Usa, Ivanka Trump si insedia alla Casa Bianca
21 mar 10:57 – (Agenzia Nova) – Ivanka Trump, la figlia del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, non riveste alcun incarico ufficiale tra i ranghi dell’amministrazione presidenziale Usa, ma da questa settimana si e’ comunque insediata presso un ufficio nell’Ala occidentale della Casa Bianca, consolidando cosi’ il suo profilo di consulente di primissimo piano del padre. Ivanka Trump ha rilasciato un comunicato a “Politico” in cui annuncia: “Continuero’ ad offrire i miei consigli e la mia consulenza disinteressata a mio padre, come ho fatto per tutta la vita. (…) Anche se non esiste alcun precedente moderno di un figlio adulto del presidente, mi atterro’ volontariamente a tutte le norme etiche che regolano l’attivita’ dei dipendenti del governo”. La figlia 35 enne di Trump, che non percepira’ alcun compenso pubblico, e’ artefice dei programmi elettorali del padre per la maternita’, i primi in materia mai formulati da un presidente repubblicano. Dall’insediamento del padre alla Casa Bianca, Ivanka Trump ha presenziato ad alcuni dei vertici piu’ importanti con capi di Stato e di governo internazionali, come il premier canadese Justin Trudeau e il cancelliere tedesco Angela Merkel. Stando a “Politico”, la figlia di Trump potrebbe ricevere gia’ questa settimana l’autorizzazione necessaria a ricevere le comunicazioni di governo.
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Usa, interrogato dal Senato il direttore dell’Fbi Comey conferma l’indagine sui presunti legami tra Trump e la Russia
21 mar 10:57 – (Agenzia Nova) – Il Federal Bureau of Investigation statunitense (Fbi) sta effettivamente conducendo un’indagine in merito a presunti legami illeciti tra la Russia e figure dell’amministrazione presidenziale di Donald Trump. Lo ha confermato ieri il direttore dell’Fbi, James Comey, nel corso di una attesissima audizione di fronte alla commissione d’Intelligence del Senato, che sta a sua volta indagando la stessa materia. La decisione di Comey di rendere pubblica l’indagine riservata, sottolinea il “Wall Street Journal”, e’ straordinaria in se’, e lo e’ ancora di piu’ dal momento che l’indagine coinvolge direttamente il presidente Usa in carica, Donald Trump. Comey, interrogato dalla commissione parlamentare assieme al direttore della National Security Agency (Nsa), non ha potuto citare elementi concreti che accertino una collusione tra la campagna presidenziale di Trump e la Russia, ne’ prove che quest’ultima abbia potuto alterare concretamente l’esito delle elezioni presidenziali dello scorso anno. L’esistenza dell’indagine federale, oggetto da mesi di indiscrezioni anonime provenienti dai ranghi della stessa Fbi, costituisce pero’ di per se’ un colpo durissmo alla credibilita’ e alla legittimita’ dell’amministrazione in carica. Il presidente della commissione d’Intellience del Senato, David Nunes, lo ha sottolineato ieri, rivolgendosi a Comey: „Piu’ a lungo questa faccenda si protrae, piu’ la nuvola si infittisce. Avete posto una grande nuvola nera sul capo di persone cui spetta il fondamentale incarico di guidare questo paese. Piu’ in fretta potrete fare chiarezza, meglio sara’ per i cittadini americani”. Il direttore dell’Fbi, pero’, ha rifiutato di fornire garanzie in proposito, affermando di non poter fornire una stima in merito alla durata delle indagini. Comey non ha fornito, durante l’interrogatorio, alcun dettaglio inedito in merito alla presunta collusione tra Trump e il governo russo, ed ha rifiutato di esprimersi in merito ad alcuni dettagli diffusi dalla stampa nel corso degli ultimi mesi. Il direttore dell’Fbi, pero’, ha smentito categoricamente che l’ex presidente, Barack Obama, abbia ordinato l’intercettazione della Trump Tower durante la campagna elettorale: un’accusa gravissima che Trump aveva rivolto al suo predecessore e alla comunita’ d’intelligence nazionale nelle scorse settimane, e che secondo la stessa commissione d’Intelligence, non poggia su alcun elemento concreto: le tante indiscrezioni in materia da parte degli stessi quotidiani che contestano a Trump legami illeciti con la Russia, dunque, non sarebbero