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Più di Usa e Cina. Il segreto delle economie di scala nel boom del commercio
I minerali vengono dal cuore dell’Africa, l’hardware dalla Cina, dove viene anche realizzato l’assemblaggio, i microchip sono forniti da aziende taiwanesi o giapponesi, il software e il design sono europei o americani. È la carta d’identità dei nostri smartphone. Come è possibile che con tutti questi passaggi, che presuppongono viaggi di migliaia di chilometri di ogni componente e dei prodotti finiti, i prezzi siano così accessibili e sempre più bassi? È l’effetto della globalizzazione e dell’applicazione delle economie di scala.
Che cosa sono le economie di scala
Di cosa si tratta? È un concetto un po’ tecnico: si parla di economie di scala quando all’aumentare della produzione di un bene si riesce a ridurre il costo unitario degli stessi. Tra i motivi per cui questo avviene vi è il fatto che si riesce a spalmare in modo efficiente i costi fissi. È possibile, per esempio, utilizzare al massimo della capacità, magari 24 ore al giorno, un dispendioso macchinario. Se, invece, la produzione fosse limitata, magari alla metà di quella potenziale, il costo complessivo del macchinario stesso dovrebbe essere comunque sostenuto, ma si riverserebbe su un numero minore di beni, rendendo il loro prezzo maggiore.
Un altro esempio del funzionamento delle economie di scala è rappresentato dalla possibilità, per le grandi aziende, di acquistare dai fornitori quantità maggiori di quelle piccole e pagare meno per ogni prodotto, anche grazie a un più elevato potere negoziale. Vi sono anche le economie di scala manageriali: se l’attività è di grandi dimensioni consente l’assunzione di specialisti, che migliorano le performance di un’impresa.
Le economie di scala a livello internazionale
Anche a livello finanziario vi è un vantaggio nell’essere più grandi e produrre di più, visto che le banche danno di solito maggiore fiducia a chi è fornito di quantità di capitali di una certa entità, come le multinazionali, e fanno pagare tassi inferiori. L’applicazione più evidente delle economie di scala, comunque, è proprio quella che ha luogo nell’ambito del commercio internazionale. La produzione manifatturiera di gran parte delle multinazionali avviene in grandi fabbriche, come quelle asiatiche, in cui si lavora per molti clienti di tutto il mondo, e in cui per questo i volumi sono enormi, così da consentire risparmi notevoli, che si sommano a quelli dovuti al basso costo del lavoro.
Questi prodotti poi vengono inviati nei Paesi di destinazione, solitamente l’Europa e il Nord America, in navi container sempre più gigantesche, che riescono ad ammortizzare il costo dell’energia anche grazie all’ingente numero di tonnellate trasportate.
Lo strettissimo legame tra globalizzazione ed economie di scala sta qui: queste hanno consentito di abbassare i costi e quindi i prezzi dei beni prodotti e poi movimentati per il mondo e consentito quindi di incrementare enormemente i commerci.
I Paesi Bassi sono il Paese più globalizzato
Non è un caso che a risultare il Paese più globalizzato sul Pianeta sia proprio uno che di commercio internazionale vive da sempre, ovvero i Paesi Bassi. Come si vede dalla nostra infografica, infatti, il piccolo Stato europeo risulta avere il punteggio più alto nel Globalization Index del Kof. Il Kof, che sta per Konjunkturforschungsstelle, è un centro di ricerche economiche dell’Eth di Zurigo, un’importante università svizzera.
Tale indice misura quanto un determinato Paese sia integrato nel sistema globale dal punto di vista economico, sociale, politico. Amsterdam ottiene 90,91 punti su un totale di 100. Il porto di Rotterdam, infatti, è il primo in Europa per merci movimentate, qui approdano una parte considerevole degli smartphone, degli elettrodomestici, dei vestiti che poi finiscono nelle case tedesche, francesi, italiane. Nei Paesi Bassi, inoltre, sono forti anche gli scambi culturali e scientifici con il resto del mondo, ed è una delle aree del globo con la maggiore presenza di immigrati.
A piazzarsi nelle prime posizioni in questo Globalization Index sono poi Paesi con caratteristiche non molto diverse. Al secondo posto, con 90,45 vi è la Svizzera, seguita dal Belgio, con 90,33, e dalla Svezia, con 89,44. Certamente le dimensioni relativamente ridotte di questi Stati contribuiscono a esporli maggiormente all’influenza del commercio estero.
L’Italia è 21esima nel Globalization Index e supera gli Usa
Piccoli, tuttavia, non sono Regno Unito e Germania, al quinto e sesto posto in questo ranking con rispettivamente 89,31 e 88,73 punti, ma l’integrazione all’interno dell’economia mondiale è molto elevata nel loro caso. Basti pensare agli investimenti che passano per la piazza finanziaria della City di Londra, o all’export tedesco. La Germania è l’unico grande Paese che è in una posizione di surplus commerciale con la Cina.
E l’Italia? È più indietro, al 21esimo posto, con un punteggio di 82,92, e viene superata da molte realtà europee, tra cui Spagna, Portogallo, Grecia. Tuttavia siamo davanti agli Usa. La cosa potrà sorprendere molti, che considerano gli Stati Uniti tra gli alfieri della globalizzazione, ma non è così. Sono solo solo 23esimi nel Globalization Index, con 82,28 punti.
Perché gli Usa sono poco globalizzati
A influire sono ancora loro, le economie di scala. A livello internazionale sono quelle che provocano un incremento degli scambi da un capo all’altro del mondo, ma a livello di singoli Stati favoriscono il commercio interno se il Paese in questione ha una popolazione enorme, di centinaia di milioni di persone. Le grandi dimensioni di tali mercati interni permettono economie di scala tali da consentire la produzione in patria di beni e servizi che in realtà più piccole possono essere reperite solo all’estero.
Usa, il commercio internazionale conta solo il 10,2% del Pil
Così dai dati dell’Ocse emerge che tutto l’import e l’export americano, ingente in valore assoluto, in realtà ammonta solo al 10,2% del Pil degli Usa. Quello cinese arriva al 18,2%, una percentuale anch’essa piccola, per gli stessi motivi, ovvero la grandi dimensioni del mercato e della produzione interna. La Cina, infatti, nel Globalization Index di Kof non compare neanche tra i primi 50 Paesi.
Altrove i commerci internazionali hanno molta più importanza, in Germania giungono a un valore corrispondente al 47,5% del Pil tedesco, nei Paesi Bassi, per i motivi già visti, addirittura all’83,6% di quello olandese. In Italia il peso delle importazioni e delle esportazioni è inferiore, vale il 32,7% del nostro Prodotto Interno Lordo, ma è un’ulteriore conferma del fatto che, a dispetto di quello che molti possono pensare, siamo più globalizzati di americani e cinesi.
I dati si riferiscono al: 2021
Fonte: Kof, Centro di Ricerca Congiunturale, Ocse