Il settore delle startup in Italia continua a dimostrarsi una componente vitale dell’economia nazionale, con una crescita più che soddisfacente nel numero di posti di lavoro creati tra il 2020 e il 2022, malgrado le difficoltà relative al periodo pandemico. I numeri parlano di oltre 15.000 lavoratori impiegati nelle imprese innovative di quasi 8.000 dipendenti per le scale-up (le startup che hanno superato la fase iniziale di avvio, hanno già definito il loro business model e possono ambire a una crescita internazionale), per un impatto occupazionale che convince anche i più scettici sulla possibilità di replicare il modello che tanta fortuna ha portato a migliaia di nuovi imprenditori negli Stati Uniti.
Tuttavia, c’è fame di competenze avanzate: nonostante l’aumento generale dell’occupazione, è innegabile che ci sia ancora un significativo divario tra domanda e offerta di lavoro, soprattutto per quanto riguarda i profili tecnici, che restano i più ricercati e, allo stesso tempo, i più difficili da trovare, oltre che – va da sé – i meglio retribuiti. Una situazione che ha spesso costretto le aziende a cercare talenti all’estero.
La ricerca condotta da Italian Tech Alliance e dagli Osservatori Startup Hi-tech e Startup Thinking del Politecnico di Milano, dal titolo “Startup, scaleup e occupazione in Italia: impatto e trend“, ha messo in luce alcuni dati chiave sull’evoluzione del settore. Tra il 2020 e il 2022, il tasso di crescita dei posti di lavoro nelle startup ha raggiunto il 59%, con un incremento medio annuale del 26,2%. Ben l’80% dei nuovi posti di lavoro è stato generato da circa il 25% delle startup, dimostrando la concentrazione dell’innovazione e dell’impiego in un segmento relativamente ristretto dell’intero ecosistema. Dati che riflettono, in parte, anche il miglioramento delle fondamentali infrastrutture di rete (da ricordare che su SOSTariffe.it si possono confrontare tra di loro anche le migliori offerte business per la fibra).
Startup? Ci sono anche le scaleup
Nel 2022, la metà dei posti di lavoro creati era attribuibile alle scaleup, cioè le startup in una fase più avanzata di crescita, a sottolineare l’importanza di queste imprese nello stimolare l’occupazione e l’innovazione nel paese. Queste aziende hanno infatti mostrato una notevole capacità di generare posizioni lavorative, passando da 4310 dipendenti nel 2020 a 7623 nel 2022. Francesco Cerruti, Direttore Generale di Italian Tech Alliance, ha sottolineato che le startup “non sono soltanto imprese giovani, innovative e ad elevata crescita, ma si confermano come uno dei principali motori dell’economia del nostro Paese, capaci di dare un contributo significativo alla creazione di nuovi posti di lavoro. La presenza di un sano e dinamico ecosistema di startup è garanzia fondamentale da una parte di vitalità del tessuto produttivo e dall’altra della creazione di opportunità professionali all’altezza per tanti potenziali professionisti che troppo spesso nel nostro Paese sono costretti ad emigrare. È opportuno che le istituzioni, come peraltro avviene nella maggior parte degli altri grandi Paesi indipendentemente dal colore politico di chi governa, dedichino sempre maggiore attenzione a queste tematiche”.
Un’altra osservazione chiave della ricerca riguarda il genere dei lavoratori nelle startup, con il 30% dei dipendenti costituito da donne. Un dato che, pur indicando una presenza femminile significativa, riflette anche la persistenza di un gender gap difficile da colmare, soprattutto in ambiti ad alta intensità tecnologica.
Universo acceleratore, i rapporti con l’estero
Il dinamismo delle startup italiane trova conferma anche nel contesto degli incubatori e degli acceleratori, entità che svolgono un ruolo fondamentale nell’ecosistema dell’innovazione. Secondo il report del Social Innovation Monitor (SIM) del Politecnico di Torino, nel 2022 si è registrata una crescita di oltre il 10% per gli incubatori e acceleratori, che ha permessi di passare dai 237 del 2021 ai 262. Anche il numero dei dipendenti di queste strutture ha visto un incremento, da 1736 a 1953.
La stabilità del fatturato degli incubatori italiani, che si attesta intorno ai 527 milioni di euro nel 2022, dopo l’impennata post-Covid, riflette la solidità di queste strutture nel panorama nazionale. Alberto Castronovo, Head of the Internationalisation Unit del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ha evidenziato la crescita costante degli incubatori negli anni come un indicatore positivo dell’efficacia della legislazione e delle politiche di supporto all’innovazione. L’attuazione dello Startup Act 2.0, con la previsione di creare un’Agenzia per le startup sul modello di altri paesi e il miglioramento delle condizioni per gli investitori stranieri, mira a rafforzare ulteriormente questo settore. La ricerca ha inoltre messo in luce l’importanza dell’apertura internazionale per gli incubatori, con il 68% di essi che nel 2022 ha intrattenuto relazioni formali con organizzazioni non italiane. Questa tendenza non solo amplia le opportunità per le startup italiane ma apre anche le porte a un flusso di conoscenze, competenze e risorse finanziarie internazionali.
Gli incubatori ora sono “misti”
Un altro aspetto interessante emerso dallo studio riguarda l’impatto sociale delle attività di incubazione e accelerazione. Una quota significativa degli incubatori (46%) si definisce “mixed”, cioè supportano un numero rilevante di organizzazioni con un forte impatto sociale e ambientale. L’approccio riflette una crescente consapevolezza dell’importanza di unire innovazione e responsabilità sociale, un trend che si sta consolidando non solo in Italia ma a livello globale. Anche qui, però, si fanno sentire gli effetti avversi del gender gap: negli incubatori infatti solo il 35% del personale è di sesso femminile.
La varietà dei servizi offerti dagli incubatori e acceleratori, che va dall’accompagnamento manageriale al supporto alla ricerca di finanziamenti, dimostra l’approccio a 360 gradi adottato da queste strutture, che non solo aiuta le startup a superare le sfide iniziali ma fornisce anche le basi per una crescita sostenibile e responsabile. Anche altre attività però fanno parte dell’offerta, non immediatamente riconducibili a quelle di incubazione: dall’attività di coworking alla partecipazione a progetti e bandi, dalla formazione a titolo oneroso per soggetti terzi all’attività a titolo oneroso di scouting e open innovation per aziende corporate.
Come sottolinea Stefano Soliano, vicepresidente di InnovUp, main partner dell’iniziativa: «Se vogliamo cogliere l’aspetto negativo, viene da dire, che fanno anche altro perché di sola incubazione non si vive, in Italia. Ma voglio cogliere anche l’aspetto positivo: le startup che entrano in un incubatore non si trovano in un posto che pensa solo al business, ma trovano un sistema in grado di offrire anche altre dimensioni di crescita imprenditoriale, competenze, attività collaterali, utili allo sviluppo dell’imprenditorialità e al sostegno dell’innovazione».