credibili. Secondo la „Washington Post” e il “New York Times”, l’audizione rappresenta un colpo durissimo al presidente in carica, Donald Trump: non soltanto perche’ Comey ha negato le accuse del presidente a Obama, ma anche e soprattutto perche’ le indagini dell’Fbi a carico della Casa Bianca hanno trovato conferma ufficiale. Per il “Wall Street Journal2, pero’, ad emergere con chiarezza dall’audizione di ieri e’ soprattutto la politicizzazione estrema della vicenda da parte dei partiti e delle parti coinvolte. Comey, infatti, si e’ abbandonato ad affermazioni che poco paiono avere a che fare con il ruolo dell’agenzia da lui diretta e con l’imparzialita’ ad essa richiesta: come quando ha affermato, ad esempio, che il presidente russo Vladimir Putin odia profondamente Hillary Clinton: come a sostenere che per questo il Cremlino avrebbe tramato per ottenere la vittoria di Trump. E mentre i Democratici concentrano la loro attenzione proprio sui presunti contatti illeciti tra Mosca e il presidente Usa in carica, i Repubblicani chiedono all’Fbi di cessare le fughe d’informazioni illegali dell’agenzia, che da mesi riempiono le pagine dei quotidiani Usa di indiscrezioni e accuse non circostanziate. Proprio queste indiscrezioni avevano scatenato una bufera su alcuni dei collaboratori di Trump, che sarebbero oggetto dell’indagine dell’Fbi: primo tra tutti l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, costretto alle dimissioni per le sue conversazioni con l’ambascaitore russo a Washington prima dell’insediamento della nuova amministrazione; ma anche l’ex consigliere per la politica estera della campagna di Trump, Carter Page, accusato a sua volta di contatti con la Russia, che ieri ha commentato positivamente l’audizione: “Sono incoraggiato dai primi passi compiuti oggi per ristabilire la verita’ in merito a quanto e’ accaduto lo scorso anno”. Soddisfatto anche Paul Manafort, ex manager della campagna di Trump e bersaglio degli strali dei Democratici per il suo passato ruolo di consulenza politica in Ucraina e i conseguenti contatti con la Russia che quel ruolo aveva implicato. “A dispetto delle continue allusioni in merito alle indagini”, ha commentato Manafort in merito alla deposizione del direttore dell’Fbi – non esiste alcun fatto o evidenza a sostegno di queste accuse, ne’ potra’ esserne prodotta alcuna. Non posso credere che si possa dare credito a narrative di individui mossi da evidenti motivazioni politiche, e impegnati a tentare di screditare me e la legittimita’ dell’elezione presidenziale”, ha aggiunto Manafort. Il “New York Times” e il settimanale “Time”, comunque, commentano la deposizione di Comey con toni entusiastici: la testimonianza di Comey, sottolineano, “garantisce che la controversia in merito alle connessioni tra Trump e la Russia continuera’ a pesare sul suo mandato di presidente e a rallentare i suoi sforzi al Congresso”.
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Eurogruppo, il posto di Dijsselbloem sempre nel mirino della Spagna
21 mar 10:57 – (Agenzia Nova) – Il ministro delle Finanze spagnolo Luis de Guindos ricorda che “in teoria” non e’ candidato alla presidenza dell’Eurogruppo. Ma il risultato delle elezioni nei Paesi Bassi, e il conseguente indebolimento del peso politico di Jeroem Dijsselbloem hanno riacceso l’interesse della stampa spagnola per un incarico cui Madrid pensa da tempo. Dijsselbloem assicura che nonostante la batosta subita alle urne dal suo partito il suo posto da ministro delle Finanze, stante la prevedibile lunghezza delle trattative per la formazione di un nuovo governo, non e’ ancora in bilico. E che il mandato alla guida dell’Eurogruppo scade non prima di gennaio. Con lui, scrive “El Mundo”, ci sono il governo olandese e la Germania, impegnati a far sopravvivere il ruolo da presidente anche oltre la scadenza degli incarichi ministeriali nazionali, ma “la Spagna (in cerca di alleati) confida di poter mandare a casa colui che nel 2015 aveva sconfitto Luis de Guindos”. Il ministro delle Finanze, “non ha mai smesso di aspirare al posto. Che possa ottenerlo e’ estremamente complicato”, dal momento che esponenti del Partito popolare europeo sono