“Bella la boiserie, belle le cassapanche, bello l’armadio. Mo’ te ne poi pure anna’, perché nun te pago”. Saranno in molti a ricordare questo come uno degli sketch più famosi del film Il Marchese del Grillo, quando Alberto Sordi rifiuta di pagare l’ebanista giudeo Aronne Piperno (qui il video) per affermare il potere suo e della nobiltà romana anche a dispetto della legge.
Il film è ambientato in epoca napoleonica ma queste cose succedono ancora. Il 9 settembre, da Promuovitalia, società di promozione turistica del Ministero per la cultura e il turismo, è partita una comunicazione verso un’azienda romana, Unicity Spa, che rescinde unilateralmente il contratto relativo alla fornitura dei servizi redazionali per Italia.it, il portale nazionale del turismo.
La società romana aveva ottenuto quella commessa ministeriale dopo un ricorso vinto al Tar nel 2012 per immettere contenuti nel portale a seguito di una gara europea.
La rescissione unilaterale viene legittimata in base a una clausola contrattuale che riguarda i sopravvenuti “motivi di interesse pubblico”, riferibili alla legge 106/2014 con cui il ministro Dario Franceschini assegna il portale all’Enit, l’Agenzia Nazionale del Turismo. In aggiunta, nella lettera si chiarisce che Promuovitalia non ha i soldi per pagare il lavoro svolto da Unicity negli ultimi sei mesi, motivo per cui, come è noto dalla stampa, la dozzina di redattori del portale non percepisce da febbraio neppure uno stipendio. E la lettera aggiunge che nonostante ciò, la redazione deve continuare a lavorare pur senza sapere quando, come, e in quale misura, sarà pagata.
A questa notizia le presunte illazioni giornalistiche della chiusura di Italia.it condite da analisi fantasiose e scarsamente documentate sui costi e sui benefici del portale per il turismo italico in estrema difficoltà – come se dipendesse dal portale e non da una drammatica situazione congiunturale/strutturale – prendono corpo, ma al ministero spiegano che il progetto non dovrebbe chiudere perché la legge 106 non lo dice, anzi prevede di potenziarlo dandolo all’Enit.
Il suo commissario straordinario, un gentleman d’altri tempi, Cristiano Radaelli, già Confindustria digitale, ha infatti dichiarato, come riporta TTG Italia, che: “Stiamo lavorando per assicurare una transizione senza scossoni. L’attuale redazione ha fatto cose positive, e non vogliamo perdere cosa è stato fatto di buono, ma usarlo come base per crescere e costruire. Presenterò prossimamente il nuovo piano editoriale al ministro, insieme al piano per la nuova Enit“.
Certo, bisogna vedere che significa “senza scossoni”, visto che hanno messo nei guai un’azienda già fiaccata dalla crisi, ma l’analogia con Aronne Piperno è comunque evidente.
Non si contesta a Unicity di aver fatto male il lavoro, che dovrebbe essere uguale a quello fatto da giugno 2012 ad agosto 2014, potenziando i servizi del portale e il suo reach di pubblico (basta vedere i numeri di Giaccardi e Associati), e come confermano gli ex redattori in causa col ministero, ma semplicemente gli si dice: “non abbiamo i soldi e non vi paghiamo”.
I soldi però c’erano: 1 milione e mezzo per i tre anni di lavoro della redazione e 3 milioni per la gestione dell’appalto a Promuovitalia.
Dove sono finiti?
Un fatto che di certo sarà oggetto del lavoro della magistratura, già interessata alle vicende di Promuovitalia per una serie di denunce incrociate fra i suoi dirigenti. Ma quello che va sottolineato qui è che nessuno, tra Confindustria, Confcommercio o sindacato, ha detto una parola su una vicenda che ha dell’incredibile: un’azienda italiana sana vince una gara pubblica europea, fa degli investimenti, assume personale, organizza le postazioni di lavoro, forma i lavoratori, mette a bilancio costi e ricavi, e all’improvviso viene azzoppata, con quindici giorni di preavviso. Un fatto degno di un paese sovietico, non di un paese liberale che tutela e sostiene le sue imprese.