la “vera verità”: e, nelle nebbie, si alimenta la confusione e la distorsione

Da molti anni, l’Istituto italiano per l’Industria Culturale denuncia (inascoltato, dalle istituzioni e dalle associazioni del settore) questo deficit di conoscenza e la limitata trasparenza complessiva dell’intervento pubblico nel settore, ma poco o nulla è stato messo concretamente in atto per superare le nebbie…

Nebbie che purtroppo perdurano e che non consento un’analisi seria ed approfondita della dinamica.

Volendo volare alto, si potrebbe citare Orazio (ovvero dalla sua ode del “Carpe Diem”): meglio… “scire nefas”? Saperlo non è lecito… forse è “peccato sapere”?!

Chi ha interesse a mantenere ancora oggi anzi ad ancora alimentare – nonostante le polemiche cavalcanti – queste profonde nebbie, producendo confusioni numerologiche?!

Abbiamo già segnalato (denunciato) che non ci sono dati sufficienti per comprendere la vera verità.

Ricordiamo ancora una volta che – tra l’altro – i consuntivi / preventivi di produzione delle opere audiovisive non vengono resi di pubblico dominio dal Ministero della Cultura, e quindi, per esempio, non è nemmeno possibile conoscere quanti danari abbia guadagnato il regista di uno dei film più costosi della storia del cinema italiano, ovvero Saverio Costanzo per “Finalmente l’alba”, costato oltre 30 milioni di euro (secondo i produttori della Wildside alias Fremantle alias Rtl alias Bertelsmann – vedi supra – con sostegno anche di RaiCinema), ai quali lo Stato italiano ha “regalato” quasi 10 milioni di euro… L’incasso del film è stato di poco più di 400mila euro…

Non esiste alcun dataset pubblico che consenta di comprendere in modo chiaro e semplice i dati essenziali dell’offerta: quanti spettatori cinematografici, quanti spettatori in tv, quanti spettatori sulle piattaforme, quanta circolazione nei festival cinematografici italiani ed all’estero, che tipo di ricaduta critica a livello di recensioni su quotidiani e media, e magari anche sui “social media”…

Ripetiamo, ribadiamo, martelliamo: “No data” = no chance di valutazione.

Governo nasometrico delle risorse pubbliche. E, fino ad un anno fa, governo finanche… allegro, dato che tutti i “big” erano entusiasti, rispetto allo stato di salute del cinema e dell’audiovisivo italiano.

Poi è arrivato il “censore” anzi il “castigatore” Gennaro Sangiuliano E – come abbiamo già segnalato – ahinoi… “chi tocca i fili muore” (cit. Donatella Rettore).

[ Note: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale”. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz” (ragionamenti eterodossi di politica culturale e economia mediale).

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