gia’ alla guida della Commissione, del Consiglio e dell’Europarlamento. E’ probabile che “Guindos non ottenga il posto (anche se non ci sono molti altri candidati potenziali), ma non sembra avere intenzione di lasciare che l’olandese possa rimanere in carica o prolungare il mandato per altre vie”, scrive la testata. Di fronte ai tanti scenari messi in campo, pubblicamente lo spagnolo si mantiene prudente: “Le regole dell’Eurogruppo, come tutti sanno, sono un po’ evanescenti”, ma ad ogni buon conto esiste un tema di “legittimita’, di buon senso e sono convinto che Dijsselbloem e tutti noi sapremo applicare il buon senso”, ha detto il ministro stuzzicato sull’eventualita’ che il presidente dell’organismo possa non avere un incarico ministeriale in patria. La “principale strategia” dell’olandese per mantenersi nel posto passa per “trasformarsi nel portavoce della corrente ortodossa rappresentata dal ministro tedesco Wolfgang Schoeble”, spiega “Abc” citando un passaggio “sessista e di grana grossa” dell’intervista concessa al quotidiano “Frankfurter Allgemeine Zeitung”. “Come socialdemocratico attribuisco alla solidarieta’ una importanza eccezionale”, ha detto l’olandese parlando dell’aiuto prestato ai paesi paesi colpiti dalla crisi dell’euro. Ma chi la richiede – i paesi del Sud, osserva la testata – “deve anche avere obblighi. Uno non puo’ spendere tutto il denaro in alcol e donne e poi chiedere di essere aiutato”. Per il quotidiano “El Pais” Madrid potrebbe in realta’ contare sull’appoggio di Berlino e degli altri paesi “dell’orbita del centrodestra”, ma e’ cosciente che “a meno di sorprese”, i popolari non possono chiedere piu’ di quanto hanno.
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Le banche britanniche hanno maneggiato ingenti somme di denaro russo riciclato
21 mar 10:57 – (Agenzia Nova) – Il quotidiano britannico “The Guardian” rivela che importanti banche con sede o filiali nel Regno Unito hanno trattato quasi 740 milioni di dollari provenienti da una vasta operazione di riciclaggio di denaro, chiamata “The Global Laundromat”, gestita da organizzazioni criminali russe con legami col governo di Mosca e con l’Fsb, i servizi di sicurezza, sulla quale sono in corso indagini in Lettonia e Moldavia. Hsbc, Royal Bank of Scotland, Lloyds, Barclays e Coutts sono alcuni dei 17 istituti di credito chiamati a dare spiegazioni su cio’ che sapevano e sul perche’ non hanno evitato i trasferimenti sospetti. I dati bancari, relativi a circa 70 mila transazioni, 1.920 delle quali passate per banche britanniche e 373 per banche statunitensi, sono stati ottenuti da fonti anonime dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp) e da “Novaya Gazeta”, che li hanno condivisi con media di 32 paesi. Secondo le carte visionate dal “Guardian”, almeno venti miliardi di dollari sono stati trasferiti dalla Russia nel periodo 2010-2014, ma secondo gli inquirenti in realta’ potrebbero essere molti di piu’, fino a ottanta miliardi. E’ ancora in corso l’identificazione dei personaggi ricchi e influenti che si celano dietro l’operazione, nella quale sono coinvolte circa 500 persone tra oligarchi, banchieri e uomini legati all’intelligence. Le societa’ registrate in Gran Bretagna hanno giocato un ruolo importante. Da tre anni le polizie lettone e moldava raccolgono prove del transito di denaro sporco di origine russa attraverso conti bancari dei loro due paesi, ma la pista ha portato gli investigatori in molti altri paesi, ben 96, e a una rete di societa’ anonime, la maggior parte delle quali registrate alla Companies House di Londra; molte sono state sciolte in seguito ai controlli. I dati mostrano transazioni per 738,1 milioni di dollari, presumibilmente legate a denaro sporco, gestite da banche britanniche o filiali britanniche di banche estere: 545,3 milioni da Hsbc, 113,1 da Rbs, 32,8 da Coutts. Tutte sono state contattate dal quotidiano e nessuna ha contestato l’autenticita’ dei dati; tutte hanno assicurato di seguire politiche antiriciclaggio severe e di avere unita’ specializzate contro i reati finanziari, ma hanno aggiunto che il volume dei pagamenti, miliardi all’anno, rende il lavoro molto difficile.
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Regno Unito, Downing Street smentisce l’ipotesi di elezioni anticipate
21 mar 10:57 – (Agenzia Nova) – Downing Street, riferisce il “Financial Times”, ha smentito l’ipotesi che la premier del Regno Unito, Theresa May, voglia indire al piu’ presto (si e’ parlato del 4 maggio, in concomitanza con le amministrative) le elezioni anticipate, per approfittare della crisi del principale partito di opposizione, il Labour. “Non ci sara’ il voto anticipato”, ha dichiarato un portavoce della prima ministra. May ritiene che anticipare le elezioni sarebbe una distrazione dal compito di dare attuazione alla decisione di uscire dall’Unione Europea, processo che sara’ attivato il 29 marzo. Nel suo Partito conservatore, pero’, c’e’ chi chiede di andare al voto; la voce piu’ autorevole e’ quella dell’ex leader William Hague, ma anche altri esponenti sono favorevoli. Sono contrari, invece, i deputati dei collegi meridionali, vulnerabili alla ripresa dei liberaldemocratici, che si sono risollevati dopo il referendum sull’Ue. Secondo le argomentazioni a favore, il governo potrebbe avvantaggiarsi di una maggioranza piu’ solida per attuare la sua strategia di uscita; avrebbe un mandato piu’ forte e sarebbe libero dai vincoli del programma elettorale del 2015 di David Cameron. D’altra parte, il voto anticipato introdurrebbe un elemento di incertezza nell’iter della Brexit. Aspettare fino al 2020, inoltre, permetterebbe ai Tory di approfittare delle modifiche dei collegi elettorali. Una pesante sconfitta, infine, indurrebbe i laboristi a scegliere un leader alternativo a Jeremy Corbyn, che May, invece, ha tutto l’interesse a tenere al suo posto il piu’ a lungo possibile. L’ultimo scontro interno ai laboristi ha per protagonista Tom Watson, vice leader, che ha accusato il sindacato Unite di volersi affiliare al movimento di base Momentum, sostenitore del leader, Jeremy Corbyn, affinche’ la sinistra radicale prenda il controllo del partito dopo l’attuale leadership; Unite ha respinto le accuse e attribuito l’attacco al tentativo di interferire nella contesa in corso per la segreteria generale.
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Francia, il primo dibattito tv presidenziale non e’ stato decisivo
21 mar 10:57 – (Agenzia Nova) – Il dibattito tv tenutosi in Francia ieri sera lunedi’ 20 marzo tra candidati alle presidenziali e’ stato “denso, serio, pedagogico… Ma non ancora decisivo”: cosi’ il popolare quotidiano “Le Parisien” ha sintetizzato sin dal titolo di prima pagina l’esito dello scontro televisivo che ha dato il via alla vera e propria campagna in vista delle elezioni di aprile-maggio. Si e’ trattato di un primo dibattito, esso stesso una “prima” perche’ mai finora era stato organizzato in Francia un confronto tv a piu’ voci in vista del primo turno elettorale; altri due eventi sono previsti prima dell’appuntamento con le urne del 23 aprile prossimo. I candidati ammessi alla consultazione sono undici ma “Tf1”, la principale rete francese, ha deciso di invitare solo i cinque a cui i sondaggi attribuiscono i maggior numero di intenzioni di voto: nell’ordine la leader del Front national Marine Le Pen, l’indipendente di centrosinistra Emmanuel Macron, il candidato del centro-destra Francois Fillon, il socialista Benoit Hamon e l’esponente dell’estrema sinistra Jean-Luc Me’lenchon. La trasmissione era molto attesa ed e’ durata ben tre ore, ma non ha registrato alcun momento di tensione ne’ ha vissuto di veri e propri scontri: imbrigliati dalle raccomandazioni dei propri consiglieri, che li avevano probabilmente messi in guardia da uscite intempestive, i cinque hanno preso tempo ad ingranare ed entrare in partita. Il dibattito si e’ scaldato solo nella seconda parte, quando i candidati sono stati interrogati dai giornalisti presenti in studio delle questioni legate alla laicita’ dello Stato e quindi a quelle dell’identita’ della Francia e dei francesi. Ma il primo vero scontro, ed anche l’unico, si e’ verificato a sinistra: il socialista Hamon ha apertamente attaccato il candidato del movimento “En Marche!” (“In Marcia!”, ndr) Macron, accusandolo di essere al soldo dei grandi gruppi finanziari ed industriali. Il giovane ex ministro dell’Economia si e’ difeso in maniera impacciata, poi ha dovuto incassare da ogni lato bordate che lo hanno messo piuttosto in difficolta’: dato per vincente dai sondaggi al secondo turno di ballottaggio del 9 maggio, e’ chiaro che e’ lui l’avversario da battere; ed e’ altrettanto evidente che proprio la sua formazione nella banca Rotschild e’ il suo tallone d’Achille. Ad ogni modo, scrive “Le Parisien”, i cinque principali candidati presidenziali hanno potuto esporre i propri programmi, da buoni scolaretti, ma nessuno di loro e’ riuscito davvero a fare la differenza: l’appuntamento e’ rimandato al prossimo dibattito tv del 4 aprile.
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Il governo tedesco risponde agli insulti del presidente turco Erdogan, “Non siamo stupidi e ingenui”
21 mar 10:57 – (Agenzia Nova) – Il cancelliere tedesco Angela Merkel (Cdu) ha replicato dopo un’iniziale esitazione alle accuse di nazismo rivoltele dal Presidente turco Recep Tayyip Erdogan: “La mia frase, secondo cui il confronto con il nazismo fatto da parte turca deve finire, rimane. Senza se e senza ma”. Erdogan aveva accusato Merkel di “metodi nazisti” per i divieti opposti dalle autorita’ tedesche ai comizi politici di esponenti del governo turco in Germania. Il portavoce degli Esteri tedesco, Martin Schaefer, ha avvertito che la Germania non subira’ passivamente. “Non siamo stupidi e non siamo ingenui. Ci saranno reazioni da parte del Governo federale”, ha dichiarato. Anche il consigliere del cancelliere Peter Altmaier (Cdu) ha sottolineato che la tolleranza di Berlino ha i suoi limiti. E riferendosi alla possibilita’ di futuri comizi di politici turchi in Germania, ha chiosato: “Un divieto sarebbe l’ultima risorsa. Ma ci riserviamo il diritto di usarlo”. Il 16 aprile gli elettori turchi saranno chiamati ad un referendum sul progetto di riforma della Costituzione turca in senso presidenziale; la Germania rappresenta per il governo turco un terreno cruciale, dal momento che vi vivono oltre un milione e mezzo di cittadini turchi col diritto di voto.
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Vigilanza bancaria, la Germania chiede piu’ trasparenza alla Bce
21 mar 10:57 – (Agenzia Nova) – La Corte dei conti tedesca sollecita il Governo affinche’ garantisca che le attivita’ di vigilanza della Banca centrale europea (Bce) sulle principali banche possano essere monitorate in modo indipendente. La Bce e’ responsabile della supervisione delle grandi banche europee dal 2014. La Corte dei conti europea dovrebbe verificare l’efficienza di tale controllo. “Con la giustificazione che sarebbe fuori della giurisdizione della Corte, la Bce ha rifiutato di consentire la pubblicazione di una serie di documenti che sono necessari alla Corte stessa”, si legge in un rapporto di novembre della Corte europea prontamente smentito dall’Eurotower. La capogruppo della Linke al parlamento tedesco, Gesine Loetzsch, ha detto che “la mancanza di supervisione della Banca centrale e’ costata al contribuente europeo miliardi di euro”. Rimostranze in proposito sono giunte da Germania e Paesi Bassi al vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis. L’esponente dei Verdi presso il Parlamento europeo, Sven Giegold, si e’ detto quasi certo che la Bce permettera’ maggiori controlli. Il ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schauble, ha affermato: “Condividiamo la valutazione che dovrebbe essere garantito un controllo finanziario pubblico completo nell’ambito del meccanismo di vigilanza”. Il Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, si e’ espresso a favore della separazione della vigilanza bancaria della Bce.
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L’Italia cerca una soluzione alla crisi migratoria
21 mar 10:57 – (Agenzia Nova) – Un anno dopo l’accordo concluso con la Turchia per sbarrare la rotta migratoria balcanica, l’Unione Europea cerca di realizzarne uno simile con la Libia nonostante il caos politico che regna in quel paese: cosi’ il quotidiano francese “Les Echos” sintetizza la situazione in apertura di un articolo del suo corrispondente da Roma Olivier Tosseri sull’incontro del gruppo di contatto sul Mediterraneo che ieri lunedi’ 20 marzo si e’ svolto con il coordinamento del ministro degli Interni italiano Marco Minniti con l’obbiettivo di gestire efficacemente e durevolmente i flussi migratori diretti verso la Penisola; vi hanno partecipato il capo del governo libico di unione nazionale Fayez al-Sarraj ed il commissario Ue alle Migrazioni Dimitris Avramopoulos, oltre ai ministri degli Interni di diversi paesi europei e di quelli magrebini. Tosseri prevede che l’intensita’ della crisi migratoria rischia di raddoppiare con l’arrivo della primavera e ricorda che gia’ nella sola giornata di domenica scorsa 19 marzo ben 3.300 persone sono state soccorse nel Mar Mediterraneo, portando ad oltre 20 mila il numero degli arrivi di migranti in Italia dall’inizio dell’anno con un aumento del 36 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016. Minniti, riporta “Les Echos”, ha spiegato come obbiettivo dell’incontro fosse quello di “gettare le basi di una gestione sempre piu’ condivisa dei flussi migratori con politiche di sviluppo, di intervento sociale, di controllo delle frontiere e di rimpatri”. Chi ne paghera’ i costi? L’Ue ha gia’ stanziato 200 milioni di euro ma il governo libico stima che il controllo delle sue frontiere e delle sue acque territoriali costera’ almeno altri 800 milioni necessari alla fornitura di decine di stazioni radar e mezzi di sorveglianza tra imbarcazioni, elicotteri e veicoli terrestri. Per rendere efficace questa cooperazione, una missione del gruppo di contatto si rechera’ in Libia entro la meta’ del prossimo mese di aprile; mentre un centro operativo per gestire le operazioni di soccorso nelle acque internazionali, attualmente coordinate da Roma dalla Guardia costiera italiana, potrebbe a breve essere installato in territorio libico se lo permetteranno le condizioni di sicurezza. L’Italia, sottolinea “Les Echos”, sta affrontando in prima linea la crisi migratoria ed ha reiterato la richiesta di una maggiore solidarieta’ da parte dei partner europei: “L’Ue deve svolgere la sua parte, la geografia non puo’ essere la sola a decidere chi debba assumersi le principali responsabilita’”, ha detto il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni.
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Brasile, il “disastro” delle carni sospese dal mercato
21 mar 10:57 – (Agenzia Nova) – Un “disastro”. Il ministro dell’Agricoltura brasiliano, Blairo Maggi, non ha altre parole per dipingere lo spauracchio di uno stop alle esportazioni delle carni nazionali. Per il momento, l’eco delle indagini legate a presunte frodi alimentari nel settore ha portato alla sospensione temporanea del commercio con alcuni partner fondamentali: la Cina, l’Unione europea, il Cile e – almeno in parte – la Corea del Sud. Il problema nasce dalle 21 celle frigorifere sulle quali si sono posate, per due anni, le attenzioni degli inquirenti: i loro proprietari avrebbero pagato funzionari per concedere il visto buono a prodotti che – per le sostanze utilizzate e per il tipo di lavorazione – non sarebbero potuti entrare in commercio. Non e’ una buona notizia per un paese che lo scorso anno ha venduto all’estero carni per un valore 13,8 miliardi di dollari, il 7 per cento del totale delle esportazioni. La “Cina e’ un grande importatore e l’Unione europea, oltre ad essere il nostro secondo mercato di esportazione, e’ il nostro biglietto da visita. Chi vende in Europa vende in tutto il mondo”, spiega Maggi allarmato per le cautele che da ieri si applicano in alcune frontiere. Il governo ricorda che il problema e’ molto limitato e segnala che per accelerare verifiche e chiudere il dossier ha allestito una task force da 33 elementi. Occorre arginare in fretta un problema che colpisce non solo la difficile ripresa dell’economia brasiliana ma anche gli sforzi messi in campo per rilanciare l’accordo di libero commercio del Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay) e la possibile partnership di questo con il mercato europeo. In alcuni casi, come con il Cile, Brasilia alza la voce. Se il paese andino non si limita a bloccare le merci dei soli stabilimenti incriminati, la risposta e’ gia’ servita: “siamo anche grandi importatori di prodotti cileni come pesce, frutta, mele. E ci sono produttori brasiliani che vivono chiedendo di elevare dazi”, avverte il ministro.
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